Anno: XXVI - Numero 172    
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D’Alema, la Cina come ultima sceneggiata

Dopo aver diviso la sinistra e affondato ogni riforma, ora l’ex premier riscopre la geopolitica. Ma più che visione, sembra nostalgia di un ruolo che non ha più.

D’Alema, la Cina come ultima sceneggiata

Massimo D’Alema torna a parlare, e come sempre lo fa controvento. Dopo anni spesi a demolire il rinnovamento italiano — dal Referendum 2016 in poi — oggi pontifica su Cina, Stati Uniti e intelligenza artificiale. Ma dietro le grandi parole non c’è un progetto: solo l’ennesimo tentativo di restare in scena, senza costruire nulla.

Massimo D’Alema è stato, negli ultimi dieci anni, un protagonista minore ma ingombrante. Non ha contribuito né al rilancio dell’Italia né a quello dell’Europa, eppure non ha mai rinunciato a proporsi come depositario di una saggezza superiore. La realtà racconta altro: scelte politiche piegate a un individualismo spicciolo, secondo il vecchio adagio brasiliano “io per primo, io per secondo, io per terzo, e dopo tutti gli altri”.

Il caso più eclatante resta il Referendum costituzionale del 2016. Da presidente della Fondazione Italianieuropei, D’Alema si schierò per il “No” alla riforma, mentre la larga maggioranza degli associati votò “Sì” al 65%. Una leadership in rotta di collisione con la propria base: l’ennesima dimostrazione di una politica condotta più contro che per qualcosa.

Oggi lo ritroviamo a discettare di Cina, Stati Uniti e intelligenza artificiale. Temi enormi, certo, che meriterebbero lucidità e visione. Ma dalle sue parole non emergono né l’una né l’altra: il passato prevale sul presente, e il futuro resta un territorio inesplorato.

La dottrina del “contenimento della Cina” è ormai un punto fermo dell’opinione pubblica americana e occidentale. Henry Kissinger, fino alla fine, ha avvertito del rischio di uno scontro frontale, richiamando la logica della distensione e chiedendo regole comuni per affrontare sfide come l’intelligenza artificiale. La sua lezione era chiara: competere senza cooperare significa precipitare verso la destabilizzazione globale.

D’Alema si accoda a questo dibattito, ma senza portare alcun contributo originale. Non illumina i nodi della sfida tecnologica, non indica un percorso politico concreto, non propone un ponte tra Italia ed Europa e il nuovo ordine mondiale. Sembra piuttosto utilizzare la Cina come nuovo palcoscenico per restare in scena, dopo aver contribuito a logorare quello italiano.

Alla fine, il rischio è che l’ex premier non faccia altro che replicare lo schema di sempre: criticare senza costruire, opporsi senza proporre, evocare scenari globali senza mai incidere sulla realtà concreta del Paese. Se questo è il ritorno in campo di D’Alema, l’Italia può tranquillamente farne a meno.

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