Errore sul regolamento applicabile e appello possibile
Un’analisi tecnico-giuridica chiarisce l’errata applicazione del regolamento 2025, la natura innovativa della norma e le concrete possibilità di successo dell’impugnazione nel giudizio d’appello.
In evidenza
Illustrerò il caso senza indicare le parti e il Tribunale che ha sentenziato, perché il giudizio è ancora in corso, con il probabile appello.
Si tratta di un giudizio avente ad oggetto la domanda di integrazione al minimo al 100% della pensione di invalidità erogata da Cassa Forense sulla base del regolamento vigente al momento della domanda, anziché al 70%, come previsto dal nuovo regolamento, entrato in vigore il 1° gennaio 2025.
La norma in questione è rappresentata dall’art. 10 del Regolamento unico della previdenza forense del 2012 secondo il quale la misura della quota di base della pensione è pari al 70% di quella risultante dall’applicazione dell’art. 4 e non può essere inferiore al 70% della pensione prevista dal successivo art. 5, primo comma, per l’anno della decorrenza per il quale art. 5, primo comma, su domanda dell’avente diritto, qualora applicando i criteri di calcolo di cui agli artt. 4, 6 e 14 del presente regolamento la pensione annua sia inferiore ad € 10.160,00, preso come base l’anno 2008, è corrisposta un’integrazione sino al raggiungimento del suddetto importo.
Per contro il nuovo regolamento unico di previdenza, in vigore dal 1° gennaio 2025, stabilisce espressamente all’art. 75 che “la misura della pensione è pari al 70% di quella risultante dall’applicazione dell’art. 64, comma 1, lettere a) e b). La pensione così calcolata può essere integrata, in presenza di tutti i requisiti, fino al 70% dell’importo del trattamento minimo di cui all’art. 72.”
Non v’è chi non veda come, confrontando i due dati normativi, nel regolamento del 2025 sia stata introdotta una limitazione all’integrazione al trattamento minimo che prima era al 100% (non può essere inferiore al 70%) di 10.160,00 e poi è stata contenuta nel 70% (la misura della pensione può essere integrata fino al 70%).
Ora il Giudice del lavoro di quel Tribunale, dopo aver dichiarato “la chiara continuità tra le norme susseguitesi nel tempo dal 2014 ad oggi”, dopo aver dato lettura del dispositivo di reiezione della domanda, nel redigere la motivazione a sostegno, si è reso conto, a mio giudizio, della novità introdotta dal regolamento del 2025 e ha giustificato l’integrale compensazione delle spese di lite con questa motivazione: “Alla luce della complessa ricostruzione della normativa applicabile alla fattispecie dedotta in giudizio, nonché tenuto conto della successiva entrata in vigore del regolamento unico di previdenza a decorrere dal 1° gennaio 2025, e dunque in epoca posteriore al deposito del ricorso introduttivo, si ritengono sussistenti i presupposti per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c.”
Ma, ratione temporis, il regolamento entrato in vigore nel 2025 non poteva essere applicato alla fattispecie dedotta.
Se mai vi fossero dei dubbi interpretativi soccorre la previsione di cui all’art. 1370 cc, applicabile ai regolamenti delle Casse, per il quale: Le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti s’interpretano, nel dubbio, a favore dell’altro.
Ci sarà un Giudice d’appello in quel Distretto?
Ad abundantiam ricordo che con la sentenza n.94 depositata il 3 luglio 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 16, della legge n. 335/1995, nella parte in cui esclude l’applicazione delle disposizioni sull’integrazione al minimo all’assegno ordinario di invalidità (AOI) liquidato interamente con il sistema contributivo.
La Corte ha ritenuto che tale esclusione violi gli articoli 3 e 38, secondo comma, della Costituzione:
- 3 Cost.: per irragionevole disparità di trattamento tra titolari di AOI calcolati con sistemi diversi;
- 38 Cost.: perché la garanzia di “mezzi adeguati alle esigenze di vita” deve prescindere dal metodo di calcolo della prestazione.
- La sentenza si inserisce in un momento in cui si avverte la necessità di ridefinire i confini della protezione sociale per le generazioni più deboli del mercato del lavoro. Il principio affermato dalla Corte rappresenta un argine importante contro la riduzione della previdenza a mero calcolo individuale e ribadisce l’urgenza di riforme che tengano conto delle reali condizioni delle persone e non solo dell’equilibrio finanziario dei conti.
- Questo equilibrio, pur fondamentale, non può prescindere da una giusta redistribuzione delle risorse, che deve essere garantita in nome della solidarietà categoriale e può aprire la strada ad attenuare, almeno, il divieto della integrazione al trattamento minimo per le pensioni interamente contributive, come Cassa Forense ha già iniziato a fare con la riforma in base all’art. 72.
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