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L’Anac non può chiedere di cancellare l’equo compenso e la dignità dei professionisti

Il presidente del Cnf Francesco Greco replica all’Autorità Anticorruzione, che ha inviato al governo una nota contraria alle nuove norme sul lavoro intellettuale: «Le garanzie che le Pa devono poterci chiedere non possono consistere nel ritorno delle gare al ribasso».

L’Anac non può chiedere di cancellare l’equo compenso e la dignità dei professionisti

Qualità della prestazione? Dignità del professionista? Principi derogabili. L’unico caposaldo che l’Anac ritiene di dover preservare è, anche per gli incarichi professionali, la libera concorrenza, in altre parole il ribassismo sfrenato. È il senso della nota che l’Autorità Anticorruzione ha trasmesso lo scorso 23 aprile ai ministri dell’Economia e delle Infrastrutture, con la quale si ritiene che la legge 49 del 2023 sull’equo compenso professionale e il nuovo codice degli appalti debbano essere «adeguatamente coordinati», con un nuovo intervento interpretativo o addirittura legislativo.

La mossa suscita inevitabilmente la reazione perplessa da parte delle libere professioni. Non solo rispetto alle categorie che, nella nota dell’Autorità presieduta da Giuseppe Busia, sembrano più chiaramente nel mirino, ossia ingegneri e architetti, ma anche da parte degli avvocati. E il vertice della massima istituzione forense, il presidente del Cnf Francesco Greco, non esita a definirsi «sorpreso, tanto per cominciare, dal richiamo contenuto nel testo dell’Anac alla sentenza dello scorso 25 gennaio con cui la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha disapplicato le tariffe minime per gli avvocati bulgari: è evidente, anche dalla pronuncia dei giudici di Lussemburgo, come nel Paese dell’est europeo un intervento simile fosse consentito dal particolare meccanismo regolatorio lì previsto, secondo cui non è il legislatore ma la rappresentanza forense della Bulgaria a fissare i minimi. Da noi è completamente diverso: in Italia i parametri forensi sono stabiliti con un decreto del ministro della Giustizia, sottoposto al parere sia del Consiglio di Stato sia delle competenti commissioni parlamentari, in modo da verificare la congruità dei parametri con l’articolo 36 della Costituzione, che impone di riconoscere a ciascun lavoratore un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità dell’opera svolta e in grado di garantire la dignità sua e della sua famiglia. Senza dimenticare che in Italia i parametri fissati con decreto del guardasigilli si applicano a quei casi in cui il compenso dell’avvocato viene stabilito da un giudice, e non certo al libero accordo stipulato tra il professionista e il cliente. Così come è doveroso che la legge italiana sull’equo compenso impedisca le situazioni di squilibrio tra il prestatore d’opera intellettuale e i committenti forti, inclusa la pubblica amministrazione».

Ed è proprio la legge sui compensi professionali a essere bersagliata dalle sollecitazioni dell’Anac, piuttosto risolute anche nelle premesse: l’Autorità Anticorruzione infatti, nella nota del 23 aprile, avverte il governo che, se non arrivassero «diverse indicazioni interpretative» da parte delle istituzioni politiche, si sentirà autorizzata a procedere «aderendo alle opzioni regolatorie ritenute più adeguate». Da una parte si potrebbe ricordare come il nuovo codice dei contratti pubblici, all’articolo 13, commi 2 e 5, abbia finalmente escluso gli incarichi legali dal novero degli appalti, fino a sottrarli anche alle ambiguità dei cosiddetti “principi appaltistisci” che il vecchio codice estendeva pure alle materie estranee alle “gare”. Ciononostante, per casi in cui le attività legali costituissero un complesso strutturato e stabile di prestazioni, il codice potrebbe ancora applicarsi, con tutto quanto ne consegue in termini di confusione fra equo compenso e libera concorrenza. Non si tratta certo di situazioni frequenti. Ma è il sottile spiraglio che lascia ancora esposta anche la professione forense alla deregulation chiesta, in materia di compensi, dall’Anac al governo.

Di fronte all’idea che possa trovare spazio la linea contraria all’equo compenso professionale espressa dall’Authority, il presidente del Cnf Greco contrattacca immediatamente sul «primo punto della nota trasmessa dall’Anac ai ministri, secondo il quale le stazioni appaltanti dovrebbero poter individuare, anche per i professionisti, cioè per le categorie tutelate dall’equo compenso, requisiti speciali attinenti all’oggetto del contratto: è un richiamo inappropriato, giacché sarebbe paradossale se il requisito speciale da richiedere a un libero professionista consistesse nel far pagare poco l’opera prestata. Quando si introducono dei filtri nella scelta delle Pa per l’affidamento di incarichi o servizi, ci si può riferire a una soglia minima di volume d’affari, o a qualunque altro strumento in grado di garantire la competenza e l’affidabilità del prestatore d’opera, ma non si può certo reclamare la disponibilità dell’avvocato a lavorare per un compenso più basso di quanto previsto da ministro». Di fatto, per il vertice di Consiglio nazionale forense, «qui sembra di assistere al tentativo di far rientrare dalla finestra un’idea, quella della gara al massimo ribasso fra i professionisti, che il legislatore ha fatto opportunamente uscire dalla porta con le nuove norme sull’equo compenso. E sorprende anche il fatto che, nella nota Anac, la materia sia trattata come se la legge 49 non fosse del 2023, come se si trattasse cioè di una disciplina desueta, anacronistica. Il legislatore invece l’ha voluta per arginare proprio quella tendenza che spingeva i professionisti al ribasso continuo, e perché la dignità di chi assicura un’opera intellettuale è un bene da tutelare, proprio a fronte della funzione decisiva che i professionisti, a cominciare dagli avvocati, svolgono».

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