Inchiesta sul sistema.
I Pm di Milano colpiscono finanza e governo Gli avvisi di garanzia per la scalata a Mediobanca di Mps terremotano la vita politica ed economica del Paese.
Più che gli indagati (che si dicono fiduciosi), si tocca un vasto incrocio di interessi. Palazzo Chigi tace. La Lega mugugna. Pesanti perdite in Borsa
L’operazione aveva suscitato la sorpresa degli addetti ai lavori: l’ex Calimero della finanza italiana, Monte dei Paschi di Siena, che risorge e si prende il gioiellino Mediobanca, primo azionista della cassaforte del risparmio italiano, le Generali. A distanza di quasi un anno proprio questa operazione – che era stata benedetta da Giorgia Meloni e dai suoi – viene messa sotto il faro della procura di Milano.
Francesco Gaetano Caltagirone, noto imprenditore ed editore romano, socio di Mediobanca, Francesco Milleri, presidente di Delfin, la holding del defunto miliardario Leonardo Del Vecchio, e Luigi Lovaglio, amministratore delegato di Mps, sono indagati dalla Procura di Milano per aggiotaggio e ostacolo alle autorità di vigilanza. Dell’inchiesta, partita da giugno, dà notizia per primo il Corriere della Sera.
I tre sono accusati di aver stretto in segreto l’accordo che ha portato l’istituto senese ad acquisire la maggioranza di Mediobanca. L’intesa sarebbe irregolare, perché non dichiarata al mercato. In sostanza, i pm milanesi contestano agli indagati di aver manipolato il mercato. E di essere riusciti in questo modo a scuotere il sistema finanziario italiano, a loro vantaggio.
La notizia causa uno scossone nel settore finanziario, ma anche in quello politico. Il primo azionista di Mps è ancora il ministero dell’Economia, con una quota di circa l’11%. Ma il punto non è solo questo. Il governo, pur professando distacco, aveva visto di buon occhio l’operazione di acquisizione di Mediobanca. E la premier, intervenendo sul tema, aveva mostrato un certo compiacimento: “Dobbiamo essere orgogliosi del fatto che Mps, per anni vista dai cittadini e dalla politica solo come un problema da risolvere, oggi è una banca perfettamente risanata che avvia operazioni ambiziose”.
Il terremoto giudiziario, dunque, non può che infastidire il governo. Ed essere visto come l’ennesima intromissione delle toghe nella vita politica ed economica del Paese. Quasi un avvertimento, che focalizzandosi su un settore dove quotidianamente vengono mossi milioni, può essere destabilizzante. Come dimostra il crollo in Borsa di Mps (-5.1%) e Mediobanca (-3.1%).
Ma se a Palazzo Chigi si fa attenzione a non far trapelare nessuna forma di fastidio, a mettere nero su bianco un pensiero diffuso nel centrodestra è il senatore leghista Claudio Borghi: “Evidentemente a qualcuno ha dato fastidio un’operazione di sistema che è stata fatta molto bene, al contrario di quanto accaduto in passato. Per la giustizia del nostro Paese distruggere la banca più antica del mondo, come ha fatto la sinistra con una gestione scellerata per decenni, va bene e nessuno merita la galera. E invece salvare Monte dei Paschi dal fallimento merita l’apertura di un’indagine. Questa è l’Italia. Che indaghino pure”. Più cauta Forza Italia, che con Pierantonio Zanettin dichiara: “Ciò che spero, per il bene del Paese, è che tutto sia chiarito in tempi brevi e che ipotesi di reato siano escluse”.
I diretti interessati si difendono: “La Banca è confidente di poter fornire tutti gli elementi a chiarimento della correttezza del proprio operato”, afferma il board di Mps in una nota. A sera arriva anche la dichiarazione di Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio. Il Consiglio di amministrazione di Delfin “prendendo atto dell’iniziativa della Procura di Milano, dichiara all’unanimità la totale estraneità dei propri membri ai fatti contestati e di aver sempre agito nel pieno rispetto delle regole del mercato e delle normative vigenti”. Nelle prossime ore la Consob – uno degli enti che non sarebbero stati avvertiti dell’operazione – terrà una riunione straordinaria per esaminare la questione. “Si tratta di un fatto molto delicato”, ha detto il presidente, Paolo Savona, a margine di un’audizione in Senato.
L’indagine – partita a seguito di un esposto di Giuseppe Bivona, piccolo azionista di Mps e Mediobanca, noto per battaglie di questo genere – arriva alla fine di una sequenza che ha profondamente modificato i rapporti di forza nel sistema finanziario italiano. La mossa lanciata da Mps a gennaio 2025 ha scardinato gli equilibri consolidati. Una banca commerciale, salvata con ingenti risorse pubbliche e ancora partecipata dal Tesoro, ha predato l’ultima grande banca d’affari italiana, a forte impronta manageriale, orientata all’investment banking, al risparmio gestito e ai mercati internazionali. Mediobanca ha tentato inizialmente di difendersi, annunciando un’operazione su Generali. Un modo per rendere più difficile l’assalto di Mps, vestito da rafforzamento strategico nel settore del risparmio. Il disegno, però, non è andato a buon fine. Nell’agosto 2025 l’assemblea dei soci di Mediobanca – nella quale siedono anche Caltagirone e Milleri – ha respinto l’operazione, lasciando Mediobanca esposta alla scalata.
La partita non si è giocata tra due mondi separati, ma dentro assetti già attraversati da relazioni azionarie e strategie comuni. L’Opas di Siena ha portato Mps al controllo di Mediobanca e, indirettamente, al centro dell’azionariato di Generali, di cui Piazzetta Cuccia è primo socio. È qui che l’operazione esce dal perimetro bancario per entrare in quello sistemico. Il Leone di Trieste non è solo una compagnia assicurativa: è la principale piattaforma del risparmio italiano, snodo tra assicurazioni, risparmio gestito e investimenti di lungo periodo. Mettere piede in Mediobanca significa esercitare un’influenza determinante su Generali. E influire sulle Generali equivale a entrare nel cuore finanziario del Paese: polizze, fondi, e masse gestite delle famiglie italiane.
Da questo punto di vista, l’operazione Mps–Mediobanca ha rappresentato qualcosa di più di una acquisizione industriale. È stato un passaggio che ha visto una banca ancora legata allo Stato per storia recente e azionariato assumere il controllo dell’ultima grande istituzione finanziaria italiana rimasta estranea, almeno formalmente, al perimetro politico: una redistribuzione del potere finanziario. È anche per questo che l’inchiesta non resta confinata nelle aule dei tribunali. Non tanto per il destino personale degli indagati, quanto per l’incrocio dei settori coinvolti.
L’impatto dell’inchiesta è già evidente perché colpisce un’operazione che, prima ancora che industriale, era stata caricata di significato politico: in casi come questo, ogni atto giudiziario produce effetti che vanno oltre il diritto penale. È in quel cortocircuito fra banca, potere e controllo che si misura oggi il peso dell’inchiesta, non come fatto isolato, ma come spazio di frattura dentro un equilibrio che fino a ieri sembrava pronto a essere rivoluzionato.
di Francesca Conti e Federica Olivo su Huffpost
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