Per la Salis la morte dei tre Carabinieri il colpevole è il Governo.
Venuta a conoscenza dei terribili fatti avvenuti nel Veronese, la Salis ha trovato un colpevole nello Stato, lo stesso Stato di cui aveva supplicato l’intervento per non finire nelle prigioni ungheresi.
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Per la Salis, all’origine di questi gesti disperati e terribili, c’è una questione sistemica: la negazione di un diritto fondamentale che genera sofferenza e disagio nelle fasce più povere della popolazione permette. E se la politica non si deciderà a dare risposte, sarà da considerare corresponsabile – insieme a quel capitalismo che ha trasformato il diritto alla casa in un bene speculativo – di ciò che di orribile accade. Avere un tetto sulla testa non può essere considerato un privilegio”. Fatto smentito dalle autorità locali, che invece assicurano che una soluzione abitativa era già stata trovata per i tre fratelli. “Se vi offendete, o sentite il bisogno di attaccare chi lo dice, è perché in fondo avete la coscienza sporca: per voi, chi si trova in difficoltà economiche, chi prova a sopravvivere ai margini di questa società ingiusta, chi è povero, non merita una casa”, ha attaccato. “Perché, per voi, gli interessi economici e la proprietà privata vengono prima dei bisogni delle persone. Ma non avete il coraggio di ammetterlo”, ha concluso. Il dolore non unisce più, divide. Ilaria Salis, sui social, sfida lo Stato che altri hanno servito fino alla fine. Il rispetto si misura anche nel silenzio: e quello, oggi, manca più della giustizia.
Tre carabinieri muoiono, e l’Italia si ferma. O almeno dovrebbe. Silenzio, lacrime, bandiere a mezz’asta: segnali minimi di rispetto verso chi ha servito lo Stato fino all’ultimo respiro. Ma in parallelo, un’altra Italia appare sui social e nelle piazze: quella che misura il lutto a colpi di slogan, post e indignazioni di comodo.
Il contrasto è devastante. Il sacrificio di chi protegge tutti noi diventa merce da dibattito pubblico, trasformato in palcoscenico per visibilità e battaglie ideologiche. Il dolore collettivo, che dovrebbe unire, finisce per dividere: applausi e fischi, solidarietà selettiva, indignazioni a intermittenza.
Non è politica, non è partito, non è opinione: è misura, dignità, consapevolezza. La memoria si onora nel silenzio, non nell’uso strumentale del dolore altrui. E allora, davanti a tre vite spezzate, resta la domanda: siamo un Paese capace di rispetto o solo una scena per teatrini di polemica? Oggi, come spesso accade, la risposta è tragicamente chiara.
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