Anno: XXV - Numero 188    
Martedì 15 Ottobre 2024 ore 14:00
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Schlein e Conte si dividono sui marciapiedi di viale Mazzini

La birra del celebre patto è andata di traverso alla segretaria Pd. Sinistra e M5s fanno asse a spese dei Dem e si conquistano le poltrone Rai spettanti alle opposizioni (Natale e di Majo).

Schlein e Conte si dividono sui marciapiedi di viale Mazzini

Addio campo largo. Ecco il campo rosso che mette nei guai Schlein. Sinistra e Verdi fanno asse con il Movimento Cinque stelle contro il Pd. Neanche il tempo di assaporare la birra con cui la segretaria dem, Conte, Fratoianni e Bonelli festeggiavano la ritrovata intesa (era alla festa di Avs, quindici giorni fa) e il campo largo va di nuovo in frantumi.

La cartina al tornasole è come spesso avviene la Rai, lente di ingrandimento delle crepe tra i partiti. Sul rinnovo dei vertici di viale Mazzini, pentastellati, deputati di sinistra e verdi si muovono insieme e portano a casa un consigliere di area, lasciando il Pd in splendida solitudine. Roberto Natale – già direttore di Rai per il sociale, ed ex portavoce di Laura Boldrini quando era presidente della Camera – siederà nel cda. A lui sono andati i voti dei 45 deputati di M5s e Avs. L’altro membro del cda, eletto dal centrodestra con 174 preferenze, è Federica Frangi, in quota Fdi. Stessa scena al Senato. Qui è il M5s a incassare la nomina di Alessandro Di Majo (27 voti) e la Lega quella di Antonio Marano (97 voti). Il Pd è rimasto fuori in entrambe le votazioni. Mentre il centrodestra ha consentito ai due partiti di votare i loro rappresentanti, senza interferire.

Dopo il voto, la fotografia del Transatlantico di Montecitorio restituisce il clima nel centrosinistra. Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli siedono su un divanetto a telefonare a Elly Schlein, che sta a una cinquantina di metri, nel corridoio dei fumatori. La segretaria appare piuttosto turbata. La scelta di non assecondare il centrodestra nel rinnovo del cda prima della riforma della legge Rai era stata condivisa da tutte le opposizioni. Che non a caso brindavano, facendo tintinnare i boccali. E invece, poi sull’Aventino ci hanno mandano solo il Pd. “E’ l’Aventuno”, scherzano ora i pentastellati a Montecitorio. Ingrati.

Ma anche quando era chiaro che M5s e Avs si sarebbero sfilati, Schlein non ha indietreggiato. “Chiedete agli altri perché hanno cambiato idea”, si è limitata a dire la segretaria ai deputati dem che chiedevano lumi. Più prosaicamente, stretti collaboratori di Schlein spiegano che non potevano fare la parte di quelli che si vendono per un posto in cda. “Vogliamo vedere M5s e Avs che faranno adesso che si deve votare in Commissione di Vigilanza Rai per il presidente. Li aspettiamo al varco”. Quello, in effetti, sarà il passaggio chiave. Al centrodestra servono i due terzi della vigilanza. E gli mancano due voti. Forza Italia propone Simona Agnes. Ma se non raggiungesse il quorum, le funzioni di presidente spetterebbero al consigliere anziano, che è Antonio Marano, in quota Lega. Uno spauracchio per tutto il centrosinistra.

Il timore dei Dem è che ora il trio Conte-Bonelli-Fratoianni si produca su altri terreni. Che ad esempio sulla presidenza di viale Mazzini s’inventi una trattativa con Forza Italia su un altro nome, e che converga su quello. Per il Pd sarebbe uno smacco peggiore del primo. Ma la stessa scena potrebbe ripetersi su qualsiasi materia. E mette paura ai Dem. Perché il campo rosso formato da M5s, Verdi e Sinistra in Parlamento ha quasi gli stessi numeri del Pd. Per la precisione 60 deputati contro i 70 del Pd a Montecitorio, e 29 senatori contro i 37 dem a Palazzo Madama.

Ma torniamo alla Rai. Per quanto irritata, Schlein è convinta di aver fatto bene. Nel Pd spiegano la logica della scelta. “Non siamo il partito che scende a patti per uno strapuntino. Le nomine Rai non ci interessano. Ci diranno che non abbiamo preso parte al banchetto? Bene così, è la verità”. A ben guardare, sarebbe difficile gridare a Telemeloni, dopo aver partecipato al rinnovo dei vertici prima ancora di riformare la governance. Sul piano della proiezione esterna, dunque, Schlein incassa un dividendo. Per gli altri è tutto da vedere. I Dem si chiedono: “Chissà cosa dirà Grillo, ora che i suoi sono scesi a patti col centrodestra per avere confermato un consigliere…”. In effetti i M5s portano a casa la conferma di Alessandro di Majo, uomo Rai del movimento già nella scorsa legislatura.

Ma questi sono i calcoli, le prospettive. Il dato di oggi è il campo largo in frantumi. E il colpo ferale non arriva solo da Giuseppe Conte, ma anche da Fratoianni e Bonelli, fino ad ora considerati la controassicurazione di Schlein nel centrosinistra, le truppe di complemento, in grado di spostare il baricentro a sinistra per controbilanciare la spinta dei terzisti e dei moderati del Pd.

Ma le cose sono cambiate con le Europee. Se il M5s è crollato sotto il 10 per cento, Avs è il partito che è cresciuto di più sia in termini relativi che assoluti, con oltre 500mila nuovi elettori rispetto alle politiche. L’idea del “campo rosso”, cioè del coordinamento tra M5s e Avs, ha preso slancio poi con la “crisi” dei pentastellati. La trazione a destra di Grillo, ha spinto Conte più vicino alla coppia Fratoianni-Bonelli. E nel M5s c’è anche chi dà per certo che finiranno per rafforzare l’intesa in un unico movimento. Per paradosso, il migliore alleato di Schlein, accusata di essere troppo a sinistra, è oggi Matteo Renzi, fino a ieri suo avversario. Le carte si sono rimescolate. “Io lo ripeto sempre, il campo largo non esiste”, dice a scanso di equivoci Bonelli. “Perché se esistesse avremmo una situazione differente. È un lavoro che dobbiamo fare con molta pazienza, e ci riusciremo. Abbiamo già molti punti in comune, ma saranno importanti le prossime settimane.  Sulla Rai abbiamo una valutazione diversa- dice ancora il leader dei Verdi – noi pensiamo che avere calendarizzato il Media Freedom Act sia stato un successo delle opposizioni, ma adesso lasciare a TeleMeloni anche il controllo totale del Cda è un qualcosa che noi riteniamo non saggio”.

I pesi reciproci si valuteranno alle regionali: il voto in Liguria, Emilia Romagna e Umbria sarà un test anche per la cosa rossa. Ma intanto in Parlamento ci si muove tra i ruderi del campo largo.

Un’altra istantanea dalla Camera. In aula si vota il collegato lavoro, un provvedimento con cui la maggioranza introduce alcune norme fortemente contestate dalle opposizioni, che presentano 53 proposte di correzione. In comitato dei nove la maggioranza glieli dichiara inammissibili. Il M5s dichiara l’Aventino. “Usciamo dall’aula”, è il richiamo di Francesco Silvestri rivolge alle altre opposizioni. Ma il Pd resta al suo posto. Cinque Stelle a protestare in Transatlantico, Dem seduti al loro posto in aula.

Tra i capannelli dei deputati si fa largo Rosi Bindi, leader del comitato referendario, l’unico organismo in cui le opposizioni trovano ancora un terreno comune. I deputati del Pd le si avvicinano, chiedono un consiglio. Una parola di conforto. “Elly fa bene, deve insistere sull’unità. Da Conte non mi sarei aspettata una caduta di stile del genere. Sulle nomine è sempre bene avere un comportamento uniforme”.  E Renzi, c’è da fidarsi? “Non fate questa domanda a me… Vedo che si degna di stare con il centrosinistra, mentre in molte amministrazione sta con la destra… scelga. Un po’ di esami vanno fatti per vedere se non prepara giravolte. Altrimenti meglio ognuno per la sua strada”. Saluta anche Agazio Loiero, ex deputato della Margherita e presidente della Regione Calabria. Confida a Bindi i timori per il disegno autonomista della maggioranza. “Ora che la Lega è al minimo storico incassa quanto non ha mai ottenuto nella sua storia…”, non si dà pace il calabrese. Bindi spera che Tajani tenga duro, che passi dalle parole ai fatti… Ma il Pd? Bindi sorride. E fa sfoggio di autoironia. “A Firenze si dice: ‘voglio bene alla Fiorentina come se vincesse sempre’. E vince più del Pd”.

di Alfonso Raimo su Huffpost

 

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