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Infermiere di comunità e farmacista di famiglia

Ecco come cambia l'assistenza sul territorio dopo il Covid Dl Rilancio, diecimila infermieri per il territorio più bonus. Fnopi soddisfatta, sindacati no

Infermiere di comunità e farmacista di famiglia

Non bastavano la “reperibilità telefonica” e la telemedicina con costi a carico del medico di famiglia. Non bastava piazzare le Unità speciali di continuità assistenziale all’articolo 1 del decreto legge rilancio varato dal governo per movimentare 55 miliardi di euro in tutte le direzioni. Alcuni emendamenti allo stesso decreto legge in fase di conversione introducono l’infermiere di famiglia e di comunità. Ma non è tutto: arriva anche il farmacista scelto dal paziente all’Asl come il medico, nella previsione che la medicina di famiglia perda unità di qui ai prossimi anni e faccia acqua come durante la pandemia. Difficile che gli emendamenti passino, ma non impossibile. Peraltro, le regioni hanno già problemi ad allestire le Usca. Dovrebbero essere 1200 in tutta Italia, il decreto Cura-Italia ne prevede una ogni 50 mila abitanti, alla sua uscita erano 420, dopo il varo del decreto Rilancio che prevede l’ingaggio di infermieri sul territorio le Asl le vanno integrando. La buona notizia è che tutte le regioni le stanno sperimentando e stanno emanando i bandi per aggregare migliaia di medici ed infermieri in tempi brevi. I problemi sono: come trovare personale; se privilegiare una composizione medici-infermieri a prevalenza dei primi o paritaria; cosa fargli fare; come vincere le resistenze dei sanitari già inquadrati in altri lavori. Inoltre, come si evince dalle parole del segretario Fimmg Silvestro Scotti, «in alcune Regioni sono impiegate per l’esecuzione dei tamponi, in altre svolgono invece una vera attività integrata di cure domiciliari insieme ai medici di famiglia». Il problema centrale sembra l’adesione di chi è già inquadrato. In Puglia inizialmente solo 26 medici di Ca avevano aderito ai bandi. Nelle riunioni Asl era emerso che, visto l’andamento dei dati sul coronavirus, il numero delle unità previste per legge supererebbe il fabbisogno reale. «Se le adesioni dei medici di continuità assistenziale fossero insufficienti – ha ventilato il direttore del dipartimento Politiche della Salute Vito Montanaro – si dovranno integrare gli organici con strategie alternative». Proprio nelle Usca preposte a visitare i pazienti Covid-19, il decreto rilancio prevede all’articolo 1 comma 5 l’ingresso dell’infermiere di famiglia o comunità: ne servono 8 ogni 50 mila abitanti, retribuito per il 2020 a contratto autonomo di 30 euro all’ora e per il 2021 assunto a tempo indeterminato. Sul testo arrivano sia gli emendamenti delle forze politiche per introdurre in fase di conversione la figura dell’infermiere di famiglia e di comunità (Ifec) sia le proposte di sintesi della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche. In una lettera, la Fnopi sollecita il governo ad introdurre l’Ifec, “specificandone l’operatività nei distretti e conferendogli un ruolo di governo dei servizi infermieristici”, e ad assumere 9600 infermieri per rafforzare sia i presidi a sostegno dei pazienti Covid sia quelli per fragili, cronici e non autosufficienti. Fnopi chiede pure più personale negli ospedali, legato all’aumento dei posti letto di emergenza. «Gli standard prevedono almeno 24 infermieri ogni 8 posti letto di terapia intensiva e 12 ogni 8 posti letto di terapia semintensiva e quindi mancherebbero all’appello circa 17 mila infermieri». E si chiede un bonus di 1000 euro pure per il personale infermieristico impegnato nell’emergenza. Infine, il farmacista di famiglia, emendamento di area M5S, che nel decreto Rilancio si candida ad aggiungersi a quello sull’infermiere di famiglia. Entro il 2030 ben 25 mila Mmg saranno sostituiti da sole 11 mila unità; ma gli anziani over 75 quell’anno saranno il doppio del 2000, il 15% degli italiani. Ecco dunque “una nuova figura di supporto”. Il farmacista di famiglia, scelto dal cittadino all’Asl, prenderebbe in carico le terapie assegnate ai pazienti deospedalizzati e ai malati cronici valutando l’aderenza del paziente alle cure e offrirebbe analisi di prima istanza, come telemedicina e campagne di screening, interagendo con i Mmg. Accederebbe alla piattaforma della Regione, con le stesse credenziali dei medici di famiglia: già oggi, secondo una statistica Assofarm, ogni farmacista, incluso il titolare, dedica in media due ore giornaliere di lavoro a consulenza e informazione gratuita all’utente. Garantendo un calo significativo dei ricoveri e una prevenzione adeguata, si potrebbero abbattere i costi del 30% e il medico avrebbe tempo per prendere in carico più pazienti. Come in Belgio, “dove il farmacista si è emancipato da venditore di prodotto-farmaco a consulente al paziente”. Per essere farmacisti di famiglia si dovrà frequentare un corso regionale ed essere “dipendenti di una farmacia, proprietari di farmacia senza dipendenti, o farmacisti iscritti all’albo non dipendenti né proprietari”.

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