Anno: XXVI - Numero 196    
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Trump-el-Sheikh. Tutti a Sharm, l'Ue s'affanna per recuperare un ruolo a Gaza

Per l'Europa c'è Costa (e non von der Leyen, neanche invitata), poi Macron e Sanchez, Merz e Meloni: tutti pronti a dare una mano nell'ambizione di ritrovare una minima centralità, dopo non aver battuto palla finora-

Trump-el-Sheikh. Tutti a Sharm, l'Ue s'affanna per recuperare un ruolo a Gaza

Ci saranno Giorgia Meloni, Emmanuel Macron, Friedrich Merz, Pedro Sanchez, il greco Kyriakos Mitsotakis e Antonio Costa a rappresentare tutti i 27. E poi anche il britannico Keir Starmer, il turco Receip Tayyip Erdogan, l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani per il Qatar, re Abdallah II di Giordania, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, il Kuwait, Pakistan, Indonesia. Non ci sarà Ursula von der Leyen, né l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Kaja Kallas, né alcun rappresentante della Commissione europea: ufficialmente non è invitata dai padroni di casa egiziani. L’Iran è stato invitato, ma non parteciperà. Non ci saranno i protagonisti del conflitto, né Israele né Hamas. Quello di lunedì a Sharm-el-Sheikh è l’incontro in cui chi ha tessuto la tregua a Gaza, da Donald Trump agli attori arabi, cercherà di saldarla per passare alla fase due. Chi non ha avuto un ruolo finora, tenterà di conquistarlo, in primis l’Ue che ha delegato qualsiasi passo a Trump, come nella trattativa di pace che ancora sfugge con Vladimir Putin sull’Ucraina. Tutti tenteranno di organizzare il futuro della Striscia, all’ombra delle questioni ancora in sospeso, lo scambio tra gli ostaggi israeliani e dei carcerati palestinesi, il disarmo di Hamas, la costruzione di garanzie per la pace intorno alla nuova amministrazione che chissà quanto sarà palestinese.

Venti leader alla corte di Trump, che ha il merito di aver confezionato il sospirato cessate-il-fuoco e che arriva nella città egiziana – dopo un blitz di quattro ore in Israele – con l’idea di fondare la fase 2 degli accordi di Abramo firmati da Israele con alcuni Stati arabi nel 2020 sotto la supervisione Usa: gli Emirati, il Bahrein, il Sudan, il Marocco. Il tycoon vorrebbe ampliarli all’Arabia Saudita, al Qatar, l’Egitto, usando la stabilizzazione di Gaza come nuova base di cooperazione arabo-israeliana. La Striscia verrebbe governata da un Board of Peace in via transitoria, un comitato di tecnocrati presieduto da Trump, che nel suo piano di pace non nomina alcun palestinese o gruppo palestinese che ne possa far parte. Invece ne farebbero parte alcuni capi di Stato – Meloni è in pole position – e l’ex premier britannico Tony Blair, che non sarà a Sharm, presenza ingombrante sulla via della pace per i fallimenti passati, quando era inviato speciale del Quartetto sul Medio Oriente nel 2007, e perché criticato da parte palestinese come troppo sbilanciato su Israele. Blair, comunque, non è assolutamente fuori scena, è in Giordania, dove ha incontrato il vicepresidente palestinese Hussein Sheikh. Del resto, la sua fondazione Institute for Global Change lavora da tempo a un piano per Gaza insieme al genero di Trump Jared Kushner, consigliere per il Medio Oriente in prima linea a tessere gli accordi di questi giorni.

Tutti gli europei invitati a Sharm sono a disposizione per prendersi una parte nella trama che Trump sta costruendo. Tutti sono disponibili a fornire aiuti: la stessa Unione Europea tornerà al valico di Rafah, che martedì sarà riaperto al transito dei civili, con la missione Eubam. E in essere c’è già una missione europea, la Eupol-Copps, per la formazione degli agenti di polizia palestinesi che possano occuparsi della sicurezza nella Striscia dopo l’abbandono di Hamas e dell’esercito israeliano. Ma ogni leader europeo ha una sua distanza dal dramma di Gaza: dai più filo-israeliani Merz e Meloni, ai più vicini ai palestinesi come Sanchez, fino a quelli che vi si sono avvicinati negli ultimi tempi come Macron e Starmer. Per questo le ricette divergono sull’applicazione del piano Trump.

Il presidente americano e l’egiziano al-Sisi vogliono rilanciare una nuova versione regionale degli Accordi di Abramo, incentrata su sicurezza e stabilità economica. Macron, Starmer, Merz accettano, ma solo se integrato in un processo politico verso due Stati. Meloni è favorevole a una “fase 2” purché Hamas sia esclusa e la gestione di Gaza resti civile. Sanchez è il più scettico: il premier spagnolo preferisce un nuovo approccio multilaterale con pieno riconoscimento della Palestina. Quanto all’invio di truppe sul campo, per ora c’è solo l’impegno degli Stati Uniti a mandare 200 soldati in Israele e non a Gaza con mansioni di monitoraggio e coordinamento. No della Gran Bretagna e anche della Germania e comunque non senza l’Onu. Cosa che non dispiace nemmeno al ministro della Difesa Guido Crosetto. Il governo italiano comunque sta valutando l’addestramento della polizia palestinese da parte di militari italiani, in loco o in Italia.

“Noi come Italia siamo pronti a fare la nostra parte, sul piano umanitario, della ricostruzione della Striscia di Gaza, del consolidamento del quadro e anche sul piano militare, qualora dovesse servire – dice il vicepremier Antonio Tajani ad Avvenire – Ma siamo ancora in una fase prodromica. Il disarmo di Hamas è fondamentale e servirà una nuova classe dirigente palestinese. Noi puntiamo molto sull’Anp che però deve essa stessa rinnovarsi. Serve assolutamente una forza internazionale. Se ci saranno le condizioni potremo contribuire anche con forze militari: ci sono i carabinieri già a Gerico e presto torneranno al valico di Rafah nell’ambito della missione Eubam”.

Meno chiara è la posizione di Macron che non ha escluso categoricamente l’invio di soldati come forza di garanzia. Il ministro dimissionario degli Esteri Jean-Noel Barrot chiede comunque “un chiaro mandato delle Nazioni Unite: è all’ordine del giorno dei prossimi giorni”. Turchia, Indonesia nel frattempo si sono già dette disponibili a partecipare ad una forza internazionale in Medio Oriente.

Trump tesse la tela con gli arabi, l’Ue accorre per farsi posto. C’è il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa a rappresentare ufficialmente tutti i 27, ma pesa il fatto che a Sharm si presentino solo i leader dei maggiori Stati membri. Pesa l’assenza di von der Leyen, che in questi anni ha voluto essere sempre presente agli appuntamenti più importanti: dalla visita in Turchia con l’ex presidente del Consiglio europeo Charles Michel, dove Erdogan non le fece nemmeno trovare una sedia per accomodarsi, non essendo richiesta la presenza della presidenza della Commissione europea, al netto della evidente scortesia del padrone di casa; fino all’incontro di alcuni leader europei con Trump il 18 agosto scorso alla Casa Bianca sulla crisi ucraina. “La presidente aveva già degli impegni in agenda”, ci rispondono da Palazzo Berlaymont. Lunedì von der Leyen sarà in visita nei Balcani. Il punto è che non è stata nemmeno invitata: il cerimoniale predisposto da Trump, insieme ad al-Sisi, non lo prevede.

di  Angela Mauro  su Huffpost

 

 

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