Anno: XXVI - Numero 241    
Martedì 16 Dicembre 2025 ore 13:15
Resta aggiornato:

Home » Il destino dell’Unione europea

Il destino dell'Unione europea

L'Ue ha tutte le risorse per giocare alla pari con gli altri grandi player della terra. Ma per riuscirci ha bisogno di mettere in campo le riforme che ne facciano un soggetto coeso e con effettiva e tempestiva capacità decisoria.

Il destino dell'Unione europea

L’Unione europea vive il momento più critico da quando esiste. Due guerre alle porte di casa dagli esiti imprevedibili e che in ogni caso incideranno sulla sicurezza e la stabilità del continente. L’esaurirsi di quell’alleanza transatlantica che per ottant’anni ha visto Europa e Stati Uniti rappresentare insieme i valori dello Stato liberale e della democrazia rappresentativa. Lo smantellamento del multilateralismo sostituito da una riorganizzazione del mondo fondata sulle relazione tra i grandi Paesi e sul dominio della forza economica o militare, scenario che nega in radice l’identità e la vocazione dell’Europa. Un’offensiva congiunta di Russia e Stati Uniti, tesa a delegittimare l’Europa negandole alcun ruolo. Una coesione europea interna indebolita dal peso di governi sovranisti presenti in molti Paesi.

 Da più parti vengono sollecitazioni a un salto di qualità, un colpo di reni che restituisca all’Unione europea coesione e capacità di iniziativa. Sollecitazione giustissima che per realizzarsi non può eludere un nodo strutturale: la attuale configurazione istituzionale dell’Unione è una delle ragioni della sua debolezza.

 Quando a Maastricht si decise la costituzione dell’Unione europea si articolò la sua struttura su tre pilastri: il primo relativo alle materie economiche in forma di “Unione sovranazionale” con responsabilità della Commissione e precise funzioni affidate a Ecofin e BCE, mentre il secondo pilastro su politica estera e di sicurezza e il terzo pilastro su giustizia e affari interni furono strutturate come “Unioni intergovernative” senza organi sovranazionali dedicati e affidate nella loro gestione ai Consigli dei Ministri competenti e al Consiglio europeo. In altri termini mentre le materie economiche sono affidate a enti europei distinti dai governi nazionali, le altre materie strategiche sono affidate direttamente alla concertazione tra gli Stati membri. Ed è evidente che di fronte a ogni decisione ogni ministro tenderà a tener conto più delle dinamiche politiche del proprio Paese che dell’interesse europeo e quindi nei fatti su quelle materie le decisioni rischiano ogni volta di assestarsi sul minimo consenso comune, reso più vincolante dal voto all’unanimità.

Mi sono dilungato su questa illustrazione per rendere evidente che un salto di qualità verso una Unione che – per usare la espressione di Draghi “si comporti come uno Stato” – richiede la volontà politica di mettere mano a un diverso assetto istituzionale passando anche sulle materie strategiche dalla sola dimensione intergovernativa a una Unione sovranazionale. Ma un passaggio del genere è particolarmente arduo in un’Europa con metà degli Stati membri guidati direttamente o indirettamente da forze sovraniste ed euroscettiche il cui obiettivo è smantellare l’Unione europea riducendola a sola camera di compensazione tra interessi statali.

Questa critica situazione è d’altra parte visibile nella frammentazione in corso: di fronte alla difficoltà di decidere a 27, Francia e Germania tendono a stabilire un rapporto sempre più stretto con la Gran Bretagna, agganciando via via i partner in quel momento utili (ad esempio la Polonia sul dossier ucraino). Su un dossier critico come l’Ucraina sono evidenti le divaricazioni di orientamento, con alcuni Paesi fortemente sensibili agli argomenti di Washington e Mosca. Ad est si va ricostituendo un asse euroscettico intorno Ungheria, Cechia, Slovacchia e tendente ad estendersi a Bulgaria e Romania. Su un tema sensibile come l’immigrazione, per fare fronte a pulsioni e umori che corrono sotto la pelle della società, molti governi hanno costretto la UE a legittimare politiche nazionali puramente difensive. E in questo scenario il governo Meloni, tradendo la storica vocazione europeista dell’Italia, assume su ogni dossier una postura ambigua su chi non crede nell’Europa, ma sa che non la può apertamente sabotare.

Insomma: uno scenario di frammentazione che espone l’Unione europea a marginalità e irrilevanza. E tuttavia l’Unione europea è la realtà più integrata del mondo. La sua potenza economica e commerciale ne fa un protagonista dell’economia globale. Il suo potenziale tecnico scientifico non ha pari con altri continenti. La qualità sociale e gli standard di vita sono i migliori del pianeta.

 L’Europa ha tutte le risorse per giocare alla pari con gli altri grandi player della terra. Ma per riuscirci ha bisogno di mettere in campo le riforme che ne facciano un soggetto coeso e con effettiva e tempestiva capacità decisoria. Un salto ineludibile anche dando corso a una ristrutturazione degli assetti fin qui adottati. È auspicabile che tutti i 27 Paesi dell’Unione ne siano consapevoli. Ma se qualcuno si ritrae, chi invece crede nell’Europa integrata ha il dovere e la responsabilità di procedere nelle forme possibili.

di  Piero Fassino su Huffpost

 

© Riproduzione riservata

Iscriviti alla newsletter!Ricevi gli aggiornamenti settimanali delle notizie più importanti tra cui: articoli, video, eventi, corsi di formazione e libri inerenti la tua professione.

ISCRIVITI

Altre Notizie della sezione

Archivio sezione

Commenti


×

Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie.