Anno: XXV - Numero 86    
Venerdì 17 Maggio 2024 ore 13:00
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"Ora finalmente...". La lezione degli avvocati a Davigo

La giunta dell'Unione Camere Penali Italiane commenta la decisione dell'ex pm di ricorrere in appello. "Ora comprenderà una funzione fondamentale...". Replica piccata dell'Anm: "Pessimo gusto"

Il garantismo e il diritto spiegati bene. Quella impartita a Piercamillo Davigo dalla giunta dell’Unione Camere Penali Italiane è stata una vera e propria lezione. Ma anche uno schiaffo al giustizialismo che ancora purtroppo attecchisce nel nostro Paese. Dopo la condanna dell’ex pm di Manipulite a 1 anno e tre mesi in primo grado (pena sospesa e non menzione) nel caso Amara, l’associazione dei penalisti italiani ha preso posizione in merito al pronunciamento e al sacrosanta decisione di Davigo di ricorrere in appello. Sì, perché l’ex componente del Csm era stato in realtà sempre molto critico sui ricorsi in secondo grado, da lui ritenuti eccessivi in Italia e pertanto da scoraggiare.

La condanna del dott. Piercamillo Davigo non scalfisce minimamente, per noi garantisti e liberali, la presunzione di non colpevolezza che, per fortuna sua e di tutti noi, continua ad assistere l’ex PM di Mani Pulite“, ha affermato in una nota la giunta dell’Unione Camere Penali Italiane. Poi la chiosa graffiante sul ricorso in secondo grado annunciato dall’ex magistrato. “Il dott. Davigo sarà ora finalmente in condizione di comprendere fino in fondo – a occhio e croce per la prima volta nella sua vita – la funzione fondamentale, inderogabile e incoercibile del diritto di impugnazione delle sentenze di condanna, diritto che egli ha invece sempre fieramente considerato e propagandato come del tutto eccezionale e residuale, giacché altrimenti causa della paralisi della nostra giustizia“, hanno scritto gli avvocati penalisti dell’organizzazione presieduta da Gian Domenico Caiazza.

In effetti, in passato Davigo aveva usato parole piuttosto esplicite per esternare il proprio scetticismo su molti ricorsi in secondo grado nel nostro Paese. “In Italia, chi fa appello può avere la pena cambiata solo in meglio. Questo, per esempio in Francia, non c’è“, aveva argomentato l’ex magistrato in un’intervista al Fatto Quotidiano, auspicando una riforma per abolire il divieto di reformatio in peius in appello. Ovvero: se ti condannano e tu fai appelli, può toccarti una pena più alta. In Italia questa cosa non è possibile e Davigo l’avrebbe invece voluta per scoraggiare i ricorsi e snellire di conseguenza la giustizia. Nel nostro Paese – sosteneva l’ex pm – “abbiamo un sistema giudiziario in cui un imputato condannato in primo grado fa appello per avere ridotta la pena, ma sperando in realtà di non scontare alcuna pena, neppure ridotta, perché tanto arriverà la prescrizione“.

Chissà perché, quel ragionamento non contemplava la possibilità che un imputato potesse far ricorso semplicemente per far valere i propri diritti, come peraltro previsto dal nostro diritto e delle norme che regolano i processi penali. Tra le tante soluzioni necessarie per velocizzare la giustizia, quella di intervenire nella direzione auspicata da Davigo era ritenuto dai garantisti il meno ragionevole. Ora che a volersi legittimamente difende in appello è lo stesso ex pm, gli avvocati dell’Ucpi hanno ricordato quelle posizioni già un tempo dibattite.

Un augurio da noi penalisti italiani, sincero, non sarcastico ed autenticamente rispettoso della persona: di incontrare giudici di appello ed eventualmente di Cassazione che abbiano una idea della ammissibilità dei ricorsi radicalmente diversa da quella notoriamente praticata dal dott. Davigo nei lunghi anni della sua esperienza di giudice di appello prima e di Cassazione poi“, si legge nella nota della giunta dell’Unione Camere Penali Italiane. Visto da fuori, il caso appre come un singolare cortocircuito dal quale si potrebbe dedurre il seguente la seguente opinione: il giustizialismo dura finché riguarda gli altri.

Il comunicato degli avvocati dell’Ucpi non è però piaciuto all’Anm, che a esso ha replicato attraverso le parole di Andrea Reale, componente del Comitato direttivo centrale dell’associazione nazionale magistrati. “Mi pare un comunicato ‘di pancia’, tutt’altro che sarcastico, bensì livoroso e di pessimo gusto. Come detto da un avvocato che stimo, esso è l’antitesi di ciò che i penalisti dicono di volere combattere, ossia il pubblico ludibrio, la strumentalizzazione politica di fatti di cronaca giudiziaria, l’attacco personale tramite decisioni giudiziarie…“, ha replicato il magistrato.

Da Il Giornale

 

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