Anno: XXVI - Numero 111    
Venerdì 6 Giugno 2025 ore 13:45
Resta aggiornato:

Home » Il divieto del terzo mandato

Il divieto del terzo mandato

Non è una questione politica ma giuridica.

Il divieto del terzo mandato

In questi giorni si è riaperto il dibattito sul terzo mandato dei Governatori delle Regioni e Provincie autonome perché il responsabile organizzazione del Partito Fratelli d’Italia ha detto: “Deve essere una vicenda ampia e seria e non per i casi singoli, non c’è una preclusione ad affrontarla né prima né dopo le prossime regionali”.

Che la vicenda venga usata politicamente per tenere unito il Centro destra è un conto, ma per quanto verrò dicendo la questione non è politica ma soltanto giuridica.

Nel suo ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato in cancelleria il 21.05.2025 dal Presidente del Consiglio dei Ministri avverso la legge della Provincia autonoma di Trento n. 16 del 18.04.2025 si legge:

“Non è immediatamente rieleggibile alla carica di Presidente della Provincia chi sia stato eletto alla carica nelle tre precedenti consultazioni elettorali e abbia esercitato le funzioni per almeno settantadue mesi anche non continuativi precisandosi che questa ulteriore limitazione si applica ai soli presidenti eletti a suffragio universale diretto.

Tale modifica legislativa si pone in contrasto con l’art. 47, secondo comma, dello statuto del Trentino-Alto Adige, per mancato rispetto di uno dei limiti che quest’ultima  disposizione,  di  rango costituzionale, pone a carico della fonte legislativa  statutaria  di cui la Provincia autonoma di Trento fa ora  uso;  collide,  altresì, con gli articoli 2, 3, 48 e 51 della Costituzione, nei termini  oltre argomentati.

Il limite  in  questione è costituito da uno dei «principi dell’ordinamento della Repubblica» stabiliti in materia di  requisiti soggettivi per l’elettorato attivo e passivo per le cariche  elettive delle regioni e delle province autonome,  in  particolare  introdotto dalla legge 2 luglio 2004, n. 165, adottata in  attuazione  di  altra disposizione costituzionale, l’art. 122, primo comma, Cost., relativo alle regioni a statuto ordinario. Il  sistema  elettorale  regionale, ivi inclusi i requisiti soggettivi per l’elettorato attivo e passivo, nonché la disciplina dei mandati, è inquadrato dall’art. 122  della Costituzione, che al primo comma dispone che «Il sistema di  elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta è disciplinato con legge  della  Regione  nel  rispetto  dei  principi  fondamentali stabiliti con legge della Repubblica». Da tale disposizione si ricava che le  regioni  (a  statuto  ordinario)  hanno  sì una  competenza legislativa in materia elettorale, ma  che  questa  è vincolata  al rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalla legge statale, che rappresentano limiti invalicabili per l’autonomia regionale. L’art. 2 della citata legge n. 165 del 2004, appunto attuativa dell’art.  122, primo  comma,  Cost.,  rubricato  «Disposizioni di principio, in attuazione dell’art. 122, primo comma della Costituzione, in  materia di ineleggibilità»,  al  comma  1  stabilisce  che  la   competenza legislativa regionale nella disciplina dei casi di ineleggibilità va esercitata nel rispetto di una serie di principii  fondamentali,  tra cui rileva qui quello di cui alla lettera f): occorre,  da  parte  di ciascuna  legge  regionale,  la  «previsione  della non immediata rieleggibilità allo scadere  del  secondo  mandato  consecutivo  del Presidente della Giunta regionale eletto  a  suffragio  universale  e diretto, sulla base della normativa regionale adottata in materia».

Il  limite  dei  due  mandati  è così  individuato come una disposizione di principio in materia di ineleggibilità alle  cariche di presidente di organo eletto a suffragio universale e diretto.

L’osservanza  di simile limite, a titolo di principio dell’ordinamento, da parte delle Autonomie speciali è imposta oggi e da tempo a norma  dei  rispettivi  statuti  speciali,  che  la  legge costituzionale n. 2 del 2001 ha novellato nel senso che,  oltre  alle Regioni speciali e alla  Provincia  autonoma  di  Bolzano,  anche  la Provincia autonoma di Trento ha potestà legislativa in tema di forma di Governo «e, specificatamente, […]» sui «casi di ineleggibilità», tra  l’altro, alla carica di «Presidente della Provincia» (art. 47, Stat.  TAA, come in tal senso modificato dall’art. 4, comma 1, lettera v), della legge  costituzionale.  n.  2 del 2001).

Questa potestà è sottoposta a un regime del tutto peculiare  di limiti, di ordine procedurale   (possibilità di impugnazione governativa entro trenta giorni dalla pubblicazione  della  legge statutaria ed eventuale sottoposizione a referendum regionale confermativo) oltre che di ordine sostanziale  (è proprio  il  caso dell’insieme di limiti e  vincoli  con  cui  la  citata  disposizione statutaria esordisce, l’«armonia con la  Costituzione  e  i  principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica»  e  «il  rispetto  degli obblighi internazionali»,  oltre  naturalmente  all’osservanza  delle pertinenti disposizioni dello statuto medesimo).

In merito  alla  riconduzione  del  divieto  del  terzo  (intero) mandato consecutivo alla carica di Presidente della Regione  o  della Provincia autonoma alla natura di  principio  dell’ordinamento  della Repubblica in materia elettorale, si evidenzia come, in  presenza  di un sistema di elezione a suffragio universale e diretto delle cariche monocratiche  di  governo,  il  suddetto  divieto  è positivamente formalizzato anche  in  altri  testi  normativi,  relativi  ad  altri livelli di governo (quali il già ricordato art.  51,  comma  2,  del testo unico  dell’ordinamento  degli  enti  locali-TUEL,  per  quanto attiene ai Sindaci dei Comuni con più di 15.000 abitanti).

Al riguardo, è rilevante soffermarsi su almeno due aspetti:

  1. in primo luogo, che  tale  divieto  è indubbiamente  e decisivamente funzionale alla tutela del diritto di  voto,  alla  par condicio fra  i  candidati  e  alla  democraticità complessiva  del sistema di governo, integrando un punto di equilibrio tra  i  diversi valori costituzionali coinvolti;
  2. in secondo luogo, che, conseguentemente, tale  principio non può trovare applicazione differenziata sul piano territoriale, a nulla  rilevando  a  tale  fine  la  differenza  (per  altri  profili sensibile) fra Regioni ordinarie e regioni speciali.

In relazione al primo aspetto,  premesso  che,  in  generale,  il limite  dei  due  mandati  consecutivi in relazione a cariche monocratiche di governo, in  presenza  di  elezione a suffragio universale e diretto, deve essere considerato un  principio  generale di organizzazione in ogni democrazia  matura  (significativo  è,  in proposito, che la Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa,  nel suo report «On democracy, limitation of mandates and  incompatibility of political functions» del 2013, si è pronunciata a favore di tetti ai  mandati a  vari livelli, e  in  particolare per  le cariche monocratiche elettive, prospettandolo come standard  della  materia), rileva che in tal senso si è già espressa la  giurisprudenza  della Corte costituzionale in precedenti occasioni, anche recenti.

Chiamata a pronunciarsi in relazione al divieto del terzo mandato consecutivo per i sindaci dei comuni con popolazione non inferiore  a 5.000  abitanti,  la  Consulta  ha  affermato  che  tale  limite è funzionale a «inverare e garantire ulteriori fondamentali  diritti  e principi costituzionali: l’effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori  e  la  genuinità  complessiva della  competizione  elettorale,  il   fisiologico   ricambio   della rappresentanza politica e, in definitiva,  la  stessa  democraticità degli enti locali» (C. cost., sentenza n. 60/2023). Si tratta  di  un orientamento  ampiamente  condiviso  anche  dalla  giurisprudenza  di legittimità, che ha individuato la ratio del limite:

nello scopo di tutelare «il diritto di  voto  dei  cittadini, che  viene  in  questo  modo  garantito   nella   sua   libertà,   e l’imparzialità dell’amministrazione,  impedendo  la  permanenza  per periodi troppo lunghi nell’esercizio del  potere  di  gestione  degli enti  locali,  che  possono  dar  luogo  ad  anomale  espressioni  di clientelismo» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 26 marzo 2015, n. 6128; in termini, Corte di cassazione,  sezione  prima civile, sentenza 6 dicembre 2007, n. 25497);

nel «favorire il  ricambio  ai  vertici  dell’amministrazione locale  ed  evitare  la  soggettivizzazione   dell’uso   del   potere dell’amministratore  locale»  (Corte  di  cassazione,  sezione  prima civile, sentenze 12 febbraio 2008, n. 3383,  e  20  maggio  2006,  n. 11895);

nell’«evitare fenomeni di sclerotizzazione  della  situazione politico amministrativa locale» (Corte di cassazione,  sezione  prima civile, sentenza 9 ottobre 2007, n. 21100).

Anche la giurisprudenza amministrativa, fin dal 2008, ha statuito che la previsione di un limite al numero di  mandati  consecutivi  si presenta quale «punto di  equilibrio  tra  il  modello  dell’elezione diretta dell’esecutivo e la concentrazione del potere in capo  a  una sola persona che ne deriva», giacche’ la  permanenza  della  medesima persona in una  carica  politica  direttiva  può produrre  «effetti negativi  anche  sulla  par  condicio  delle   elezioni   successive, suscettibili di essere alterate da rendite di  posizione»  (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 9 giugno 2008, n. 2765).

E’ acquisito alla giurisprudenza costituzionale che il  principio dell’accesso alle  cariche  elettive  in  condizioni  di  eguaglianza enunciato nell’art. 51 Cost. svolge «il ruolo di garanzia generale di un diritto politico fondamentale, riconosciuto a ogni cittadino con i caratteri  dell’inviolabilità  (ex art. 2 della Costituzione)» (sentenze n. 25 del 2008, n. 288 del 2007 e n. 539 del 1990).  Questo diritto, «essendo intangibile  nel  suo  contenuto  di  valore,  può essere  unicamente  disciplinato  da  leggi  generali,  che   possono limitarlo  soltanto   al   fine   di   realizzare   altri   interessi costituzionali  altrettanto  fondamentali  e  generali,  senza  porre discriminazioni sostanziali tra cittadino e cittadino, qualunque  sia la Regione o il  luogo  di  appartenenza»  (cfr.  ex  plurimis  Corte costituzionale, sentenza n. 235 del  1988);  considerazioni  analoghe valgono per il più comprensivo diritto di voto sancito nell’art.  48 Cost., del pari coinvolto in quanto l’assetto dell’elettorato  attivo è necessariamente inciso anche  da  vicende  che  pure  direttamente limitano l’elettorato passivo.

Da ultimo, si richiama  la  recentissima  pronuncia  della  Corte costituzionale n. 64 del  2025,  resa  sulla  legge  regionale  della Campania 11 novembre 2024, n. 16, recante «Disposizioni in materia di ineleggibilità alla carica di Presidente della Giunta regionale,  in recepimento dell’art. 2, comma 1, lettera f), della  legge  2  luglio 2004, n. 165».

La Corte ha dichiarato incostituzionale le disposizioni  per  cui non era immediatamente rieleggibile alla carica di  Presidente  della Giunta regionale chi, allo  scadere  del  secondo  mandato,  ha  già ricoperto ininterrottamente tale carica per due mandati  consecutivi, ha tuttavia stabilito che, «ai fini dell’applicazione della  presente disposizione, il computo dei mandati decorre da quello  in  corso  di espletamento alla data di entrata in vigore  della  presente  legge».

Con  tale  ultimo  inciso,  il   legislatore   campano   aveva   reso inapplicabile, per  la  prossima  tornata  elettorale,  il  principio fondamentale del divieto del  terzo  mandato  consecutivo  posto  dal legislatore statale con la legge n.  165  del  2004,  così  violando l’art. 122, primo  comma,  della  Costituzione,  che  attribuisce  al legislatore regionale il compito di  disciplinare,  tra  l’altro,  le ipotesi di ineleggibilità del Presidente della Giunta regionale  nel rispetto  dei  principi  fondamentali  stabiliti  con   legge   della Repubblica.

In relazione al secondo aspetto si osserva che il limite dei  due mandati consecutivi risponde  all’esigenza  di  garantire  l’uniforme esercizio di diritti politici fondamentali  di  elettorato  attivo  e passivo, sanciti dagli articoli 2, 48 e 51 Cost., di tal che  risulta preclusa anche per tale ragione ogni differenziazione di  trattamento su base territoriale.

Tale conclusione, proprio per le  cause  di  ineleggibilità, è stata più volte  adottata  da  codesta  Corte;  particolare  rilievo assume, a riguardo, la citata sentenza n. 60/2023, con cui  è stata dichiarata incostituzionale la legge  11  aprile  2022,  n.  9  della Regione autonoma della Sardegna  concernente  il  numero  massimo  di mandati consecutivi dei sindaci, ivi fissato in  misura  superiore  a quella individuata dalla normativa statale.

La Corte, pur riconoscendo che alle Regioni  a  statuto  speciale compete legiferare in materia di ordinamento degli  enti  locali,  ha ricordato che questa competenza deve essere esercitata  nel  rispetto della Costituzione e dei principi dell’ordinamento della Repubblica.

In particolare, la  Corte  ha  non  soltanto  affermato  che  «la previsione del numero massimo dei mandati consecutivi  –  in  stretta connessione con l’elezione diretta dell’organo di  vertice  dell’ente locale, a cui fa da ponderato  contraltare  –  riflette  infatti  una scelta normativa idonea a inverare e garantire ulteriori fondamentali diritti e principi costituzionali: l’effettiva  par  condicio  tra  i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e  la  genuinità complessiva della competizione elettorale,  il  fisiologico  ricambio della  rappresentanza  politica   e,   in   definitiva,   la   stessa democraticità  degli  enti  locali»;  ma   ha   anche   sottolineato l’importanza di una disciplina uniforme sul territorio nazionale  per quanto riguarda l’accesso alle cariche elettive, al fine di garantire l’uguaglianza sostanziale tra i cittadini e la  democraticità  degli enti locali.

Ne consegue che soltanto leggi generali della Repubblica  possono limitare diritti politici  fondamentali,  individuando  il  punto  di equilibrio indefettibile e inderogabile fra il diritto di  elettorato e il principio democratico.

Una disciplina derogatoria – sia essa riferibile a regioni  ordinarie  o  autonomie  speciali  –  non  può alterare questo punto di equilibrio, se non violando gli articoli  2, 3, 48 e 51 Cost.

Nell’esprimersi nei medesimi termini con la sentenza n.  143  del 2010, in specifico riferimento alla  potestà  legislativa  esclusiva della Regione Siciliana in tema di ineleggibilità e incompatibilità dei consiglieri degli enti locali (prevista dallo Statuto), la  Corte costituzionale già aveva sancito che  «la  disciplina  regionale  di accesso alle cariche elettive deve essere  strettamente  conforme  ai principi  della  legislazione  statale,  a  causa  dell’esigenza   di uniformità   in   tutto   il   territorio   nazionale    discendente dall’identità di  interessi  che  Comuni  e  Province  rappresentano riguardo alle rispettive comunità locali, quale che sia  la  regione di appartenenza».

In tale occasione, la Corte costituzionale  aveva  precisato  che «discipline differenziate sono legittime  sul  piano  costituzionale, solo se trovano ragionevole fondamento in situazioni peculiari idonee a  giustificare  il  trattamento  privilegiato   riconosciuto   dalla disposizione censurate», tornando a ribadire la  già in  precedenza evocata  possibilità che  emerga  la  «necessità di  adattare  la disciplina normativa alle particolari esigenze locali»  (Corte  cost. sentenza n. 82 del 1982); allo stesso modo, anche nella citata,  più recente sentenza n. 60/2023, ha ribadito ancora che  uno  scostamento dalla disciplina statale è possibile «in  presenza  di  “particolari situazioni ambientali” (sentenza  n.  283  del  2010)  o  “condizioni peculiari locali” (sentenze n. 143 del 2010 e n.  276  del  1997),  o “condizioni locali del tutto peculiari o  eccezionali”  (sentenza  n. 539 del 1990), ossia “in presenza di situazioni concernenti categorie di soggetti, le quali siano esclusive” per la  regione  ad  autonomia speciale, “ovvero si presentino diverse, messe a raffronto con quelle proprie delle stesse categorie di soggetti  nel  restante  territorio nazionale” (sentenza n. 288 del 2007; in termini  identici,  sentenza n. 108 del 1969), o,  ancora,  “solo  per  particolari  categorie  di soggetti che siano esclusive della  Regione”  (sentenza  n.  189  del 1971)».

Tuttavia, con  ogni  evidenza,  nessuna  di  queste  peculiarità locali, del tutto eccezionalmente legittimanti interventi  derogatori rispetto al punto di equilibrio fissato unitariamente dalla normativa statale,  è rinvenibile  nel  caso   in   esame:   non   dimensioni demografiche singolarmente contenute,  non  peculiarità  geografiche specificamente proprie della sola Provincia autonoma di  Trento,  non condizioni  lato  sensu   ambientali   che   richiedano   particolari discipline  ai  fini  della  selezione  di  eccentrici  requisiti  di elettorato (attivo e) passivo per l’accesso alla carica presidenziale in questione.

Pertanto, tenuto conto che  la  materia  dell’ineleggibilità  è affidata alla competenza  legislativa  «statutaria»  della  Provincia autonoma, che deve esercitarla nel rispetto della Costituzione e  dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica (oltre che degli obblighi  internazionali  e  delle  disposizioni  statutarie),   deve concludersi che la legge  della  Provincia  autonoma  di  Trento  non rispetta il prefato principio dell’ordinamento della  Repubblica,  in violazione dell’art. 47, comma 2 dello Statuto.

La legge  provinciale  impugnata  viola  anche  il  principio  di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, cui  da’  “compiuta attuazione” (cfr. sentenza Corte costituzionale n. 60/2023) l’art. 51 della  Costituzione  in  tema  di  accesso  alle  cariche   pubbliche elettive.

Infatti, avendo la legge n. 165 del 2004 stabilito la durata  dei mandati dei Presidenti di Giunta regionale nel limite di due mandati, con coerente corrispondenza  peraltro  nel  testo  unico  degli  enti locali (art. 51), che del pari fissa in due mandati anche  il  limite di eleggibilità per i Presidenti di  provincia  (fintantoché erano eletti direttamente, dunque nell’assetto previgente alla sopraggiunta riforma operata dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, c.d. legge  Delrio) e i Sindaci (sia pure con popolazione superiore ai  15.000  abitanti, con graduazione del limite per quelli con  popolazione  compresa  tra 5.000 e 15.000), l’attuale previsione del superamento di tale  limite per il Presidente della Provincia autonoma di  Trento  configura  una palese violazione del principio di uguaglianza tra tutti i  cittadini che si candidano a  rivestire  corrispondenti  cariche  sul  medesimo territorio italiano.

Tanto  ciò  è vero  che  l’art.  14  della  legge   elettorale provinciale del 2003 – e cioè della legge provinciale 5 marzo  2003, n. 2 (Norme per  l’elezione  diretta  del  Consiglio  provinciale  di Trento  e  del  Presidente  della  Provincia)  nella  sua  originaria formulazione, aveva coerentemente con il sistema  stabilito  «Non  è immediatamente rieleggibile alla carica di Presidente della Provincia chi sia stato eletto alla carica nelle due  precedenti  consultazioni elettorali e abbia esercitato le funzioni per almeno quarantotto mesi anche non  continuativi.  Questa  disposizione  si  applica  ai  soli presidenti eletti a suffragio universale diretto.».

La previsione della Provincia autonoma del limite dei due mandati consecutivi, nell’originaria versione  della  legge  provinciale  del 2003 era dunque la sola legittima perché in linea:

con  il  limite  vigente  per  i  Sindaci  e  Presidenti   di Provincia;

con limite previsto per il Presidente della Regione Siciliana per effetto del richiamato  art.  1  della  legge  costituzionale  31 gennaio 2001;

con il limite previsto dall’art. 2, comma 1, lettera f) della legge 2 luglio 2004, n. 165, recante, come visto,  il  principio  del divieto di terzo mandato per i  Presidenti  delle  Regioni  eletti  a suffragio universale e diretto.

In tale situazione, la legge provinciale impugnata, nell’ampliare il limite dei mandati consecutivi a tre, per  un  organo  monocratico eletto a suffragio  universale  diretto,  dotato  di  ampi  poteri  e nell’ambito di  un  vasto  ambito  territoriale,  appare  ictu  oculi incoerente ed irragionevole rispetto al limite che, invece, opera per tutte le altre cariche monocratiche di  Governo  parimenti  elette  a suffragio universale (quali i Presidenti delle Regioni  e  i  Sindaci dei comuni sopra i 15.000 abitanti).

L’art. 14, comma 2, citato,  nella  sua  nuova  formulazione  che scaturisce dalla legge provinciale impugnata, da’ vita ad un  assetto che in definitiva  pregiudica  i  fondamentali  diritti  politici  da assicurare a tutti i cittadini sull’intero  territorio  italiano  per mezzo di  una  disciplina  del  numero  dei  mandati  consecutivi  di Presidente della Provincia  autonoma  ingiustificatamente  eccentrico rispetto  alle  previsioni  unitariamente  fissate  dalla   normativa statale; esso, configura, dunque, una palese violazione del principio di uguaglianza  ex  art.  3  della  Costituzione,  nella  particolare declinazione in relazione all’accesso alle cariche pubbliche elettive di cui all’art. 51 della Costituzione, con i ripercorsi  addentellati lesivi anche a carico dell’elettorato attivo  radicato  nell’art.  48 della Costituzione.

Alla luce di quanto sopra esposto l’art. 14, comma 2, della legge elettorale della Provincia autonoma di Trento 5  marzo  2003,  n.  2, come modificato dalla legge impugnata del 18 aprile 2025, risulta  in contrasto  con  l’art.  47,  secondo   comma,   dello   Statuto   del Trentino-Alto Adige, e con articoli 2, 3, 48 e 51 della Costituzione.»

 

© Riproduzione riservata

Iscriviti alla newsletter!Ricevi gli aggiornamenti settimanali delle notizie più importanti tra cui: articoli, video, eventi, corsi di formazione e libri inerenti la tua professione.

ISCRIVITI

Altre Notizie della sezione

Una proposta indecente

Una proposta indecente

04 Giugno 2025

e Il 16 aprile 2025 il Senato, dopo averlo approvato, ha trasmesso alla Camera il DDL 2365 “Misure di garanzia per l’erogazione delle prestazioni sanitarie e altre disposizioni in materia sanitaria”.

Archivio sezione

Commenti


×

Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie.