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Giovedì 2 Maggio 2024 ore 13:00
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Giornata in ricordo di Corrado Sforza Fogliani, a un anno dalla morte

«Un piacentino che ha amato la sua gente e un bell’esempio da portare ai giovani» Così il sen. Casini nel suo video messaggio

Giornata in ricordo di Corrado Sforza Fogliani, a un anno dalla morte

Il presidente della Banca di Piacenza Nenna: «Ci ha lasciato una realtà solida e sana» – Il prof. Simonetta: «Un Cosimo dè Medici dei nostri tempi e un banchiere delle parole» – Il Prof. Mola: «Multiforme ingegno» «La sua memoria merita non solo di essere nell’album dei nostri ricordi più cari, ma anche attualizzata per i giovani perché è stato un bell’esempio. Una bella vita, un piacentino che ha amato l’arte, la cultura e l’ha sempre favorita e promossa. E che ha amato la sua gente: il suo servizio in Consiglio comunale a più riprese ha dimostrato questo. Ci manca, ci manca

molto. Ci manca la sua capacità anche di avere e ricevere consigli importanti. Grazie per quello che ha fatto e grazie a voi che lo ricordate». Così si conclude il video messaggio che il sen. Pier Ferdinando Casini ha inviato alla Banca di Piacenza in occasione della giornata in memoria del suo compianto presidente Corrado Sforza Fogliani, mancato un anno fa, che si è tenuta al PalabancaEventi di via Mazzini in un’affollatissima Sala Panini (con Sala Verdi e Sala Casaroli videocollegate). Presenti, tra gli altri, la moglie Maria Antonietta De Micheli e il sindaco di Piacenza Katia Tarasconi. Il presidente dell’Istituto di credito Giuseppe Nenna, nel suo intervento di saluto ha riconosciuto i meriti di Sforza nell’aver lasciato «una bella Banca, sana e solida» e ribadito quanto si senta la sua mancanza. «Per me – ha affermato – è stato un grande esempio».

Per sottolinearne il ruolo di mecenate e banchiere, il dott. Nenna ha preso a prestito le parole («molto calzanti») scritte dal direttore di Italia Oggi Pierluigi Magnaschi nel suo articolo di ricordo pubblicato all’indomani della sua scomparsa: “Quando era a Piacenza, era il primo a entrare in banca e l’ultimo ad uscirne. Intendeva la Banca di Piacenza non solo come un ente per raccogliere risparmio ed erogare il credito ma anche per promuovere la vita culturale dell’intera provincia nella convinzione che una comunità trova nella cultura e nella conoscenza delle sue radici, lo strumento per crescere anche economicamente. Senza la Banca di Piacenza la città sarebbe appassita come un fiore senz’acqua, mentre è stata mantenuta in uno stimolante circuito culturale spesso di dimensioni nazionali. Da qui cospicui investimenti per il recupero dei monumenti, concerti, dibattiti, mostre, pubblicazioni. Per questo e per tanto altro Corrado Sforza Fogliani continuerà a stare fra noi e ad illuminare il nostro cammino”. Sul suo ruolo di storico, il presidente Nenna ha ricordato come «già il suo cognome rappresentasse un “impegno” dal punto di vista storico e il Presidente spesso raccontava questa sua origine: discendeva, infatti, da Corrado da Fogliano – originario, appunto, di Fogliano, un paese in provincia di Reggio Emilia -, vissuto nel ‘400 e fratello per parte di madre di Francesco Sforza, duca di Milano, che scelse proprio lui per reprimere una rivolta scoppiata a Piacenza. Come premio, il duca gli attribuì il privilegio di chiamarsi Sforza».

Lo storico Marcello Simonetta ha dal canto suo condiviso il concetto di quanto si senta la sua mancanza: «Aveva energia, gusto per la vita e un modo di pensare al futuro radicato nel passato – ha osservato lo scrittore fiorentino -. La Banca e la sua eredità restano una cosa unica anche se ci spostiamo dai confini nazionali». Il prof. Simonetta ha quindi raccontato come iniziò il rapporto con l’avv. Sforza. «Mediatore dell’incontro fu Marco Bertoncini, mancato anche lui di recente, un uomo dall’intelligenza feroce a cui si deve l’idea del mio primo libro scritto per la Banca su Pier Luigi Farnese. Dopo il secondo dedicato alla figura di Gregorio Casali, ce n’è in preparazione un terzo, concordato sempre con il presidente Sforza, sulla storia delle famiglie nobiliari piacentine (la cosiddetta PLAC) che ordirono la congiura contro Pier Luigi. Il sostenere questo tipo di pubblicazioni, era uno dei tanti segni della sua apertura e della sua infinita bontà. Usava le risorse per condividere il sapere e non faceva mai nulla superficialmente».

Per entrare nel mondo di Sforza Fogliani, il relatore ha poi citato Machiavelli (e fatto un excursus sul significato nel tempo della parola “liberale”), definito «un banchiere delle parole di cui capiva l’importanza: lo era anche il Nostro, metteva tutte le sue energie nelle Istituzioni nelle quali lavorava e dove ha sempre creato un organo di comunicazione – lo ha fatto con la Banca e con Confedilizia – per proiettare i suoi pensieri e condividerli con le comunità di riferimento. Ed era naturalmente anche un banchiere di capitale, direi che lo potremmo definire il Cosimo dè Medici dei nostri tempi. Il cuore del suo pensiero? Trovare le chiavi per aprire le porte chiuse del pensiero e dell’azione». Lo storico Aldo A. Mola – impossibilitato ad intervenire per sopravvenuti problemi di salute – ha comunque inviato un suo contributo, letto dal presidente Nenna. «Uomo, anzi grande uomo, “dal multiforme ingegno”, avvocato, giurista, banchiere, raffinato esperto d’arte e cultore di tradizioni civili, nella lunga vita esemplare – così lo scrittore piemontese – Sforza Fogliani spiccò per coerenza e generosità. La fede nella libertà gli arrivava dai secoli, sino ai genitori, che gli furono guida. Questo suo abito intellettuale si espresse in tutti i campi ai quali si dedicò, dalla giovinezza alla maturità e all’età avanzata, contrassegnata dallo spiccato senso del tempo e della necessità di investire ogni suo istante nella costruzione di un mondo migliore di come l’aveva conosciuto nel corso della seconda guerra mondiale, negli anni difficili della ricostruzione, in quelli del “miracolo economico” e del passaggio dagli Stati nazionali alla prospettiva di una Unione Europea in sempre faticosa ricerca di realizzazione». Il prof. Mola ha quindi rimarcato come anche nel suo mestiere di storico attestò coerenza e profuse generosità. «Munifico nei confronti della realizzazione di importanti interventi di restauro di edifici ecclesiastici – prosegue la nota -, Corrado Sforza Fogliani mirò anche al restauro della coscienza nazionale. Lo fece con la discrezione di sempre e, per così dire, in dialogo responsoriale con un piacentino che ho avuto l’onore e il piacere di conoscere e di frequentare assiduamente, don Franco Molinari, “un Voltaire in tonaca – ne scrisse Roberto Gervaso – , uno dei più impertinenti e spregiudicati scrittori cattolici”». Il prof. Mola chiude il suo pensiero con un ricordo personale: «Il 10 maggio dello scorso anno fui qui al PalabancaEventi per la presentazione del mio libro su “Vittorio Emanuele III. Il re discusso”. Al termine l’Avvocato mi intrattenne a lungo. Era singolarmente espansivo e narrò tanti momenti della sua formazione (a cominciare dalla visita a Einaudi all’Eremo di San Giacomo, in Dogliani). Poi, inevitabilmente, rievocammo amici d’un tempo e sempre presenti in memoria, a cominciare appunto da don Franco, che faceva salire in sella alla sua potentissima motocicletta e portava all’Università. La sua morte era stata per entrambi una perdita dolorosissima. Di seguito parlammo del piacentino Marco Bertoncini, che ci ha improvvisamente lasciato poco tempo fa. Il mio debito nei suoi confronti è immenso. Conversavamo al telefono quasi ogni giorno. Al termine Sforza uscì. La serata era ancora fresca. Lo accompagnai un tratto. Mi ordinò di rientrare. Mi fermai sulla soglia dell’albergo e lo vidi camminare pacato e solenne verso Piazza Cavalli avvolto nell’impermeabile chiaro. Infondeva sicurezza e serenità. È andato avanti, come dicono gli alpini. E attende». Tornando al sen. Casini, nel suo video messaggio ha posto anche l’accento sul fatto che Corrado Sforza Fogliani «è stato soprattutto un uomo delle istituzioni, le ha sempre servite in qualsiasi circostanza perché il suo modo di fare impegno associativo come presidente della Banca è stato soprattutto di rispettare profondamente il senso delle istituzioni. È un principio in via di attenuazione nel nostro Paese, ma che bisognerebbe sempre ricordare».

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