Il mare proibito
Rincari da record, salari fermi e propaganda a tutta forza: l’estate 2025 segna il divorzio tra italiani e spiaggia.
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Ma è proprio vero?
Sì, e non serve un’inchiesta da Pulitzer per capirlo: basta un ombrellone a 40 euro al giorno per due metri quadrati di sabbia, magari su concessione pubblica pagata al Comune meno di un caffè al giorno. Da decenni i balneari piangono miseria, ma intanto gestiscono un bene pubblico come fosse roba loro, con canoni ridicoli, evasione a corrente alternata, contratti in nero e prezzi da oligarchi del Golfo. E lo chiamano “tradizione”.
La ricetta per cambiare rotta esiste, ma nessuno vuole cucinarla: gare pubbliche vere, canoni di mercato, tetti ai prezzi e standard di servizio obbligatori. Aprire alla concorrenza significherebbe più soldi per le casse pubbliche e, forse, stipendi decenti per i lavoratori. Certo, le aziende strutturate non assumono in nero: ed è proprio questo che fa paura a chi campa di stagionali pagati in contanti sotto il banco.
I numeri sul turismo smentiscono le favole: pernottamenti in crescita, italiani e stranieri più presenti. Il mare non è vuoto, è solo diventato un club privato. Luglio ha visto ombrelloni mezzi vuoti? Colpa della pioggia, dicono. Più probabile colpa di tariffe fuori controllo e di un Paese dove per un gelato si chiede un rene e per il pepe sulla pizza venti centesimi in più. Così la gente si fa i panini al supermercato e il barista resta a guardare.
E la politica? Un festival bipartisan del pressapochismo. La Schlein sogna aumenti salariali scollegati dalla produttività, la Lega inventa bonus vacanze a debito. In comune hanno una cosa: nessuna voglia di toccare i privilegi di una piccola casta di concessionari che tiene in ostaggio le spiagge. Perché disturbare chi conta, quando si possono vendere illusioni agli elettori?
Finché il mare resterà una rendita per pochi, agli altri non resterà che guardarlo da lontano. Magari gratis, ma solo dal lungomare.
E allora smettiamola di chiamarlo “mare nostrum”: non è più nostro. È loro. Noi, al massimo, abbiamo diritto a un selfie dal molo.
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