Sinistra e referendum
Un ritorno al vecchio riflesso.
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Il dibattito riaperto dall’articolo rivela un nodo che il Pd continua a non sciogliere: il rapporto irrisolto con l’idea stessa di riforma istituzionale. La traiettoria ricostruita — da Togliatti a Schlein, passando per Berlinguer, Occhetto e Renzi — mostra una sinistra che oscilla da decenni tra conservazione gelosa e riformismo tattico, raramente strategico.
Il cuore del problema non è, come talvolta si sostiene, un generico “movimentismo” della segretaria. È piuttosto l’incapacità del Pd di definire una linea coerente sull’assetto dello Stato. La storia lo dimostra: dal sospetto verso i referendum del Pci alle improvvise conversioni dell’epoca Occhetto, fino alla stagione renziana — finita in un autodafé referendario — il rapporto con le riforme è sempre stato strumentale, quasi mai culturale.
Il parallelo tra Schlein e Togliatti non va forzato ma coglie un punto: nel momento in cui la destra prova a occupare il campo delle riforme, il Pd preferisce rifugiarsi in un identitarismo difensivo. Una postura comprensibile sul piano tattico, ma miope se si considera che le istituzioni, piaccia o no, sono oggi un terreno su cui si decide la qualità della democrazia.
Il richiamo al referendum sul taglio dei parlamentari è illuminante: il Pd vi aderì non per convinzione, ma per calcolo. E, come spesso accade quando la politica rincorre gli eventi, rimase schiacciato tra esigenze contingenti e mancanza di una visione. Quel voto del 2020 non segnò un’apertura al cambiamento, bensì un’ulteriore dimostrazione della difficoltà del partito a prendere posizione sul futuro del sistema politico.
Il rischio, oggi, è che la sinistra rinunci ancora una volta a giocare una partita che altri stanno già conducendo. Delegare alla destra il monopolio del discorso sulle riforme significa accettare che siano “gli altri” a definire il campo e il linguaggio della modernizzazione istituzionale. E quando il Pd reagisce, lo fa sempre troppo tardi o per respingere pregiudizialmente.
Se davvero vuole parlare ai giovani che “sbadigliano” di fronte ai dibattiti costituzionali, la sinistra dovrebbe dimostrare che le riforme non sono né un feticcio né una clava ideologica, ma uno strumento per migliorare la vita dei cittadini. Continuare a oscillare tra nostalgia e timore non farà che rendere più opaca la sua proposta politica.
La domanda, a questo punto, non è più perché Schlein non voglia discutere di riforme. È se il Pd sia ancora in grado di immaginarne una.
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