Libertà senza paura!
No ai roghi, sì al confronto
C’è un filo che nella storia torna inquietante come un riflesso condizionato: quando non sappiamo affrontare un’idea, la estirpiamo. O perlomeno ci proviamo. E ogni volta, che si tratti dei roghi dei libri nazisti o delle purghe staliniane contro gli autori “deviati”, il risultato è sempre lo stesso: un danno culturale irreparabile, una ferita alla libertà, una resa della società al proprio lato più fragile.
Per questo l’esclusione di un editore da una fiera del libro, qualunque sia la sua collocazione politica, lascia un retrogusto amaro. Non perché quell’editore sia innocente o esente da critiche — tutt’altro. Ma perché l’idea di rispondere alle idee con la loro rimozione dallo spazio pubblico ci colloca su un terreno scivoloso, quello dove gli strumenti della democrazia vengono impugnati per imitare, in piccolo e con le migliori intenzioni, i metodi degli autoritarismi.
La democrazia non è fragile perché permette anche ciò che ci disturba: è forte proprio per quello. Forte abbastanza da lasciar parlare chi non la pensa come noi; abbastanza matura da non temere l’editoria marginale o radicale; consapevole che il consenso culturale non si costruisce eliminando le dissonanze, ma superandole con la qualità, la complessità e la forza delle proprie idee.
E invece eccoci qui, ogni anno, a ripetere lo stesso copione: un editore controverso, una parte del mondo culturale che minaccia il boicottaggio, un’altra che accusa di censura, e in mezzo un’opinione pubblica stanca, che vorrebbe solo discutere di libri, non di cordoni sanitari.
Il paradosso è evidente: per difendere la libertà, si sceglie di limitarla. Per combattere ideologie considerate pericolose, si adottano meccanismi che ricordano — certo, in forma infinitamente più blanda — proprio quelle tradizioni illiberali che vorremmo tenere lontane.
Così, mentre si proclama la superiorità culturale dei valori democratici, si rifiuta il confronto. Mentre si dichiara aperta a tutti la fiera, la si chiude a qualcuno. Mentre si educa alla diversità, si seleziona la diversità accettabile.
Questo non significa assolvere i contenuti discutibili o revisionisti: significa ribadire che la risposta non può essere la cancellazione preventiva. Perché se oggi tocca ai libri di un editore di estrema destra, domani chi decide quali libri “meritano” lo spazio? Un comitato? Una maggioranza politica? Un algoritmo?
Meglio una società che guarda in faccia le idee che teme, anziché una che le nasconde sotto il tappeto culturale sperando che spariscano. Meglio un dibattito duro, vero, esposto anche alle provocazioni e alle strumentalizzazioni, che un salotto culturale perfettamente igienizzato e totalmente inutile.
La libertà è un muscolo: si atrofizza se non la si usa, e soprattutto se la si protegge troppo.
Chi oggi chiede l’esclusione, può farlo per ragioni sincere o condivisibili. Ma il metodo resta sbagliato. Non si difendono i lettori impedendo loro di vedere; non si difende la cultura riducendone il perimetro; non si difende la democrazia scegliendo chi può partecipare al suo spazio pubblico.
Perché ogni volta che eliminiamo un libro da una fiera, indeboliamo — senza accorgercene — il patto fondamentale su cui si regge la nostra libertà: la fiducia che le idee, tutte, possano e debbano essere vinte solo con altre idee, mai con le esclusioni.
E questo sì, dovrebbe farci davvero paura.
Se non sono d’accordo basta che facciano tutti come Zerocalcare. Non partecipare anziché pretendere che gli altri non partecipino.
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