La sinistra deve pesare su Gaza, oltre la piazza e i talk
Se vuole dimostrarsi forza di governo, manifestazioni e flottiglie non bastano. Bisogna dare idee sulla presenza italiana nel mantenimento della pace. A rischio di dire le stesse cose che dirà la destra.

La sciarada mediorientale è tutt’altro che finita. La tregua può diventare pace, ma le insidie non mancheranno in un sentiero lungo e accidentato. Qui si pone il problema di quale politica intende abbracciare l’opposizione; quella della maggioranza è chiara e s’identifica con le scelte di Trump, nonché di conseguenza con quelle di Netanyahu. Il centrosinistra invece deve fare delle scelte, che peraltro sono nel complesso obbligate.
Finora la coalizione Pd-5s-Avs ha tentato di accreditare un racconto un po’ diverso, in cui un certo merito viene riconosciuto alle manifestazioni di piazza e ai viaggi delle varie flottiglie. Al di là della buona volontà di tanti volontari e militanti, che non si può sottovalutare, non si può tuttavia far intendere che gli sviluppi a Gaza siano il frutto di queste iniziative estemporanee, anziché degli sforzi diplomatici e della forza militare messi in campo o, nel secondo caso, minacciata dall’America. E non si può credere che il giubilo dei palestinesi per la fine dei bombardamenti non esprima anche e forse soprattutto il sollievo per essersi liberati dalla tenaglia di Hamas.
Ne deriva un punto cruciale. La politica estera dell’opposizione sul Medio Oriente non ha margini per distinguersi in modo vistoso dalla politica del centrodestra. Non c’è una linea alternativa a quella seguita dal governo. E si capisce. Di fronte alle grandi crisi internazionali l’Italia segue un cammino fissato dalle alleanze e dalla tradizione. All’infuori di questo si scivola verso posizioni utili per fare polemiche nei talk show e per alimentare risse mediatiche, ma niente di più. Un’opposizione che punti a diventare forza di governo alle prossime elezioni può solo restare fedele alle rotte tracciate non oggi, ma decenni fa: nel quadro della relazione privilegiata con Washington ovvero, quando è il caso, nella cornice dell’Unione europea e della Nato (il che vale per l’Ucraina).
La conseguenza è che il centrosinistra, se non vuole consegnarsi a un permanente ruolo di opposizione, deve guardare avanti. Basta con le diatribe superflue sul fatto che Giorgia Meloni è stata troppo “silenziosa” durante gli attacchi a Gaza, non ha polemizzato abbastanza con Netanyahu, non ha preso la rincorsa per imporre sanzioni a Israele. Tutto questo è acqua passata dopo gli accordi dell’altro giorno, il cessate il fuoco e l’attesa consegna degli ostaggi. Ora il Pd e gli altri hanno l’occasione di voltare pagina e di offrire un contributo alla politica mediorientale prossima ventura. Vediamo come.
Un tema aperto ancora a tutte le soluzioni riguarda la presenza militare nella regione, ovviamente in funzione di controllo della pace. Si è parlato di Carabinieri (molto stimati presso gli alleati) ma anche di altri reparti dell’esercito, probabilmente inquadrati dall’Onu. Ecco un aspetto in cui si può immaginare un’iniziativa del centrosinistra. Invece di attendere inerti le mosse del governo, così da impallinarle a posteriori, agendo sempre di rimessa, il centrosinistra potrebbe avanzare una sua proposta. Un’idea per anticipare la maggioranza, sia pure – è logico – dentro la cornice dell’alleanza che unisce gli occidentali e i paesi arabi moderati. Quale è il rischio? Che sinistra e destra a Roma finiscano per esprimere la stessa posizione, con sfumature minori. Ma più che un rischio, sarebbe un’opportunità. Un paese unito su un grande tema, in sintonia con le maggiori capitali europee che sui grandi temi sono quasi sempre solidali e non alla ricerca di polemiche pretestuose. In più il centrosinistra sarebbe per una volta al centro di un’iniziativa, anziché muoversi in seconda battuta, dando l’impressione di augurarsi il peggio. È un punto sul quale vale la pena riflettere.
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