Meno iscritti, più reddito: l’effetto demografico sulle Casse
La crisi seleziona, il reddito cresce.
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Nella sua relazione al Congresso nazionale forense in Torino, la Presidente di Cassa Forense ha lamentato il fatto che oltre 90.000 avvocati iscritti dichiarano un reddito inferiore ad € 20.000,00 l’anno.
A prescindere da ogni approfondimento di tipo sociologico – statistico, l’evoluzione demografica delle Casse di previdenza dimostra, inequivocabilmente, che se diminuiscono gli iscritti aumenta il reddito pro capite.
Questo significa che molte Casse di previdenza sono state utilizzate dalla politica come un ammortizzatore sociale, in attesa di nuove destinazioni.
La riprova la troviamo nei numeri.
Gli iscritti in Cassa Forense sono da qualche anno in diminuzione e, parallelamente, il reddito e il volume d’affari pro capite è aumentato. Ulteriore riprova nella relazione fornita dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore de ragionieri e periti commerciali alla Commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale.
A fronte di un calo degli iscritti non pensionati di circa il 10%, che passano da 24.659 nel 2020 a 22.224 nel 2024, il valore del reddito medio aumenta di circa il 27%, passando da € 49.144 a € 62.581, mentre il volume d’affari si incrementa di circa il 22% passando da € 99.0357 a € 121.924.
Questo perché la quota di mercato si è ripartita in un numero minore di partecipanti.
Se leggiamo i numeri dell’avvocatura 2024 risulta che il calo degli iscritti rispetto al 2023 è stato di circa 1,6% mentre il reddito in media prodotto da ciascun avvocato è stato pari a € 47.678,00 con un aumento, rispetto all’anno precedente, del 6,8%.
Alla luce di questi numeri non mi sembra azzardato affermare che il numero di avvocati in Italia è eccessivo rispetto alle quote di mercato e, se vogliamo fare un confronto, anche con la maggior parte degli Stati europei.
La risposta della IA sul quesito è la seguente: “La percezione che ci siano “troppi avvocati” si basa sull’elevato numero di professionisti in Italia, che supera di gran lunga quello di altri paesi europei, e sulla difficoltà di molti di questi nel generare un reddito adeguato. Questo problema, già sollevato da Piero Calamandrei nel suo saggio del 1921, è attualizzato da nuovi studi e riflessioni sul futuro della professione, anche a fronte di un lieve calo nel numero complessivo degli iscritti negli ultimi anni”.
L’apertura di nuovi mercati può senz’altro giovare all’avvocatura ma, anche per l’avvento della IA, è certamente più utile una riduzione del numero degli avvocati, così da rientrare negli standard europei, il che significa, nello stesso tempo, riqualificare la professione forense, sia dal punto di vista delle competenze che della remunerazione.
Sul come raggiungere questo traguardo credo che i vertici dell’avvocatura siano in grado di fornire alla politica esaustivi suggerimenti, aprendo un’agorà sul tema, perché come ho sentito giustamente affermare, l’avvocatura deve cercare di anticipare gli eventi e non inseguirli e se avessimo iniziato a farlo sin dal 1921 non ci troveremmo oggi in questa situazione.
Questo gioverebbe, principalmente, alla sostenibilità economico – finanziaria di Cassa Forense, dato che solo pensare, di questi tempi di magra nazionale, ad una riduzione dell’aliquota fiscale sul rendimento del patrimonio, che pure sarebbe dovuta, mi pare illusorio.
C’è, infatti, anche chi si oppone ad una tassa sugli extraprofitti che diventa un contributo volontario da parte delle Banche e Assicurazioni, le quali troveranno poi il modo di scaricarlo sui clienti!
Da ultimo, grazie a Terzultima fermata che ha pubblicato la motivazione della sentenza della quale era noto solo il comunicato, segnalo che, nell’ambito della privatizzazione di Poste italiane spa “La Cassazione a Sezioni Unite penali con la sentenza numero 34036 depositata il 16 ottobre 2025 hanno affermato che l’attività di raccolta del risparmio postale, ossia la raccolta di fondi attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi effettuata da Poste italiane s.p.a. per conto della Cassa depositi e prestiti, costituisce prestazione di un pubblico servizio. Inoltre, le Sezioni Unite penali hanno stabilito che l’operatore di Poste italiane s.p.a. addetto alla vendita e gestione dei prodotti derivanti dalla raccolta del risparmio postale, e segnatamente da libretti di risparmio postale e da buoni postali fruttiferi, nello svolgimento di tale attività, riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio.” (Cassazione a Sezioni Unite: natura dell’attività di raccolta del risparmio postale effettuata da Poste italiane s.p.a. per conto della Cassa depositi e prestiti e qualifica dell’operatore addetto al servizio, Terzultima Fermata del 16.10.2025).
Per quanto concerne il settore delle privatizzazioni, il giudice penale in alcuni casi ha esteso lo statuto penale dei pubblici agenti o degli incaricati di pubblico servizio nei confronti di soggetti operanti negli enti privatizzati, riconoscendo che la trasformazione dell’ente pubblico in società per azioni non cancella di per sé le connotazioni proprie della originaria natura pubblica dell’ente, in ogni caso ribadendo che i soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una società per azioni possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l’attività della società medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalità pubbliche, pur se con gli strumenti privatistici (cfr., Sez. 5, n. 23465 del 26/04/2005, Laghi; Sez. 6, n. 49759 del 27/11/2012, Zabatta; Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, Orsi; Sez. 5, n. 31660 del 13/02/2015, Barone).
Varrà anche per le Fondazioni?
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