Anno: XXVI - Numero 204    
Giovedì 24 Ottobre 2025 ore 14:20
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Dopo il Pnrr ci vuole formazione. E non molliamo sugli investimenti pubblici

Lo dice all’Huffpost Giovanni Tria, economista, docente di economia politica all’università di Tor Vergata e già ministro dell’Economia e delle finanze nel primo governo Conte.

Dopo il Pnrr ci vuole formazione. E non molliamo sugli investimenti pubblici

Non servirà un reddito di cittadinanza, quando non ci sarà più il Pnrr. “In un quadro che obbligherà a fare “debito buono”, cioè orientato alla produzione, la priorità sarà investire sulle persone e in particolare sulla formazione tecnica”, dice all’Huffpost Giovanni Tria, economista, docente di economia politica all’università di Tor Vergata e già ministro dell’Economia e delle finanze nel primo governo Conte.

Il Pnrr ha alimentato la crescita che altrimenti, dicono stime convergenti, sarebbe stata negativa. Quando non ci sarà più, come si finanzieranno gli investimenti?

Nel primo anno si cercherà di spalmare la spesa del Pnrr fino al 2027 con vari escamotage finanziari. Ciò non toglie che il problema resta. Preliminare sarà valutare se questo strumento ha funzionato o meno. Doveva servire ad aumentare l’efficienza e la produttività complessiva del sistema italiano con effetti nel lungo periodo. Dunque non possiamo vederlo solo dal lato della domanda.

Questi effetti ci sono stati?

Molti mettono in dubbio che il Pnrr sia servito ad aumentare efficienza e produttività. In parte perché andava completato con alcune riforme di sistema, e un po’ perché è stato preparato in modo affrettato dal governo Conte 2, poi è stato corretto da Draghi. Potrebbe non essere facile reperire risorse per questa via.

Per dirla alla Draghi, dipenderà se il Pnrr è stato usato come debito buono o meno.

Storicamente la percentuale di investimenti pubblici era al 3-3,5 per cento. Poi è declinata, e con il Pnrr è tornata a questi livelli. Quando non ci sarà più, non credo ci saranno problemi a mantenersi a questi livelli, se si avrà il coraggio di continuare a ridurre il deficit e a preservare la stabilità finanziaria. È questo che rende possibile un clima favorevole all’economia, e che riesce ad attrarre investimenti dall’estero. Bisognerebbe anche fare quelle riforme che dovevano accompagnare il Pnrr, e che sono da anni sulla carta, l’amministrazione della giustizia e la riforma della pubblica amministrazione in primo luogo.

Il fatto che l’Italia oggi senza Pnrr sarebbe in recessione non la preoccupa?

È un discorso meccanico. È certamente vero che una parte del Piano è a debito. Dunque c’è un effetto spiazzamento di altri investimenti pubblici che sarebbero potuti arrivare per altre strade. D’altro canto, il Pnrr stesso ha contribuito a mantenere la crescita con un effetto sulla domanda. Dunque in una certa misura c’è stato un bilanciamento. Quella che il Parlamento si accinge ad in via di esame, è una manovra neutrale dal punto di vista della crescita. Per il futuro io credo che il mantenimento del livello di spesa attuale potrà essere portato avanti ugualmente.

Con quali risorse?

Ho sempre sostenuto che in Italia non c’è mai stato un problema di mancanza di risorse per investimenti pubblici. I soldi ci sono e altri possono arrivare dall’estero. Quello che mancavano erano i progetti. Con il Pnrr c’è stata una specie di corsa ai progetti, con alcuni buoni ed altri meno, perché rispondevano all’esigenza di spendere risorse che c’erano già. Paradossalmente avendo meno risorse si poteva spendere per progetti fatti davvero bene, e quindi in grado di avere un effetto positivo sulla crescita e non solo come sostegno alla domanda. Dopo il Pnrr dovranno essere i ministeri a selezionare i progetti da portare avanti.

Dopo il Pnrr su quali settori bisognerà concentrarsi?

Quelli infrastrutturali, anche immateriali, non solo le cosiddette grandi opere, possono aumentare la produttività degli investimenti privati. La farmaceutica e il biomedicale sono tra quelli più in crescita nel mondo. In generale la salute degli italiani è un campo in cui per motivi anche ovvi si pongono le basi per una maggiore crescita, visto che alla fine sono le persone a produrre. Più in generale bisogna investire massicciamente sulla ricerca scientifica, sull’istruzione e sull’università.

Lei è stato il ministro dell’Economia che ha varato il reddito di cittadinanza. Ce ne sarà bisogno quando sarà finito lo stimolo europeo agli investimenti?

Il reddito di cittadinanza non è stato inteso correttamente. Era una misura pensata come ammortizzatore per accompagnare le persone nel passaggio da una produzione matura a una più avanzata. Servivano politiche attive in grado di portare le persone ad essere occupabili, ma non ci sono state. Questo è avvenuto anche per colpa di norme di attuazione fatte malissimo. Così il reddito di cittadinanza si è tramutato in uno strumento per la ricerca del consenso che teneva fuori dal mercato del lavoro le persone senza reddito o quelle che non ce l’avevano solo nominalmente. Proprio perché ora è connotato come una misura populista di distribuzione del reddito, non credo che in futuro ci sarà e se pure fosse sicuramente non lo chiamerei ‘reddito di cittadinanza’. La priorità deve essere l’investimento nella formazione professionale, nelle scuole e negli istituti tecnici prima ancora che nella università. Mi riferisco a quelli che in America chiamano technical college, cioè percorsi che formano le persone alle nuove tecnologie, senza che questo comporti un percorso accademico.

Che giudizio dà della manovra all’esame delle Camere? 

È una manovra piccola e questo è una fortuna, perché quelle grandi vengono fatte quando ci sono emergenze, significano che qualcosa va male e sono in genere manovre di spreco. Risponde all’esigenza di far diminuire il deficit ed è chiaro che non può essere espansiva. Anche se io penso che il basso tasso di crescita in questo momento sia dovuto più a contraccolpi sull’economia italiana della crisi manifatturiera in Germania. Un aumento di spesa come tale non può avere effetti veri. Molto meglio garantire la stabilità dei conti perchè è apprezzata dai mercati. 

 

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