Il Ponte sullo Stretto? Prima l’acqua, poi i sogni
Il Ponte sullo Stretto è diventato il totem dell’Italia che sogna in grande ma dimentica il piccolo.
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Un’opera da miliardi che dovrebbe collegare due terre isolate, quando basterebbe aprire gli occhi: in Sicilia, più della metà dell’acqua si perde nelle condutture. Altro che Ponte, servono autobotti.
Eppure, siamo di nuovo qui. Salvini ci crede, beato lui. Dice che il Ponte si farà, anche se l’Europa chiude i rubinetti dei fondi dal 2028 e i costi lieviteranno come sempre. Dove troveremo i soldi? Mistero. Magari togliendoli a scuole, ospedali, trasporti. Roba noiosa, non fa notizia.
E i soliti noti arriveranno puntuali: TAR, procure, ambientalisti, comitati, sindaci, ingegneri, geologi, sismologi, giuristi. Tutti con buoni motivi, perché costruire una mega-opera in una zona ad alta sismicità non è proprio una passeggiata. A meno che non si voglia inaugurare una cattedrale nel vuoto.
Nel frattempo, i pendolari vivono un inferno quotidiano che nessuno racconta. Prendete un treno tra Messina e Palermo e capirete: due ore e quaranta per 220 km (quando va bene). Se optate per il regionale, vi auguriamo buona fortuna. Guasti, lavori infiniti, capistazione introvabili per evitare i passeggeri inferociti. E poi si parla di Ponte?
Mio padre, Consigliere della Corte dei conti, faceva Roma-Palermo ogni settimana. Già quarant’anni fa il problema non era l’aereo o l’alta velocità, ma la Sicilia. Lo Stretto. Messina. Da lì in poi, il nulla. E da allora, nulla è cambiato.
Il Ponte è un sogno? Forse. Ma prima di costruirlo, sarebbe il caso di svegliarsi. Perché un Paese che non riesce a portare l’acqua nelle case, i treni in orario e i cittadini al lavoro in modo dignitoso, non merita un Ponte. Merita una sveglia.
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