L’eroica gita a vela attaccati alle gonne di mamma
Una pagliacciata travestita da missione. Che non porterà nulla a Gaza, qualora anche ci arrivassero. Ma tanto ritorno d’immagine ai suoi protagonisti.
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C’è chi si autoproclama eroe dei mari e paladino degli oppressi. Poi però, al momento di mollare gli ormeggi, chiede la scorta militare: “mamma Stato, vieni a proteggerci”. E già qui il mito dell’eroismo si sgonfia come un gommone bucato.
Gli aiuti umanitari? Non mancano: sono stoccati in quantità fuori da Gaza City. Il problema è farli arrivare davvero ai civili. Ma questa “spedizione” non ha alcuna possibilità logistica: Gaza non ha un porto, le barche a vela non sono navi cargo, e il carico di aiuti è poco più che simbolico, briciole rispetto al fabbisogno reale.
La verità è che l’operazione serve solo a una cosa: propaganda. Una trovata per generare titoli, per provocare l’incidente diplomatico a tutti i costi, per ritagliarsi cinque minuti di gloria. Con buona pace di chi soffre davvero nella Striscia.
Quanto alla “solidarietà”, basta scorrere i nomi degli imbarcati: più che volontari umanitari sembrano militanti in cerca di passerella. Non a caso, la sportiva preferita di casa nostra è diventata “dare addosso a Israele” — e poco importa conoscere la storia, gli ultimi ottant’anni di conflitto o almeno gli ultimi venticinque.
In sintesi: una pagliacciata travestita da missione. Che non porterà nulla a Gaza, ma tanto ritorno d’immagine ai suoi protagonisti.
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