Lo Stato non può decidere cosa fare dei contributi degli iscritti
Il contenzioso di Cassa Forense con l’Agenzia delle Entrate riguarda il mancato recupero di 22 milioni di euro. La Cassazione, con un’ordinanza, ha rimesso il caso alle Sezioni Unite.
Con una recente ordinanza interlocutoria, la Corte di cassazione ha esaminato una complessa controversia tra la Cassa forense e l’Agenzia delle Entrate – Riscossione (AdeR), subentrata a Equitalia Sud nella gestione dei crediti forensi. La disputa riguarda il mancato recupero di contributi per un valore superiore ai 22 milioni di euro, iscritti a ruolo tra il 1996 e il 2008. L’Ente contesta all’esattore presunte negligenze nella gestione di queste somme.
Il fulcro della controversia è la presunta inefficienza dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione nel recupero e nella rendicontazione dei crediti. In passato, Cassa forense aveva ripetutamente accusato l’esattore di non aver adempiuto ai propri obblighi con la dovuta diligenza. L’ente previdenziale aveva avviato una causa contro AdeR per la mancata riscossione di contributi iscritti a ruolo tra il 1996 e il 2008, accusando l’esattore di una gestione negligente.
La Corte di Appello di Roma aveva rigettato il ricorso di Cassa forense, stabilendo che AdeR aveva operato conformemente alle normative vigenti, in particolare dopo le modifiche introdotte dal D. Lgs. 112/ 1999 e dalla Legge 228/ 2012. Secondo tale decisione, l’esattore non era tenuto a versare contributi non effettivamente riscossi.
Insoddisfatta della sentenza della Corte di Appello, Cassa forense ha presentato ricorso alla Corte di cassazione, contestando la legittimità della decisione e sollevando questioni di diritto costituzionale ed europeo. Uno dei punti contestati concerne i crediti antecedenti al 1999, quando era in vigore il regime del “non riscosso come riscosso”, secondo cui l’esattore era obbligato a versare alla Cassa le somme iscritte a ruolo, “indipendentemente dal loro recupero effettivo”.
Con l’introduzione del D. Lgs. 112/ 1999, questo principio è stato modificato, stabilendo che solo i crediti effettivamente riscossi dovessero essere versati. A questo si aggiungono ulteriori complicazioni derivanti dalla Legge 228/ 2012, che ha previsto l’annullamento automatico dei crediti fino a 2.000 euro iscritti a ruolo prima del 1999 e introdotto un meccanismo di discarico per quelli superiori.
Il presidente della Cassa, l’avvocato Valter Militi, ha espresso la sua preoccupazione riguardo alla gestione di questa vicenda, sottolineando l’importanza di difendere «i diritti dell’Ente e degli iscritti». In un passaggio, Militi ha dichiarato: «Auspico che le Sezioni Unite riconoscano le ragioni dell’Ente perché non credo che lo Stato possa decidere di intervenire a piedi uniti sottraendo delle risorse a un ente privato; le somme contributive devono essere versate. Nel momento in cui una norma di legge o un provvedimento, come accaduto in passato, concede questa possibilità, lo Stato può e deve riservarla ai suoi organi e appendici. Noi siamo un Ente vigilato dallo Stato, ma autonomo, perciò lo Stato non può decidere cosa fare dei contributi degli iscritti e se farli riscuotere o meno».
Militi ha anche evidenziato il rischio di una gestione inadeguata dei contributi, che potrebbe compromettere la capacità della Cassa di garantire le prestazioni pensionistiche ai propri iscritti: «Al versamento dei contributi si riconnette il pagamento di una prestazione pensionistica. L’Ente, per poter effettuare il pagamento delle pensioni, deve incassare i contributi; se questi vengono a mancare, si crea una discrasia. Segnalo che nell’ultimo provvedimento sulla pace fiscale ci sono norme che danno agli enti previdenziali la possibilità di aderire a tali disposizioni su base volontaria, ma se l’Ente ha dato mandato a Equitalia o ad altri organi per riscuotere i contributi, non può non farlo».
Tra le motivazioni presentate dall’Ente in Cassazione emerge la denuncia di incostituzionalità della L. 228/ 2012. Secondo la Cassa, le modifiche legislative “avrebbero leso i propri diritti”, in particolare per quanto riguarda i crediti non riscossi. Il punto critico riguarda la proroga dei termini per la comunicazione di inesigibilità e l’eliminazione della responsabilità per “mala gestio” dell’esattore, cambiamenti che avrebbero favorito quest’ultimo a danno della parte creditrice.
Un’altra problematica riguarda la compatibilità delle normative italiane con il diritto dell’Unione europea. Secondo i legali di Cassa forense, «il regime di riscossione agevolato introdotto dalla Legge di Stabilità 2015 potrebbe configurarsi come un aiuto di Stato a favore dell’AdeR», in violazione degli artt. 107 e 108 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (Tfue). Questo, secondo la Cassa, avrebbe creato una distorsione della concorrenza, «esentando l’esattore dall’obbligo di recuperare integralmente i crediti senza fornire adeguate garanzie alla parte creditrice».
Di fronte alla complessità delle questioni sollevate, la Corte ha deciso di rimettere il caso alle Sezioni Unite. Il nodo centrale riguarda i crediti iscritti a ruolo “dopo il 1999”, su cui non esistono precedenti giurisprudenziali consolidati relativi all’applicazione retroattiva delle modifiche introdotte dalla Legge di Stabilità 2015. Mentre per i crediti antecedenti al 1999 è stato stabilito che “l’annullamento dei ruoli non coincide con l’estinzione del credito sottostante”, per quelli successivi “permane un vuoto interpretativo”.
Infine, Cassa forense ha sollevato dubbi sulla violazione del principio del giusto processo, sancito dall’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Le norme italiane, secondo l’Ente, avrebbero “influenzato il corso del giudizio”, alterando l’equilibrio tra le parti e avvantaggiando l’esattore. Questo, secondo i legali della Cassa, rappresenterebbe una «violazione del diritto a un processo equo e della parità delle parti».
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