L'Europa si muove, l'Italia no
Il nostro governo è reticente sul programma Readness 2030, malmostoso verso le iniziative di Macron, estraneo alla concertazione tra le principali capitali europee.
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A dispetto della propaganda, l’Italia non sta giocando alcun ruolo sulle dinamiche europee e internazionali
In un fotogramma istantaneo le immagini hanno una capacità di trasmettere simboli, messaggi, emozioni. Così la foto di Donald Trump e Volodymyr Zelensky a colloquio nella basilica di San Pietro ha acceso la speranza di una svolta nella guerra ucraina. E la foto in quella stessa basilica di Zelensky e Trump, con Emmanuel Macron e Keir Starmer ha reso plastica il sostegno occidentale all’Ucraina. E l’immagine di Emmanuel Macron, Friedrich Merz, Donald Tusk e Keir Starmer in viaggio per Kiev ha trasmesso in modo inequivoco l’impegno europeo a difesa dell’Ucraina. Ma in quelle immagini la presidente Giorgia Meloni non c’è. E non per una distrazione dei fotografi. E appare patetico affermare che “le foto non contano”. Così come patetica è la sequenza di interviste ad agenzie e quotidiani con cui la presidente del Consiglio nei giorni scorsi ha cercato di accreditare un ruolo che invece non ha.
Un’assenza tanto più sconcertante a fronte delle iniziative messe in campo dai principali Paesi europei. A sole ventiquattr’ore dalla sua nomina, il cancelliere tedesco Merz si è recato a Parigi per incontrare il presidente Macron e rilanciare quell’asse franco-tedesco che è uno dei motori dell’integrazione europea. E per darvi concretezza è stato annunciata la creazione di un Consiglio di difesa franco-tedesco. Nella serata della stessa giornata Merz è volato a Varsavia per consolidare il formato Weimar, un’alleanza strategica tra Berlino, Parigi e Varsavia resa ancora più forte dalla sottoscrizione nei giorni successivi del Trattato franco-polacco di amicizia e cooperazione. Iniziative importanti di fronte all’aggressività di Mosca e al diffondersi in Europa centrale di una “fascia bruna” di governi, movimenti e partiti sovranisti e antieuropei.
In un fotogramma istantaneo le immagini hanno una capacità di trasmettere simboli, messaggi, emozioni. Così la foto di Donald Trump e Volodymyr Zelensky a colloquio nella basilica di San Pietro ha acceso la speranza di una svolta nella guerra ucraina. E la foto in quella stessa basilica di Zelensky e Trump, con Emmanuel Macron e Keir Starmer ha reso plastica il sostegno occidentale all’Ucraina. E l’immagine di Emmanuel Macron, Friedrich Merz, Donald Tusk e Keir Starmer in viaggio per Kiev ha trasmesso in modo inequivoco l’impegno europeo a difesa dell’Ucraina. Ma in quelle immagini la presidente Giorgia Meloni non c’è. E non per una distrazione dei fotografi. E appare patetico affermare che “le foto non contano”. Così come patetica è la sequenza di interviste ad agenzie e quotidiani con cui la presidente del Consiglio nei giorni scorsi ha cercato di accreditare un ruolo che invece non ha.
Un’assenza tanto più sconcertante a fronte delle iniziative messe in campo dai principali Paesi europei. A sole ventiquattr’ore dalla sua nomina, il cancelliere tedesco Merz si è recato a Parigi per incontrare il presidente Macron e rilanciare quell’asse franco-tedesco che è uno dei motori dell’integrazione europea. E per darvi concretezza è stato annunciata la creazione di un Consiglio di difesa franco-tedesco. Nella serata della stessa giornata Merz è volato a Varsavia per consolidare il formato Weimar, un’alleanza strategica tra Berlino, Parigi e Varsavia resa ancora più forte dalla sottoscrizione nei giorni successivi del Trattato franco-polacco di amicizia e cooperazione. Iniziative importanti di fronte all’aggressività di Mosca e al diffondersi in Europa centrale di una “fascia bruna” di governi, movimenti e partiti sovranisti e antieuropei.
Di fronte ai gravi rischi suscitati dalle guerre alle porte di casa e dalle sconcertanti e ondivaghe politiche di Trump, l’Europa sta ridisegnando dunque le sue politiche nella direzione di accrescere la propria autonomia strategica. Lo ha fatto con il varo del Programma Readiness 2030 – infelicemente denominato all’inizio RearmEU – per dotarsi di un sistema europeo di sicurezza e di difesa complementare alla Nato. Lo ha fatto con la creazione, su impulso di Macron e Starmer, di una “coalizione dei volenterosi” pronta ad assumersi la responsabilità di garantire la sicurezza e la sovranità ucraina. Lo sta facendo con l’intensificarsi della cooperazione tra le capitali principali dell’Unione.
Uno scenario in cui spicca l’assenza dell’Italia, guidata da un governo reticente sul programma Readiness 2030, malmostoso verso le iniziative di Macron, estraneo alla concertazione tra le principali capitali europee. E anche la pretesa di Meloni di promuoversi come ponte tra Bruxelles e Washington si è rivelato una mossa propagandistica a puri fini di politica interna, senza che quella presunzione abbia un qualche fondamento. Insomma, a dispetto della propaganda, l’Italia non sta giocando alcun ruolo sulle dinamiche europee e internazionali. Anzi, le ostentate simpatie per i sovranisti – da Viktor Orban al rumeno George Simion – non fanno che accentuare la distanza dalle capitali europee che contano.
Eppure, lo spazio per una azione assertiva dell’Italia ci sarebbe: seconda economia dell’Ue, membro del G7, tra i principali contributori delle missione di pace Onu e Ue, con interessi strategici nei Balcani e nel Mediterraneo, quinto principale esportatore su scala mondiale con proiezione economico-commerciale su tutti i continenti. E non mancano neanche gli strumenti, a partire dal Trattato del Quirinale con la Francia verso il quale però la Meloni non esita a manifestare fastidio ogni volta che può. Né si è fin qui dato seguito al Piano di Azione sottoscritto con la Germania che pure è il nostro primo partner economico e commerciale. E anche il tentativo di attivare una relazione con Londra è fin qui apparso finalizzato soltanto alla ricerca di una sponda alle politiche migratorie che, a partire dalla vicenda albanese, fanno acqua da tutte le parti.
Peraltro, volgendo lo sguardo a scenari più larghi, vistosa è la passività italiana di fronte ai drammi che si consumano in Medio Oriente su cui tutti i principali governi hanno assunto posizioni severe a fronte delle quali brilla il silenzio del governo italiano. Il Piano Mattei continua a essere una scatola vuota e a oggi non ha prodotto significativi esiti. E sull’accordo Ue-Mercosur, trincerandosi dietro le paure di concorrenze agroalimentari (che in realtà possono essere governate con clausole di tutela) il governo Meloni manifesta totale inconsapevolezza di quanto quell’accordo sia prezioso per realizzare una enorme area di libero scambio proprio nel momento in cui l’amministrazione Trump ha aperto una guerra sui dazi. E peraltro gli accordi di libero scambio già in vigore – per esempio con Canada e Giappone – hanno consentito un notevole incremento delle esportazioni italiane.
Insomma, a dispetto della propaganda – e anche della strafottenza a cui sempre la presidente Meloni ricorre per coprire il vuoto della sua politica – oggi l’Italia è ai margini della scena internazionale e si dimostra un grave errore privo di esiti invocare la tutela degli interessi nazionali in contrapposizione all’Europa, quando invece il modo migliore per far pesare l’Italia è essere pienamente partecipe delle politiche europee.
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