I dazi spingono l’economia Usa verso la recessione
Il rapporto shock sui posti di lavoro non è stato l’unico campanello d’allarme.
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Gli indicatori della scorsa settimana tracciano un quadro complessivo di un’economia diretta verso una contrazione, anche grazie ai dazi, secondo Mark Zandi, capo economista di Moody’s Analytics.
Dopo mesi di sorprendente resilienza di fronte ai dazi imposti dal presidente Donald Trump, le prospettive economiche si sono improvvisamente offuscate.
“L’economia è sull’orlo della recessione. Questo è il messaggio chiaro dai dati economici della scorsa settimana”. ha scritto Zandi in una serie di post su X domenica. “La spesa dei consumatori si è appiattita, edilizia e manifattura sono in contrazione, e l’occupazione è destinata a calare. Con l’inflazione in aumento, per la Fed sarà difficile intervenire.”
A giugno, l’occupazione è cresciuta di soli 73.000 posti, ben al di sotto delle previsioni di circa 100.000. Inoltre, i dati di maggio sono stati rivisti da 144.000 a 19.000, e quelli di giugno da 147.000 a soli 14.000, portando la media degli ultimi tre mesi a un modesto +35.000.
Trump ha sostenuto, senza prove, che i dati sull’occupazione siano “truccati” e ha licenziato la responsabile dell’agenzia che produce il report. Zandi, però, ha ricordato che revisioni ampie sono comuni quando l’economia si trova a un punto di svolta, come l’inizio di una recessione.
Anche altri report hanno lanciato segnali d’allarme. Il Pil del secondo trimestre è cresciuto più del previsto, ma una misura che esclude il commercio estero e si concentra sulla domanda interna finale ha mostrato un rallentamento.
Il rapporto sui consumi personali ha indicato un’accelerazione dell’inflazione al 2,8%, oltre il target della Fed al 2%, e una crescita della spesa inferiore alle attese a giugno. La Fed, nel frattempo, ha rinviato i tagli ai tassi in attesa di valutare l’impatto dei dazi sull’inflazione.
Anche la spesa per costruzioni è calata a giugno, complice il crollo delle abitazioni unifamiliari. L’indice Ism sull’attività manifatturiera di luglio ha segnato una contrazione più rapida del settore.
Per ora, il tracker della Fed di Atlanta prevede ancora crescita del Pil, anche se in rallentamento: +2,1% nel terzo trimestre dopo il +3% del secondo.
Non ci sono segnali di licenziamenti di massa, e il tasso di disoccupazione resta stabile tra il 4% e il 4,2% da oltre un anno.
Zandi avverte però che il tasso di disoccupazione è basso solo perché la forza lavoro non cresce. Negli ultimi sei mesi, i lavoratori immigrati sono diminuiti di 1,2 milioni a causa della stretta sull’immigrazione di Trump, mentre il tasso di partecipazione generale è sceso.
Con l’offerta di lavoro in calo, anche la domanda si è affievolita. Zandi parla di un “blocco generalizzato delle assunzioni, soprattutto per i neolaureati”. Il risultato è che il cosiddetto livello neutrale di crescita occupazionale, quello necessario per assorbire i nuovi ingressi nel mercato del lavoro, è oggi molto più basso.
“Non è un mistero perché l’economia stia rallentando: la colpa è dei dazi Usa e della politica migratoria iper-restrittiva”, ha aggiunto Zandi. “I dazi colpiscono sempre più i profitti delle aziende americane e il potere d’acquisto delle famiglie. Meno lavoratori immigrati significa un’economia più piccola”.
Anche gli economisti di JPMorgan hanno lanciato l’allarme su una possibile recessione. Hanno rilevato che le assunzioni nel settore privato si sono ridotte a una media di 52.000 unità negli ultimi tre mesi, con il rallentamento che riguarda tutti i settori eccetto sanità ed educazione.
Pur non registrando un aumento dei licenziamenti forzati legati alla politica migratoria, secondo JPMorgan questa frenata nella domanda di lavoro da parte delle imprese è un segnale forte di rallentamento economico.
“Abbiamo sempre sottolineato che un calo della domanda di lavoro di questa entità è un segnale d’allarme per la recessione”, ha spiegato JPMorgan. “Le aziende tendono a mantenere i livelli di assunzione anche in fasi di rallentamento percepite come temporanee. Ma quando la domanda di lavoro cala insieme alla crescita, spesso è l’anticamera di una contrazione”.
L’articolo originale è su Fortune.com
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