Anno: XXVI - Numero 111    
Venerdì 6 Giugno 2025 ore 13:45
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Un referendum sul lavoro che vale la pena votare

Dei quattro quesiti “della Cgil”, uno è sacrosanto: quello che impone alle ditte appaltanti di rispondere degli infortuni sul lavoro nelle ditte appaltatrici. Magari si appalterà senza badare solo alla corsa al risparmio.

Un referendum sul lavoro che vale la pena votare

​Da quando i referendum non propongono più ai cittadini temi di interesse universale e immediatamente comprensibili, come furono quelli sulle libertà e i diritti civili, divorzio e aborto per esempio, per i quali dire sì o no è semplice, i quesiti referendari sono trattati in un’unica chiave di opzioni ideologiche o politiche, come se la scelta fosse sempre di solo schieramento, da una parte o dall’altra.

Nemmeno si va a leggere il quesito e va detto che la forma in cui è espresso, fatta di combinati disposti di articoli in cui è difficile raccapezzarsi anche per chi maneggia gli strumenti della legge, aiuta e molto sia l’indifferenza verso la comprensione di quello su cui ci si dovrebbe esprimere, sia il disamoramento verso l’unico istituto di partecipazione popolare diretta alla formazione delle leggi previsto dalla Costituzione.

I quattro sono messi insieme nel pacchetto unico dei “referendum sul lavoro”, o “della Cgil” o ancora come strumento per dare un segnale di opposizione al governo, tanto più da quando la presidente del Consiglio ha ritenuto di incarnare, lei stessa e quindi il governo che presiede, la scelta di contrastarli con la sostanziale astensione dal voto.

In questo pacchetto unico, però, ce n’è uno, il quarto quesito, quello che riguarda la responsabilità per gli infortuni sul lavoro negli appalti, che si distingue dagli altri e merita di essere guardato prescindendo dalle logiche di schieramento.

Probabilmente proprio perché è diverso dagli altri tre che riguardano il rapporto di lavoro, è il quesito più trascurato, quello su cui si discute poco e si argomenta meno anche nel dibattito tra i sostenitori del sì e del no.

Va detta una prima parola di chiarezza: la norma su cui incide il referendum non ha niente a che fare con il Jobs Act e la politica sul lavoro del governo Renzi, che sono oggetto, invece dei primi tre quesiti. Si tratta, infatti, di una disposizione della legge in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, il decreto legislativo 81/2008, nata durante il secondo governo Prodi.

Fatta questa premessa necessaria, considerato che le logiche di schieramento sono pure retroattive, vale la pena di fermarsi a capire che cosa si propone con questo referendum: in parole semplici (il più possibile) si propone che la società che affida in appalto o in sub-appalto (o in una catena di sub appalti come è prassi diffusa di questi tempi) una certa attività produttiva, debba pagare insieme alla ditta che svolge l’attività appaltata anche gli infortuni che capitano ai dipendenti proprio nello svolgimento di questa attività.

La norma attuale, infatti, prevede già la responsabilità della ditta appaltante, o committente come si vuol dire, per gli infortuni dovuti a rischi generici che accadono nella ditta a cui è stato dato l’appalto, mentre la esclude per quelli dovuti a rischi specifici, propri dell’attività lavorativa.

Tanto per esemplificare: se un operaio della ditta appaltatrice muore perché inciampa per strada mentre va al lavoro e questo incidente non è coperto dall’Inail, la ditta appaltante paga insieme con la ditta appaltatrice, se invece muore perché cade da un ponteggio svolgendo il lavoro appaltato, la ditta appaltante non paga nulla.

Norma ben strana, si dirà, che i contrari al referendum giustificano affermando che il committente non ne può niente di quello che succede nella ditta appaltatrice o, tanto più, in quella sub-sub-sub-appaltatrice e, soprattutto, che non ha le competenze per valutare le attività specifiche di quella ditta, estranee alla sua, e i rischi connessi.

Secondo questa tesi, quindi, se io ho un’impresa edile e affido l’appalto per la realizzazione delle tubature che mi servono per costruire gli impianti del palazzo a un’altra impresa, come faccio a sapere se questa ha predisposto quello che serve per evitare che l’operaio rimanga schiacciato sotto una pressa, visto che di quel tipo di attività non ne so e capisco nulla.

Perché quello che si chiede all’imprenditore non è di intendersene del lavoro che fanno altri, ma di verificare, prima di affidare l’appalto o il sub-appalto, che la ditta appaltatrice sia in regola con le misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro, che abbia un piano di prevenzione dei rischi e lo rispetti, a cominciare dalla formazione dei lavoratori e dalla dotazione dei presìdi di sicurezza personali e dei luoghi di lavoro: esattamente come la legge già prevede per i rischi generici, prescrivendo all’imprenditore committente di cooperare con la ditta appaltatrice perché siano messe in atto tutte le misure di prevenzione necessarie.

Come faccia a verificare queste condizioni di sicurezza, lo dice con estrema chiarezza lo stesso articolo 26 della legge che contiene al comma 4 la norma che si vuole abrogare: con l’acquisizione di documenti che attestano la regolarità dell’impresa a cui si pensa di affidare un appalto.

Cosa che molto spesso non viene fatta grazie alla garanzia che ha l’imprenditore di essere escluso dalla responsabilità per fatti che dipendono dai “rischi altrui” che non lo riguardano.

Cosa che verrebbe fatta, invece, se l’imprenditore sapesse di poter essere chiamato a rispondere, pagando.

Perché, alla fine o all’inizio del discorso, è il committente che sceglie l’impresa a cui affidare l’appalto: e se oggi lo fa con una corsa al ribasso dei costi, con la costruzione di una catena di sub appalti che quanto più s’allunga più diventa opaca, considerando solo il vantaggio economico e non la qualità dell’impresa appaltatrice, domani sceglierebbe guardando alla solidità dell’impresa sotto il profilo della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, sapendo che ne potrebbe rispondere con il proprio patrimonio.

E con questo si contribuirebbe, eccome, a prevenire gli infortuni, diffondendo necessariamente modalità e cultura d’impresa trasparenti e che assicurino l’integrità di chi lavora.

di Emilia Rossi. Su HuffPost

 

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