Riforma della Medicina Generale
La specializzazione per MG è la strada giusta.
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La decisione del Governo e della Commissione Sanità del Senato di aprire finalmente alla possibilità di una vera specializzazione universitaria in Medicina Generale rappresenta, per molti operatori del settore, un punto di svolta atteso da decenni. Non si tratta di un aggiustamento tecnico, né di un semplice adeguamento formativo: è un cambiamento di paradigma che incide sull’identità stessa del medico di famiglia nel Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Il tema è tornato al centro del dibattito politico e istituzionale grazie alla pressione costante del sindacato SNAMI, che da anni porta avanti questa battaglia quasi in solitudine. Oggi però il vento sembra essere cambiato, e il presidente nazionale Angelo Testa rivendica con forza il risultato ottenuto, aprendo anche a una nuova fase di collaborazione costruttiva con le istituzioni.
Per comprendere la portata di questo passaggio, è necessario analizzare il contesto in cui nasce e le ragioni profonde che rendono questa riforma non solo utile, ma imprescindibile per il futuro della sanità territoriale. La Medicina Generale, infatti, è da sempre la porta d’ingresso del sistema sanitario: garantisce continuità assistenziale, intercetta precocemente i bisogni dei cittadini, filtra gli accessi inappropriati all’ospedale, previene, accompagna, cura. Tuttavia, paradossalmente, è rimasta per decenni ai margini dell’accademia medica, relegata in un percorso formativo periferico rispetto al mondo universitario, nonostante la sua complessità clinica e la sua centralità strategica.
Snami ha sempre denunciato l’anomalia di una formazione triennale regionale non riconosciuta come specializzazione medica. Un medico di medicina generale in Italia, a differenza dei colleghi europei, non possiede una specializzazione accademica formalmente equiparata alle altre discipline. Questa disparità non è solo simbolica: ha ricadute concrete sulla dignità professionale, sulle opportunità di carriera, sull’autonomia clinica, sulla partecipazione alla ricerca e persino sulla retribuzione.
Per anni la politica non ha voluto affrontare il nodo, limitandosi a interventi tampone e misure emergenziali. Ma la pandemia, il progressivo indebolimento del territorio, la difficoltà cronica nel reperire giovani medici disposti a entrare nel percorso del corso di formazione MMG e la crescente complessità delle cure primarie hanno reso evidente che il sistema attuale non è più sostenibile. Da qui la rinnovata apertura del Senato, che secondo Testa rappresenta «un segnale importante di attenzione verso il territorio».
SnamI non chiede privilegi, ma una riforma strutturale che restituisca coerenza al percorso formativo e che riconosca alla Medicina Generale la dignità scientifica che le spetta. Da qui la richiesta, ribadita con forza, di istituire un Settore Scientifico Disciplinare (SSD) dedicato. L’assenza di un SSD specifico è una delle principali ragioni dell’emarginazione della disciplina dall’università. Senza un settore disciplinare, non si possono creare cattedre, non si può consolidare una produzione scientifica stabile, non si può strutturare una vera scuola di specializzazione.
L’alternativa proposta da Snami — e giudicata al momento la più realistica — è l’inquadramento della Medicina Generale all’interno del settore di Medicina Interna, con cui condivide molte caratteristiche cliniche. Questa soluzione, temporanea ma concreta, avrebbe il vantaggio di evitare ulteriori ritardi, permettendo da subito l’avvio della riforma.
Uno dei punti più rilevanti evidenziati da Testa è la necessità di rendere la Medicina Generale nuovamente attrattiva per le nuove generazioni. Il calo di interesse registrato negli ultimi anni non è casuale: deriva da un percorso formativo percepito come meno qualificante, da un carico burocratico crescente, da una scarsa possibilità di carriera e da un modello organizzativo che non sempre valorizza il lavoro clinico.
La specializzazione universitaria, sottolinea SNAMI, può invertire questa tendenza. Significa offrire ai giovani non solo una formazione più solida, ma anche una prospettiva chiara, spendibile, riconosciuta. Significa poter accedere alla ricerca, alla didattica, alla carriera universitaria, possibilità oggi quasi inesistenti per chi sceglie la Medicina Generale. Significa inserirsi in un percorso accademico che valorizza competenze, responsabilità e qualità.
In un sistema sanitario che sta affrontando un invecchiamento della popolazione, un aumento delle cronicità e una domanda crescente di assistenza territoriale, il reclutamento di giovani motivati non è un optional: è un’emergenza strategica. La specializzazione universitaria può rappresentare la chiave di volta per far tornare i giovani a scegliere la MG non come ripiego, ma come progetto professionale di alto profilo.
La riforma della formazione ha anche un valore simbolico e culturale: restituisce al medico di medicina generale quella autonomia clinica che negli ultimi anni ha rischiato di essere erosa da eccessi di burocrazia, protocolli rigidi e da una crescente tendenza a subordinare la MG ad altre specialità o alla parte amministrativa del sistema sanitario.
Come ricorda Testa, la Medicina Generale è una disciplina medica con una propria epistemologia. Non è un’appendice delle strutture ospedaliere, né un presidio amministrativo: è una professione ad alta complessità, che richiede capacità di sintesi clinica, gestione delle incertezze, presa in carico globale del paziente, visione longitudinale delle cure. Tutte competenze che richiedono una formazione accademica rigorosa e strutturata.
Un altro aspetto fondamentale della riforma è la possibilità di integrare stabilmente il territorio nel sistema universitario. Per decenni la Medicina Generale è stata separata dal mondo accademico, con conseguente isolamento formativo e perdita di potenziale innovativo. Inserire la MG nell’università significa favorire la ricerca sul territorio, lo sviluppo di nuovi modelli assistenziali, la sperimentazione di tecnologie e pratiche innovative, la nascita di una comunità scientifica stabile.
Significa anche coinvolgere i medici di famiglia nella didattica e nella formazione dei futuri colleghi, creando un ciclo virtuoso di competenze e conoscenze. Il territorio può diventare così un vero laboratorio di innovazione, e non solo il luogo dove si scaricano le difficoltà del sistema.
Nel suo intervento, Testa sottolinea che rafforzare il territorio non può essere solo un annuncio politico: servono riforme strutturali. E la specializzazione universitaria è una di queste. Il Ssn ha bisogno di una Medicina Generale forte, qualificata, riconosciuta. I cittadini hanno bisogno di un medico di riferimento competente, stabile, capace di guidare la presa in carico. Le aziende sanitarie hanno bisogno di una rete territoriale solida per contenere la pressione sugli ospedali. L’intero sistema ha bisogno di una figura professionale in grado di garantire continuità, appropriatezza e qualità.
La riforma della formazione è dunque una riforma di sistema, non un intervento settoriale. Cambia il rapporto tra ospedale e territorio, ridisegna il ruolo del medico di famiglia, allinea l’Italia agli standard europei, rafforza la medicina primaria come pilastro del SSN.
Snami esprime apertamente apprezzamento nei confronti del Governo, del Senato e in particolare del Presidente Zaffini e della Senatrice Cantù. Non è comune vedere un sindacato medico riconoscere in modo così esplicito il lavoro delle istituzioni: questo dimostra quanto il tema sia cruciale e quanto il passo compiuto sia percepito come autentico e significativo.
Testa, però, non si limita ai ringraziamenti: ribadisce la disponibilità di SNAMI a collaborare attivamente per trasformare questa prospettiva in realtà. Il sindacato, che ha portato avanti per anni questa battaglia, ora si propone come interlocutore costruttivo, pronto a contribuire alla progettazione del nuovo percorso formativo e alla definizione del ruolo del medico di famiglia nella sanità del futuro.
Il comunicato si chiude con una visione chiara: per avere un SSN moderno ed efficiente bisogna partire dalla Medicina Generale. Nessuna riforma sanitaria potrà mai funzionare se non rafforza prima il territorio. E rafforzare il territorio significa dare ai suoi professionisti strumenti adeguati, percorsi dignitosi, autonomia decisionale e una retribuzione coerente.
La specializzazione universitaria non è dunque un regalo, né una mera rivendicazione corporativa: è la condizione necessaria per costruire un modello sanitario capace di rispondere alle sfide demografiche, epidemiologiche e organizzative dei prossimi decenni. È un investimento sul futuro del Paese.
SNAMI lancia un messaggio forte e chiaro: il momento è ora. La politica ha finalmente aperto una porta che era rimasta chiusa per troppo tempo. Ora serve coerenza, coraggio e continuità per completare la riforma. La Medicina Generale, quella vera, quella che sta ogni giorno accanto alle persone, attende da anni questo riconoscimento. E oggi, finalmente, intravede una svolta possibile.
