Pensione forense, la Cassazione apre alla via transattiva
Il rigetto del ricorso di Cassa Forense (sent. n. 2473/2025) conferma la correttezza del comportamento dell’iscritto. Una soluzione negoziata potrebbe prevenire ulteriori giudizi di rinvio e ricorsi destinati, con ogni probabilità, a premiare gli avvocati.
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Ho già trattato il tema in due precedenti miei approfondimenti leggibili cliccando i seguenti link
https://www.filodiritto.com/il-calcolo-della-pensione-degli-avvocati-atto-finale
https://www.ifanews.it/il-calcolo-della-pensione-degli-avvocati-atto-finale
https://www.ifanews.it/il-calcolo-della-pensione-degli-avvocati-atto-secondo
Nelle more è stata pubblicata la sentenza n. 2473/2025, del 03.09.2025, che riguarda proprio la mia posizione personale.
In questo caso la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di Cassa Forense, compensando le spese, per il semplice fatto che la Corte di Appello di Trento aveva ritenuto che – non essendo stato presentato appello incidentale dall’avv. Rosa sulla statuizione di condanna al pagamento delle differenze contributive non prescritte – comunque l’inadempimento e l’inefficacia sarebbero connesse ad una diversa interpretazione della normativa rispetto a quella fatta propria dalla Cassa e dunque non vi sarebbe stato un vero e proprio inadempimento come definito dal regolamento della stessa cui potrebbe conseguire l’inefficacia dell’annualità irregolare.
In buona sostanza io mi sono evitato il giudizio di rinvio per il semplice fatto di non aver appellato il capo della sentenza del Tribunale di Trento che mi aveva condannato a corrispondere la rivalutazione monetaria sulla contribuzione non prescritta.
Il Tribunale di Trento , infatti, con le sentenze n. 101/2018 del 26.04.2018 e n.161/2018 del 17.7.2018 aveva ritenuto “ evidente che l’innalzamento del limite di reddito ex. Art. 10 co 1 L.576/1980 (tetto contributivo ) comporta un innalzamento della prima fascia di reddito sulla quale è calcolato il contributo soggettivo secondo la percentuale del 10% ( e conseguentememte la riduzione della seconda fascia di reddito sulla quale quel calcolo avviene secondo la minore percentuale del 3%).Quindi deve essere dichiarato che il ricorrente è tenuto a versare in favore della Cassa convenuta le differenze contributive dovute in conseguenza della rivalutazione ex art. 27 ult.co. e 16 co 4 L 576/1980 secondo la variazione dell’indice Istat 1979/1980 e non prescritte quantificate in euro 10.624,82 , con gli interessi legali dalla domanda al saldo.
Somma che io ho pagato deducendola Cassa Forense dall’importo degli arretrati dovuto e accertato in sentenza nell’importo di euro 38.944,85 con gli interessi legali dalla domanda al saldo.
In tutte le altre vertenze, la causa dovrà essere riassunta davanti al Giudice del rinvio per gli accertamenti conseguenti all’applicazione del seguente principio di diritto: “in tema di previdenza forense, i redditi da prendere a riferimento per il calcolo della pensione di vecchiaia, ai sensi dell’art. 2, legge n. 576/1980, sono quelli coperti da contribuzione effettivamente versata, sicché, in caso di applicazione su tali redditi di un coefficiente di rivalutazione ISTAT inferiore a quello dovuto, con corrispondente minor contribuzione versata ai sensi degli artt. 10 e 18 comma 4, la pensione di vecchiaia va calcolata prendendo a riferimento i redditi rivalutati secondo il minor coefficiente applicato, anziché secondo quello maggiore dovuto”.
Avanti al Giudice del rinvio si dovrà fare applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 1176, primo comma e 1218 c.c.
L’art. 1176 c.c. richiede la diligenza nell’adempimento mentre l’art. 1218 afferma che la prova liberatoria per escludere la responsabilità del debitore, in questo caso dell’iscritto a Cassa Forense, deve avere ad oggetto l’impossibilità della prestazione.
“L’art. 1229 c.c. si deve leggere infatti in relazione al disposto dell’art. 1218 c.c.: in linea generale l’onere del debitore “che non esegue esattamente la prestazione dovuta” di provare la non imputabilità dell’inadempimento della prestazione a suo carico, disciplinato dall’art. 1218 c.c., è da correlare al fatto che detta prestazione ricade nella sua sfera di controllo e non al fatto che la colpa, pur presunta, sia considerata la normalità; ne consegue che l’esistenza della clausola di esonero da responsabilità per l’inadempimento della prestazione di cui all’art. 1229 c.c., che si fonda sulla valorizzazione dell’elemento soggettivo dell’agire del debitore, opera in relazione all’esclusione di responsabilità in ipotesi di colpa e più precisamente in ipotesi di colpa lieve del debitore, essendo specificamente colpite da nullità le pattuizioni di esonero di responsabilità per dolo o colpa grave; ciò comporta comunque per il debitore inadempiente esonerato l’onere di provare o l’esistenza di una causa al di fuori del suo potere di controllo -che escluderebbe una sua responsabilità già ai sensi dell’art. 1218 c.c., escludendo in radice anche la colpa- o una situazione di colpa lieve -che non rileverebbe ai sensi dell’art. 1218 c.c. ma attiverebbe l’esonero di cui all’art. 1229 c.c.– (cfr., al riguardo, Cass. n.1656/1981, secondo cui “Dal coordinamento delle Disposizioni di cui agli artt 1229 – che consente le clausole che escludono o limitano la responsabilita del debitore per colpa lieve nell’inadempimento e nell’inesatto adempimento – e 1218 cod. civ. – che pone, in via presuntiva, tale responsabilita a carico del debitore, salva la prova che l’inadempimento o il ritardo sia derivato esclusivamente da causa, esattamente individuata, a lui non imputabile – deriva che – in presenza di una clausola siffatta e qualora l’adempimento sia mancato o sia stato inesatto – il debitore ha l’onere di provare o l’esistenza di una causa a lui estranea, cioe al di fuori del suo potere di controllo, che abbia determinato l’inadempimento (o l’inesatto adempimento), oppure che la sua attività (od inattività) concreti semplicemente una colpa lieve, senza trascendere nella colpa grave o nel dolo, restando altrimenti a suo carico la responsabilità per l’inadempimento (od inesatto adempimento)”; in termini Cass. n.4020/1984; Cass. n.9810/1997; Cass. n.6826/1998).” Cass, sez.II 25.07.2025 n.21310.
Io, pur occupandomi di previdenza da oltre 40 anni, ho molti dubbi nella risoluzione di questo caso , perché l’iscritto è stato sicuramente diligente nell’adempimento di quanto gli era richiesto di fare e cioè dichiarare il proprio reddito, quale risultante dalla dichiarazione fiscale, calcolare e versare la contribuzione richiesta.
Io suggerirei ad entrambe le parti, e cioè sia a Cassa Forense che all’iscritto, di sedersi al tavolo e trovare una soluzione transattiva, così da evitare sia la sentenza del Giudice del rinvio, che in molti casi si è già pronunciato a favore dell’iscritto, sia il successivo ricorso in Cassazione che in caso di esito positivo per l’iscritto, come io prevedo, obbligherebbe poi Cassa Forense a riliquidare tutte le posizioni interessante da questo problema.
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