Iscro. Il nuovo ammortizzatore divide il mondo dei professionisti
Critica l’Acta: troppe condizionalità, saranno in pochi a beneficiarne, mentre aumentano i contributi. Per Confprofessioni invece è un risultato storico che si può migliorare

«Piutost che nient, l’è mei piutost», si dice in Lombardia. E per i lavoratori autonomi, in realtà, quel piutost è molto più che niente: è una prima addirittura storica. Parliamo dell’Iscro, cacofonico acronimo di Indennità Straordinaria di Continuità Reddituale e Operativa, una sorta di cassa integrazione dei professionisti. Un primo ammortizzatore sociale per gli autonomi, inserito nella Legge di bilancio, che oggi viene valutato in maniera diversificata all’interno stesso della galassia dei professionisti a partita Iva.
La misura, sperimentale per il triennio 2021-23, riguarda infatti i titolari di partita Iva che subiranno perdite di reddito di almeno il 50%; abbiano un reddito non superiore a 8.145 euro e siano iscritti da 4 anni alla Gestione separata Inps (quasi 300mila lavoratori in totale). L’indennità erogata dall’Inps sarà pari al 25%, su base semestrale, dell’ultimo reddito dichiarato all’Agenzia delle Entrate; con un importo mensile non inferiore a 250 euro e non superiore a 800 euro per 6 mensilità. Il beneficiario dovrà seguire corsi di formazione obbligatori.
«Si tratta di un contentino, una misura più simbolica che reale, non funzionale a costruire un efficace sistema di ammortizzatori sociali per chi è escluso da quello attuale», è il giudizio «fortemente critico» espresso da Acta, che riunisce i freelance. Secondo l’associazione, infatti, «riguarderà pochissime persone; arriva troppo tardi per essere utile; prevede una condizionalità – la formazione obbligatoria – a vantaggio degli enti di formazione più che dei professionisti; determinerà un aumento dei contributi a fronte di benefici incerti». Questo perché innanzitutto sono esclusi dalla misura, oltre a commercianti e artigiani, anche le professioni ordinistiche e gli autonomi iscritti ad altre gestioni Inps, nonché i giovani che non hanno una continuità contributiva di almeno 4 anni. Inoltre, spiega ancora Acta in una nota, «la combinazione dei diversi requisiti fa sì ad esempio che un professionista con un reddito in calo da 10mila a 6.000 euro (-40%) verrà escluso da benefici. Così come una partita Iva che normalmente gode di un reddito di 30mila e lo vede decurtato di due terzi ma resta sopra la soglia, molto bassa, degli 8.145 euro massimi. A fronte di tutto ciò, lamenta l’associazione presieduta da Anna Soru, c’è l’obbligo di formazione e un aumento della contribuzione dello 0,26% nel 2021 che diventerà poi lo 0,51% dal 2022.
Opposto il giudizio di Andrea Dili, presidente di Confprofessioni Lazio, che parla di «risultato storico», nato sulla falsariga di «una proposta emersa nell’ambito del Cnel e condivisa da tutti i soggetti presenti: dai sindacati ai professionisti». «Il merito può sempre essere migliorato, d’altrocanto la misura è sperimentale – spiega Dili –. Ma è un risultato eccezionale essere riusciti a introdurre un ammortizzatore sociale per gli iscritti alla gestione separata». Secondo Confprofessioni non riguarderà pochi soggetti: nella relazione tecnica, infatti, si parla di una stima di 41mila beneficiari il primo anno e 9.500 per gli altri. «Certo è una misura ancora “minima” quanto a importi – conclude Dili – ma significativa e importante». Piuttosto di niente, molto meglio il piuttosto.
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