Flop al concorso per medici di famiglia in Lombardia
Alla prova per la scuola di formazione si è presentata solo la metà degli iscritti. Fimmg: “Professione poco attrattiva, resteranno scoperti 140 posti”.
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In Lombardia i medici di famiglia continuano a diminuire e il concorso per la scuola di formazione regionale si è trasformato in un campanello d’allarme. Alle prove di accesso, necessarie per avviare il percorso triennale post-laurea che abilita alla professione, si sono presentati appena 306 candidati su oltre 600 iscritti. Una defezione massiccia che lascia vuoti non solo i 390 posti messi a bando, ma anche il fabbisogno calcolato per i prossimi tre anni: mancheranno all’appello circa 140 medici di base.
La denuncia arriva dalla Fimmg Milano, la Federazione dei medici di medicina generale. “Contrariamente alle previsioni – spiega la segretaria Anna Pozzi – si sono presentati solo la metà degli iscritti. E temiamo che, al momento della scelta definitiva, qualche decina dei presenti opti comunque per altre strade. Alla fine, i colleghi che intraprenderanno realmente il percorso di formazione saranno poco più di 250”.
Il problema non riguarda soltanto i numeri. Dietro la scarsa partecipazione c’è una questione più profonda: la professione di medico di famiglia appare sempre meno attrattiva per i giovani. Oltre agli aspetti burocratici e ai carichi di lavoro crescenti, pesa l’incertezza organizzativa. I nuovi professionisti, ricordano i sindacati, lavorano come partite Iva senza la garanzia di un sostegno minimo per l’assunzione di una segretaria o di un infermiere, mentre gli accordi regionali e i rimborsi arrivano spesso con mesi di ritardo.
Eppure il medico di famiglia resta il primo presidio sanitario sul territorio, tanto più in una regione che invecchia rapidamente e in cui la domanda di assistenza cresce. Il corso di formazione in medicina generale, obbligatorio e a numero programmato, dura tre anni e prevede 4.800 ore tra teoria e pratica, con una borsa di studio per i corsisti. Ma l’investimento non basta a convincere le nuove generazioni: molti preferiscono specializzazioni ospedaliere considerate più stabili o professionalmente gratificanti.
Il rischio, denunciano le organizzazioni di categoria, è che intere aree della Lombardia si trovino senza un medico di base di riferimento. Una prospettiva che metterebbe in crisi l’assistenza primaria e costringerebbe i cittadini a rivolgersi sempre più agli ospedali per problemi che dovrebbero essere gestiti sul territorio.
La carenza di camici bianchi non è un fenomeno esclusivamente lombardo, ma in questa regione assume contorni particolarmente preoccupanti: da qui al 2027, senza correttivi, si stima che migliaia di pazienti potrebbero restare senza medico di famiglia. Un paradosso in un Paese che forma giovani laureati in medicina, ma fatica a trattenerli in una professione che dovrebbe essere cardine del sistema sanitario.