Anno: XXVI - Numero 169    
Mercoledì 3 Settembre 2025 ore 13:45
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La legge sopra ogni giudice, politico o burocrate.

Marta Cartabia: I giudici e lo stato di diritto

La legge sopra ogni giudice, politico o burocrate.

Se chiediamo all’IA di spiegaci che cosa significa questa frase, la risposta è la seguente: “è un’affermazione che sottolinea l’obbligo e la funzione di tutte le istituzioni e dei funzionari pubblici nel garantire il rispetto delle leggi statali, indipendentemente da interessi personali, politici o legati alla carica. In un sistema legale democratico e costituzionale, nessuno è al di sopra della legge e tutti sono tenuti ad applicarla o a contribuire alla sua corretta applicazione”.

Giuffrè ha pubblicato gli atti del convegno “Il giudice e lo stato di diritto”, organizzato dalla Scuola superiore della Magistratura il 10.01.2024.

Nei saluti introduttivi il prof. Giorgio Lattanzi ha esordito affermando che “L’esistenza nell’ordinamento di una figura di giudice indipendente, imparziale e precostituito per legge è uno degli elementi costituitivi dello Stato di diritto. È lui che garantisce il rispetto delle libertà e dei diritti, limita il legislatore, obbligandolo all’osservanza della Costituzione, e assicura la legittimità dell’attività amministrativa”.

Il discorso introduttivo è stato affidato all’autorevole parola della prof.ssa Marta Cartabia la quale, con estrema sobrietà, ha chiarito il senso del tema proposto.

Marta Cartabia

I giudici e lo stato di diritto

Per molto tempo, le garanzie dello Stato di diritto — un tema classico degli studi della filosofia del diritto, della filosofia politica e del diritto costituzionale — sono state oggetto soltanto dell’interesse degli studiosi. Le loro riflessioni sono rimaste a lungo confinate in ambito accademico, senza emergere all’attenzione del dibattito pubblico.

Oggi non è più così.

La grande questione dello Stato di diritto si è posta al centro della vita istituzionale, tanto a livello nazionale, quanto a livello sovranazionale ed internazionale.

I problemi dello Stato di diritto interrogano le istituzioni, non più soltanto studenti e studiosi. Signor Presidente della Repubblica, la Sua presenza qui oggi ne è inequivocabile testimonianza.

A livello sovranazionale, le Corti di Strasburgo e di Lussemburgo sono da tempo impegnate su queste tematiche e sentiremo dalla voce dei loro presidenti gli sviluppi della loro copiosa giurisprudenza.

Ma anche al di là delle aule giudiziarie, è interessante osservare che negli ultimi mesi, sono tornati sul tema molti protagonisti della scena pubblica internazionale:

— la Segretaria Generale del Consiglio d’Europa, Maria Buric, nella presentazione lo scorso maggio del rapporto sullo «Stato della Democrazia, dei Diritti Umani e della Rule of Law» del 2023 (1), ha sottolineato, tra l’altro, le persistenti minacce all’indipendenza dei giudici che si riscontrano in molti paesi del Consiglio d’Europa;

— la Presidente della Commissione Europa, Ursula von der Leyen, nel discorso sullo Stato dell’Unione (2), lo scorso settembre, ha ricordato che la difesa della Rule of Law continua a essere per la Commissione una delle priorità chiave;

— da ultimo, all’inizio del mese di ottobre, anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha pubblicato un documento dedicato a “la nuova visione del Segretario Generale sulla Rule of Law” (3), che si apre con la constatazione che «stiamo sperimentando un declino a livello globale circa il rispetto della rule of law» e prosegue con una serie di azioni e di programmi volti contrastarlo.

Sono solo alcuni degli interventi più recenti, che concordemente denotano motivi di preoccupazione.

La parola declino accompagna sempre più frequentemente le riflessioni sullo Stato di diritto.

Per lungo tempo i valori su cui si fonda la nostra civiltà giuridica sono stati dati per acquisiti e considerati poco più che ovvietà da richiamarsi, con un po’ di enfasi retorica, in qualche discorso di circostanza.

Negli ultimi anni, la storia ci ha posti davanti al fatto che le grandi conquiste dello stato (costituzionale) di diritto sono esposte alle intemperie e al rischio di erosione.

Anche nel vecchio continente, patria della civiltà politica e giuridica, le democrazie possono degenerare in autocrazie; l’indipendenza dei giudici e la garanzia dei diritti possono essere minacciati da regimi politici insofferenti alle limitazioni del potere; i presidi della libertà di pensiero possono essere sovrastati dalle nuove forme di propaganda, che si avvalgono della potenza della comunicazione digitale; la pace può lasciare il campo alla guerra.

È di fronte a questi scenari che va maturando una nuova consapevolezza dell’importanza dei valori costituzionali fondativi della nostra convivenza civile: e dei valori condivisi dall’intera società europea (art. 2 TUE), che tante volte superficialmente abbiamo liquidato come astratte formule retoriche, e che invece mostrano tutta la loro rilevanza nella vita concreta delle persone e della società nel momento in cui entrano in crisi.

L’evento di oggi è dedicato ai «giudici e lo Stato di diritto».

Ci si propone dunque una riflessione focalizzata sul ruolo dei giudici, che costituisce indiscutibilmente una componente imprescindibile dello Stato di diritto.

La separazione e l’indipendenza del giudiziario dal potere politico — iurisdictio et gubernaculum, secondo una distinzione che si usa far risalire all’opera di Lord Bracton, sin dal XIII secolo (4) —sono principi plurisecolari che lo sviluppo della civiltà ci ha tramandato e sono pilastri fondamentali di ogni ordinamento che intenda ispirarsi ai principi dello Stato di diritto, in tutte le diverse variazioni linguistiche — rule of law, Stato di diritto, etat de droit, Rechtstaatlichkeit, — che invero corrispondono a diverse esperienze storiche.

La prima osservazione sul tema, dunque, ci porta a ribadire la centralità dell’indipendenza dei giudici per la sussistenza stessa dello Stato di diritto. Se lo Stato di diritto è essenzialmente soggezione del potere alla legge, è evidente che occorre un giudice, indipendente e imparziale, che quella legge sappia far rispettare. Affinché, sia la legge a governare, e non l’arbitrio di chi detiene più o meno temporaneamente il potere, occorre un giudice chiamato a far rispettare il diritto anche nei confronti del titolare della sovranità e occorre che quel giudice sia indipendente dagli altri poteri.

Nello Stato costituzionale di diritto, che contraddistingue l’epoca contemporanea, direbbe Massimo Luciani (5), la stessa garanzia di indipendenza deve essere estesa, a maggior ragione, anche alle Corti costituzionali o alle corti supreme dotate del compito di assicurare il rispetto della legge fondamentale, della Costituzione.

Lo stesso può e deve essere ripetuto a livello sovranazionale, perché la cornice della legalità che governa l’esercizio del potere oggi non si limita più alla legge ordinaria — come avveniva nello stato liberale del XIX secolo — e costituzionale nazionale — a partire dalla seconda metà del XX secolo — ma ricomprende anche la componente europea.

Dunque, corti e giudici indipendenti — ordinari, costituzionali, europei — sono fattori essenziali di una società dove il diritto regola l’esercizio del potere, senza i quali il potere degenera nella prevalenza del più forte.

La seconda osservazione è che nell’odierno dibattito sullo Stato di diritto, i giudici e le corti vengono in rilievo sotto un duplice profilo:

— da un lato sono tra i soggetti istituzionali più esposti ad attacchi e riforme che ne possono compromettere il ruolo e soprattutto l’indipendenza;

— d’altro lato sono essi stessi in prima fila per difendere lo Stato di diritto e tutti i suoi principi, inclusa l’indipendenza della magistratura, come sentiremo dalle relazioni che seguiranno.

Dunque, bersagli e presidi: i giudici, le Corti si trovano nella posizione di essere allo stesso tempo bersaglio e presidio dello Stato di diritto. Una situazione scomoda e per certi aspetti paradossale.

Gli ultimi decenni ci hanno purtroppo abituati ad una grande sperimentazione di modalità più o meno esplicite, o più o meno sottili e insidiose, per indebolire il ruolo delle corti e dei giudici, e soprattutto la loro indipendenza.

Uno sguardo al diritto comparato (6), non solo europeo, mostra alcune pratiche ricorrenti, che destano a dir poco preoccupazione.

Un primo gruppo di interventi indebolisce i giudici mettendo a rischio la loro indipendenza, qualità fondamentale e imprescindibile perché un giudice sia tale. “Packing the court”: in questo primo gruppo si possono annoverare varie tecniche per “impacchettare le corti”, come si dice con espressione colorita: cioè per assicurare che i ruoli fondamentali del potere giudiziario, specie nelle corti costituzionali o supreme, siano ricoperti da giudici accondiscendenti con il potere politico. Di qui la tentazione di allargare o restringere le dimensioni di una Corte, per creare lo spazio necessario a nominare giudici compiacenti, o viceversa per liberarsi di giudici scomodi, magari attraverso oculate riforme dell’età pensionabile. Ancora, accelerare o rallentare le nomine dei giudici, per poter approfittare di contingenze più favorevoli. Oppure affidare la nomina dei giudici a organi controllati dalla maggioranza politica del momento, ciò che si può verificare anche abbassando le maggioranze qualificate previste in molti paesi per la nomina dei giudici delle corti supreme o costituzionali.

Un secondo gruppo di interventi, agisce invece sui poteri e sulle funzioni delle Corti, soprattutto delle Corti dotate del potere di controllo di costituzionalità delle leggi: si ampliano le “zone franche” dal controllo giurisdizionale, sottraendo settori dell’azione pubblica ad ogni forma di sindacabilità in sede giurisdizionale; oppure si limitano i criteri di giudizio delle Corti: i primi ad essere messi in discussione sono il giudizio di ragionevolezza e di proporzionalità, dato che attraverso di essi i giudici esercitano la più ampia discrezionalità; o ancora si introducono strumenti che possono di fatto neutralizzare l’opera delle corti, estendendo meccanismi elaborati in precise contingenze storiche a contesti dove assumono un significato tutt’affatto diverso: come la clausola “notwithstanding”, che in Canada consente al legislatore di continuare ad applicare le leggi nonostante — notwithstanding, appunto — la Corte suprema abbia ravvisato elementi di incostituzionalità; oppure si richiede che le corti per giungere alla dichiarazione di illegittimità costituzionale debbano pronunciarsi con maggioranze particolarmente elevate.

La disamina potrebbe continuare.

E naturalmente è la combinazione di una pluralità di interventi “riformatori” di questa natura a destare maggiori preoccupazioni (7).

E mi preme sottolineare che si tratta di esempi tratti da esperienze costituzionali reali, non immaginate a tavolino.

Le Corti e i giudici, che nel corso della seconda metà del XX hanno acquisito un ruolo di protagonisti negli ordinamenti costituzionali nazionali ed europei, specie nella difesa dei diritti fondamentali della persona, oggi sono esposti a molteplici insidie.

A fronte di questa erosione dello Stato di diritto gli ordinamenti hanno reagito mettendo in atto tutte le garanzie a disposizione ed elaborandone di ulteriori. Oggi, nel panorama europeo, possiamo individuare almeno quattro ordini di strumenti volti a contrastare le minacce allo Stato di diritto in generale e all’integrità del potere giudiziario più specificamente. A tutela dello Stato di diritto, l’Europa si sta muovendo contemporaneamente con strumenti di carattere:

— giudiziario

— politico

— finanziarie

— dialogico-persuasivo

Le prime contromisure di fronte alle sfide allo Stato di diritto sono state messe in atto dalle Corti stesse. E sentiremo nel prosieguo della mattinata la voci delle corti europee e della corte costituzionale.

Su questo punto perciò non mi soffermo, se non per sottolineare la paradossale situazione in cui si possono trovare le corti: come dicevamo ad un tempo bersaglio e presidio della loro indipendenza. Pensiamo alla situazione della Corte suprema di Israele, chiamata a giudicare, proprio in questo tragico momento per la vita del paese, la costituzionalità di una riforma approvata dalla Knesset che riduce i poteri della Corte suprema stessa, eliminando il giudizio di ragionevolezza sugli atti del governo (8). Nemo iudex in causa sua.

Nel caso europeo le cose stanno un po’ diversamente, perché i giudici nazionali in Europa non sono soli: la rete delle Corti europee permette che a difesa delle corti nazionali possa sempre essere attivato un intervento giudiziario terzo rispetto a quello dei giudici colpiti da atti che ne minacciano l’indipendenza. In Europa, a fronte di rischi per la tenuta del diritto all’effettiva tutela giurisdizionale davanti a un giudice indipendente e imparziale i cittadini possono sempre rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, e i giudici stessi possono chiamare in causa la Corte di giustizia dell’Unione europea, come di fatto è frequentemente accaduto nel corso degli ultimi anni.

Certo, non si possono sottacere le difficoltà che incontrano le Corti a difendere lo Stato di diritto, quando le sfide non dipendono da singole specifiche violazioni, ma da rischi sistemici, derivanti dal disconoscimento graduale e diffuso dei principi consolidati su cui si regge l’intero ordinamento.

Ed è proprio il diffondersi di degenerazioni sistemiche dello Stato di diritto che ha portato ad attivare altri strumenti e a metterne in campo di nuovi.

Con poco successo è stato invocato l’art. 7 del Trattato sull’Unione europea, che prevede una procedura politica che può sfociare nella sospensione dei diritti di uno Stato membro all’interno dell’Unione di fronte alla violazione seria e persistente dei suoi valori fondativi, tra cui quelli dello Stato di diritto.

Più efficace sembra essere invece lo strumento della condizionalità, entrato in vigore con il regolamento n. 2092 del 2020 che dà alla Commissione il potere di assoggettare l’erogazione dei fondi europei al rispetto di determinate condizioni da parte dello Stato membro beneficiario, tra cui anche i principi dello Stato di diritto. Questo regolamento, censurato davanti alla Corte di giustizia da parte di due stati membri, ha superato il vaglio della Corte (9). Si tratta di un meccanismo già conosciuto a livello internazionale e che in qualche modo si modella sulla falsariga della condizionalità a cui si devono assoggettare gli Stati che desiderano candidarsi a fare ingresso nell’Unione. Nudging, direbbe Cass Sustein: si incentiva un rinnovamento dei sistemi istituzionali dall’interno, attraverso il ricorso alla leva finanziaria (10).

Nello stesso periodo, la Commissione europea a partire dal 2020 ha anche attivato il cd. Meccanismo europeo della rule of law, una procedura condotta dalla Commissione europea, che con cadenza annuale coinvolge le istituzioni nazionali ed europee e anche la società civile in una verifica sul rispetto dei principi dello Stato di diritto nei diversi ordinamenti. Non si tratta di un meccanismo coercitivo volto a sfociare in procedure sanzionatorie. È uno strumento che scommette sul dialogo, sulla trasparenza, sulla collaborazione sulla forza della persuasione. Nel rapporto annuale sullo Stato di diritto, la Commissione fa emergere elementi critici e sviluppi positivi in ciascuno degli stati membri e nella stessa unione. È un modo per guardarsi allo specchio e per confrontarsi con gli altri ordinamenti, di nuovo al fine di sollecitare un procedimento virtuoso di autoriforma.

Di analoga natura — dialogica, collaborativa, persuasiva — è il lavoro della Commissione di Venezia — la Commissione per la democrazia attraverso il diritto del Consiglio d’Europa — che interviene a richiesta dei singoli paesi interessati o, più recentemente anche su sollecitazione dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, per esprimere pareri e raccomandazioni sui singoli aspetti degli ordinamenti nazionali che sono sottoposti alla sua attenzione. Nessun potere coercitivo, ma una grande forza argomentativa e persuasiva sono la fonte della sua autorevolezza.

Il tempo corre veloce e debbo concludere.

Due osservazioni finali.

La storia degli anni recenti ci mostra che il patrimonio della civiltà giuridica e politica che abbiamo voluto mettere al sicuro nei testi fondativi dei nostri ordinamenti non è al riparo dall’azione del tempo. In ambito giuridico, politico e sociale, lo sviluppo della storia non è mai un progresso lineare. Ogni conquista va continuamente riconquistata. E ogni generazione è di fronte a un nuovo inizio. Certamente le nuove generazioni possono costruire sulle esperienze di coloro che le hanno precedute e possono attingere al tesoro dell’intera umanità. Ma possono anche rifiutarlo o ignorarlo. La costruzione delle strutture portanti della convivenza civile non è mai un compito concluso una volta per tutte, ma è una riconquista di ogni giorno.

Il secondo riguarda il ruolo degli strumenti giuridici e istituzionali posti a tutela dei valori fondamentali. Per garantirne la durata nel tempo non è bastato scolpire a chiare lettere nei testi costituzionali, nazionali ed europei, l’indipendenza dei giudici — unitamente a tutti gli altri valori essenziali dello Stato diritto. L’aver consegnato quei valori in testi giuridici di valore superiore agli altri è un fatto importante, così come lo è l’azione delle Corti che li garantiscono.

Ma tutto questo non basta.

Quando il problema non deriva da singole e specifiche violazioni, ma dalla diffusa degradazione del clima culturale e politico, anche il diritto si trova con le armi spuntate.

I giudici, le Corti, sono i primi a dover difendere la loro indipendenza, anzitutto praticandola sempre con orgoglio e fierezza.

Ma non possono essere lasciati soli.

Debbono essere sostenuti da una cultura diffusa.

Per questo oltre agli strumenti giuridici, repressivi o sanzionatori, si stanno sperimentando altre strade, che scommettono anche sulla forza della persuasione, del dialogo e della collaborazione.

Mantenere viva la cultura della limitazione del potere, della soggezione del potere alla legge è un compito corale, di tutte le istituzioni, anche culturali, e di tutta la società.

La posta in gioco, come ci ricordano i classici, è la libertà, di ciascuno e dell’intera società.

Come dice icasticamente Charles de Secondat, Barone di Montesquieu, nel famosissimo libro VI dell’Esprit des Lois «non vi è libertà se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e da quello esecutivo».

L’indipendenza del potere giudiziario, dunque, è una questione di libertà.”

“La fiducia dei cittadini e il prestigio sono il fondamentale presidio dell’indipendenza della magistratura.

Il giudice, con le sue virtù civili e fortificato da un ordinamento che lo garantisce, deve ispirare fiducia e per farlo non solo deve essere imparziale ma deve anche apparire tale.

Non deve potersi anche solo dubitare che il giudice sia parziale, che cioè agisca tradendo la sua naturale posizione di terzietà e prenda in qualche modo parte nella contesa.

Se deve difendere la propria indipendenza, una magistratura che non dà fiducia difficilmente trova il sostegno dei cittadini. In una situazione del genere sarà facile far passare leggi che motivate dalla necessità di rimuovere le cause della sfiducia finiscono con l’incidere sulla stessa indipendenza della magistratura.

Quindi sotto diversi profili la norma è figlia dell’interpretazione del Giudice all’esito di una operazione a volte complessa.

Negare o comprimere l’attività interpretativa del Giudice, perciò, è fuori dalla realtà, ma è anche vero che alla creatività del Giudice non possono non esserci limiti “. (Giorgio Lattanzi)

Ogni cittadino dovrebbe interrogarsi su questi temi che sono universali e non proprietà di questa o altra maggioranza di Governo e prepararsi, culturalmente senza tifo da stadio, al referendum sulla Giustizia.

_______

“(1) 2023 Report of the Secretary General of the Council of Europe – Secretary General (coe.int).

(2) State of the Union Address by President von der Leyen (europa.eu).

(3) A new vision for the rule of law (un.org).

(4) Ch. H. MCILWAIN, Costituzionalismo antico e moderno (1947), Il Mulino, Bologna, 1990, pp. 89 ss., in particolare pp. 96 ss.

(5) M. LUCIANI, Lo Stato di diritto, una prospettiva di diritto comparato – Italia, Servizio Ricerca parlamento europeo, Luglio 2023, pp. 21 ss., www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2023/745682/EPRS_STU(2023)745682_IT.pdf.

(6) Si veda, tra i moltissimi studi, D. KOSAŘ e K. ŠIPULOVÁ, Comparative Court Packing, in ICON (2023), vol. 21, no. 1, pp. 80-126.

(7) Il caso della proposta di riforma della Corte suprema in Israele è forse quello che più di ogni altro emblematicamente riassume la tendenza di questo tempo. Per una sintetica analisi sul punto si rinvia a D. KRETZMER, Israel’s Constitutional Crisis, in Quaderni costituzionali n. 1 del 2023, pp. 178 ss.

(8) Nelle more della pubblicazione del presente testo, è sopraggiunta la decisione della Corte suprema di Israele in data 1 gennaio 2024, nel caso 23/5658, con la quale la Corte si è pronunciata nel senso della illegittimità costituzionale della riforma.

(9) Corte di giustizia dell’Unione europea decisioni del 16 febbraio 2022, C-156/21, Ungheria c. Parlamento e Consiglio, e C-157/21, Polonia c. Parlamento e Consiglio.

(10) Dal titolo di un famoso libro di R.H. THALER e C. R. SUSTEIN, Nudge (2008), the final edition Penguin, London, 2022.

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