Natale che resiste!!
Betlemme accende la speranza.
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A Betlemme il Natale è tornato. Non come evento, non come attrazione, non come rito consolatorio. È tornato come scelta. Riaccendere le luci dopo due anni di silenzio non significa dichiarare che tutto va bene, ma affermare che tutto non è perduto. In una terra dove la guerra ha spento prima le voci e poi le speranze, celebrare il Natale è un atto politico nel senso più alto del termine: riguarda la vita, la permanenza, il diritto a restare.
Qui il Natale non è evasione. È resistenza. Lo dice il sindaco, lo testimoniano i fedeli, lo incarnano le famiglie che vivono di turismo e che oggi faticano a sopravvivere. Betlemme è una città ferita: senza pellegrini, senza lavoro, circondata da muri visibili e invisibili. Eppure sceglie di mostrarsi viva. Lo fa senza clamore, senza folla internazionale, senza illusioni. Lo fa perché spegnere anche il Natale avrebbe significato accettare la logica della cancellazione.
Questa celebrazione avviene mentre la tregua militare resta appesa a un filo sottile, scosso da dichiarazioni, raid, accuse incrociate. Ma la vera tregua mancante è quella dei civili. A Gaza la devastazione non è finita con il cessate il fuoco: è entrata nella quotidianità, fatta di povertà estrema, infrastrutture distrutte, sopravvivenza prima ancora che ricostruzione. In Cisgiordania la violenza ha superato la soglia dell’emergenza per diventare sistema: morti, feriti, insediamenti che avanzano, parole di annessione pronunciate senza più pudore.
E poi c’è Israele, dove il dolore del 7 ottobre non si è trasformato in silenzio, ma in conflitto interno. La richiesta di verità si scontra con il sospetto dell’insabbiamento. La giustizia diventa terreno di scontro politico. Le piazze si riempiono non più solo per riportare a casa gli ostaggi, ma per impedire che la memoria venga sepolta sotto una commissione addomesticata. Anche questo è un fronte di guerra: quello tra verità e potere.
In questo scenario, Betlemme non offre risposte. Offre un segno. Il cardinale Pizzaballa parla di un Natale sobrio, essenziale, vero. È una parola che pesa. Sobrio non vuol dire rassegnato, essenziale non significa povero di senso. Vuol dire tornare all’origine: a una nascita fragile, senza protezioni, senza garanzie, senza trionfo. È da lì che il Natale parla ancora al mondo.
Perché il Natale di Betlemme non promette miracoli immediati. Non annuncia soluzioni facili. Chiede invece di scegliere da che parte stare: con la vita che resiste o con la forza che cancella, con la verità che fa male o con il silenzio che protegge, con i civili o con le narrazioni che li rendono invisibili.
Accendere le luci a Betlemme oggi non è un gesto ingenuo. È un atto di coraggio. È dire che la speranza non è ottimismo, ma ostinazione morale. È ricordare che non esiste pace senza giustizia, non esiste sicurezza senza dignità, non esiste futuro senza memoria.
Duemila anni fa, in questa città, la speranza nacque senza clamore. Oggi torna a farsi vedere nello stesso modo: fragile, contestata, necessaria. Sta a noi decidere se guardarla come un rito lontano o riconoscerla come una domanda che ci riguarda.
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