Antonio Di Pietro promuove la giustizia del Governo
L'ex pm di Mani Pulite ed ex ministro avalla la separazione della carriere dei magistrati e boccia lo sciopero dell'Anm contro il governo.
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“Io ho avuto la ventura di indossare la giacchetta di tutte le figure del procedimento penale. E vi assicuro che a seconda delle giacchette l’impressione cambia. Piaccia o non piaccia”. Colui che ha indossato queste giacchette – non solo quella del pm, ma anche quella del poliziotto, del testimone, dell’indagato – è Antonio Di Pietro. Eccolo, il ruspante ex pm di Mani Pulite, poi passato alla politica, che entra in Senato come migliore alleato del governo Meloni. Invitato, non a caso, da Fratelli d’Italia.
Questa nuova veste – o nuova giacchetta, per usare le sue parole – un po’ stretta gli sta: “Oggi sembra che voglia dare ragione al governo, mi crea pure amarezza”, dice. Ma poi al governo dà ragione. A fasi alterne, per la verità. L’occasione è quella delle audizioni per il disegno di legge sulla separazione delle carriere. All’indomani dell’incontro tra i magistrati e Giorgia Meloni, Di Pietro si siede sugli scranni della presidenza della commissione affari costituzionali subito dopo Luciano Violante, subito prima del costituzionalista Enrico Grosso. Sostiene di aver difeso la separazione delle carriere “sin dagli anni 90” – di questa accorata difesa si fa fatica a rintracciare memoria, ma sarà dovuto al fatto che ha vissuto tante vite – e garantisce che l’indipendenza della magistratura non sarà scalfita da questa riforma: “Se ciò dovesse accadere un domani – afferma – sarò tra i primi a oppormi, se sarò ancora in vita”. Alla separazione delle carriere “sono favorevole”, asserisce. Ma, avverte, “non chiamatela riforma della giustizia. Non c’azzecca niente la riforma della giustizia, questa è una riforma della magistratura”. E questa riforma al fu grande accusatore piace proprio: “L’alta corte che dovrà giudicare gli illeciti dei magistrati? Meglio che una giustizia domestica al proprio interno”. Il riferimento è al fatto che i giudizi disciplinari, per ora, passano dalla Cassazione e dal Csm. Risultato? Dice Di Pietro: “Un aiuto a te, un aiuto a me”. Allo stesso modo gli piace il sorteggio per i membri del Csm: “Piace o non piace, ma l’alternativa qual è? È vero o non è vero che il correntismo ha rovinato la magistratura?”, si chiede. L’eloquio è quello di sempre. La veste – o la giacchetta, ancora – del tutto nuova.
Il problema, dice Di Pietro, non è l’indipendenza reale, ma quella percepita: “Io mi sentivo indipendente dal giudice – sostiene – e lui da me”. Però “chi entra là dentro (si riferisce all’imputato che entra in aula, ndr), lascia stare che sò tutte brave persone, non si sente a suo agio se sa che fanno parte della stessa famiglia”. Su questo punto indugia parecchio: “Io non credo che ci sia un condizionamento, ma non è così rispetto alla percezione. Perché non dare anche la dimostrazione plastica del fatto che sono di due famiglie diverse?”. Domande retoriche che creano qualche smarrimento tra i parlamentari che si oppongono alla separazione delle carriere.
A un certo punto non si capisce se il Di Pietro di oggi sta criticando il Di Pietro di ieri o sta avvalorando una sua tesi: “L’accusa cerca anche gli elementi a favore dell’imputato come residuo. Sempre le prove di colpevolezza va a cercare”. Il riferimento è al fatto che il pm dovrebbe portare a giudizio anche prove che scagionano l’imputato. Ma questo, dice l’ex pm di Mani Pulite, accade solo in ultima battuta.
Dalla parte del governo, ma forse non su tutti i punti. Perché se il governo dice di voler fare la riforma per spezzare il potere dei pm, Di Pietro risponde: “È vero che ci sono stati pm che hanno avuto interessi di parte, o politici. Ma questo può succedere anche domani con la riforma”. E quindi? Riforma inutile? No: “Meglio di niente”, continua a essere la tesi.
L’audizione si chiude con un attacco all’Associazione nazionale magistrati: “Va bene dire le cose al bar, ma non nei contesti istituzionali. L’Anm fa bene il suo lavoro, tranne quando va oltre. Per me lo sciopero è stato sbagliato perché non si fanno gli scioperi per opporsi al Parlamento”. I parlamentari meloniani, che tanto lo hanno voluto in quel contesto, sfoderano un sorriso a 32 denti.
di Federica Olivo per Huffpost
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