Anno: XXV - Numero 66    
Giovedì 18 Aprile 2024 ore 13:00
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Le diseguaglianze reddituali e la previdenza

In questi giorni l’Istat ha pubblicato il suo Rapporto annuale, e la Ragioneria Generale dello Stato e Dipartimento del Tesoro del Ministero dell’Economia e delle Finanze ha pubblicato il Report sulle diseguaglianze di genere in Italia e il potenziale contributo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per ridurle.

Le diseguaglianze reddituali e la previdenza

Entrambi i report si trovano sui siti ufficiali e consiglio a tutti di leggerli.

Rapporto annuale 2021. La situazione del Paese.

A metà del 2021, le conseguenze dell’emergenza sanitaria caratterizzano ancora il quadro economico e sociale. La recessione globale è stata violenta e di breve durata, con un rimbalzo favorito dalle misure di sostegno e una ripresa dell’attività economica in tutte le principali economie. Il Pil italiano, dopo la caduta dell’anno passato (-8,9%) dovuta essenzialmente al crollo della domanda interna, è previsto in rialzo del 4,7% nel 2021.

Nel primo trimestre 2021 si registrano forti miglioramenti nella manifattura, nelle costruzioni e in alcuni comparti del terziario e anche le prospettive di brevissimo periodo sono decisamente positive (in base ai risultati dell’indagine sui climi di fiducia di imprese e consumatori).

Nonostante un moderato recupero occupazionale nei mesi recenti, a maggio ci sono 735mila occupati in meno rispetto a prima dell’emergenza. Sul fronte dei prezzi, la dinamica è stata quasi nulla nel 2020 ma nei primi mesi del 2021 la risalita del prezzo del petrolio e il recupero dell’attività hanno alimentato moderate spinte inflazionistiche. Per rendere possibili le misure di contrasto all’emergenza sono stati sospesi i vincoli del Patto di stabilità e crescita e il deficit pubblico è salito in Italia al 9,5% del Pil.

I trasferimenti alle famiglie hanno limitato la caduta del reddito disponibile (-2,8%). Il calo dei consumi è stato ben più ampio di quello del reddito, di conseguenza il tasso di risparmio è quasi raddoppiato. I consumi sono scesi più nel Nord che nel Centro e nel Mezzogiorno. Nel complesso, la spesa per alimentari e per l’abitazione è rimasta invariata, mentre si sono ridotte molto quelle più colpite dalle misure restrittive sulle attività e dalle limitazioni agli spostamenti e alla socialità. L’incidenza della povertà assoluta, misurata sui consumi, è in forte crescita, soprattutto nel Nord. Le misure di contenimento dell’emergenza sanitaria hanno modificato l’organizzazione dei tempi della popolazione, ma si osserva un graduale ritorno verso una quotidianità più vicina a quella pre-crisi.

Dal Report sulle disuguaglianze di genere in Italia trascrivo, dalla pag. 15, un passaggio che mi sembra importante.

Anche per quanto riguarda l’ambito pensionistico si riscontrano divari di genere rilevanti: le donne ricevono una pensione che in media è inferiore a quella degli uomini a causa di una carriera lavorativa frammentata, caratterizzata da impieghi in settori economici meno remunerati e da un maggior ricorso a lavori part-time e con contratti temporanei, scelti anche per soddisfare esigenze di conciliazione vita-lavoro. Secondo i dati del 2018, il trattamento pensionistico delle donne è in media del 32 per cento inferiore rispetto a quello degli uomini, sebbene le donne abbiano una ricchezza pensionistica (ossia l’intero flusso di pagamenti che il pensionato riceverà fino a una sopravvivenza media, al netto del prelievo contributivo e fiscale) relativamente superiore a causa di un’aspettativa di vita più lunga.

Riquadro II – Gender pay gap e strumenti per la parità di genere nelle politiche aziendali in Italia.

I differenziali retributivi in Italia.

In Italia, nel 2018, il gender pay gap (GPG), ovvero il differenziale retributivo di genere calcolato come differenza percentuale tra la retribuzione oraria di uomini e donne rapportata a quella maschile, è pari al 6,2 per cento e deriva da una retribuzione oraria media di 16,2 euro per gli uomini e 15,2 euro per le donne. Tuttavia, emerge una grande differenza se si scompone tra comparto a controllo pubblico (2 per cento), dove le donne rappresentano il 55,4 per cento degli occupati, e quello a controllo privato (17,7 per cento). Il differenziale retributivo è poi più pronunciato tra i laureati (18 per cento), dove il confronto è tra 19,6 euro per le donne e 23,9 euro per gli uomini, ma anche tra i dipendenti con livello di istruzione primaria (15 per cento, corrispondente a 10 euro per le donne e a 12,7 euro per gli uomini). Il divario retributivo più alto, pari al 27,3 per cento, si rileva tra i Dirigenti – categoria professionale in cui la presenza delle donne è minore e per la quale si registrano le retribuzioni orarie più alte (33,6 euro per le donne e 46,2 euro per gli uomini). Il divario retributivo più basso si rileva, invece, nelle professioni non qualificate (9,3 per cento), in corrispondenza delle retribuzioni più basse (9,7 euro per le donne e 10,7 euro per gli uomini).

Ai fini del confronto tra Paesi dell’Unione europea, l’indicatore GPG utilizzato misura per l’Italia nel 2018 un divario pari a 5,5 per cento, in calo rispetto al 2014 (6,1 per cento) e inferiore alla media UE-28, pari a 15,3 per cento. Tuttavia, limitando l’analisi al solo comparto a controllo privato, il GPG italiano raggiunge il 17,7 per cento (nel comparto a controllo pubblico, dove maggiore è la presenza di donne, il GPG è pari a 4,4 per cento). L’apparente contenuto divario registrato in Italia è dovuto al fatto che l’indicatore calcolato sulla sola base delle retribuzioni orarie è molto grezzo e non tiene conto di variabili fondamentali come il tasso di occupazione, i livelli di istruzione, i tempi di lavoro o settore di occupazione. Al riguardo, si segnala che l’Eurostat fornisce anche statistiche sui divari retributivi di genere nei guadagni complessivi (gender overall earnings gap, GOEG), attraverso un indicatore che tiene conto di tre fattori: la retribuzione oraria, le ore retribuite mensili, il tasso di occupazione. Nel 2018 il valore dell’indicatore è pari al 43 per cento per l’Italia, a fronte di un valore medio per i Paesi dell’Unione europea (UE-27) del 36,7 per cento. Il GOEG varia fortemente tra i Paesi dell’UE, passando dal 20,4 per cento della Lituania al 44,2 per cento di Austria e Paesi Bassi (l’Italia è il secondo Paese con il valore più alto). Le tre componenti che determinano il valore complessivo del GEOG hanno pesi molto differenziati nei diversi Paesi. In Italia, il GOEG è attribuibile per il 55,4 per cento al divario di genere nei tassi di occupazione, per il 34,7 per cento al divario di genere nelle ore lavorate e solo per il 9,9 per cento al divario nelle retribuzioni orarie.

Per quanto riguarda la dinamica dei differenziali retributivi di genere e le politiche retributive aziendali, un recente studio per l’Italia, basato su dati di fonte INPS relativi alle imprese del settore privato, indica che il differenziale salariale di genere stimato in media tra 1995 e il 2015 è pari al 21 per cento, il 30 per cento del quale risulta spiegato dalle differenze nelle politiche salariali applicate dalle imprese. Al divario delle retribuzioni potrebbe contribuire, ad esempio, il sistema di contrattazione collettiva e aziendale con riferimento al fatto che i premi di produttività sono basati principalmente sulla presenza effettiva in servizio, che può generare una forma di discriminazione indiretta per le donne, data la forte asimmetria a svantaggio delle donne nel carico di lavoro di cura in famiglia. Le evidenze disponibili mostrano inoltre che a fronte di un differenziale salariale di genere complessivamente decrescente nel tempo si registra una quota crescente di tale differenziale spiegata dalle politiche salariali delle imprese.

Da Diritto e Giustizia

 

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