Criticare Cassa Forense costa 4 mesi di sospensione dalla professione
Segnaliamo la sentenza del Consiglio Nazionale Forense numero 415/2024 che ha affermato, in tema di libertà di manifestare la propria opinione critica sulle Istituzioni Forensi, che la critica trova un limite invalicabile nei doveri di lealtà, correttezza e rispetto nei confronti dell’Ordine Forense e dell’Avvocatura in generale.
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L’avvocato può criticare le Istituzioni Forensi ma con il limite della continenza e della correttezza formale e sostanziale dell’esposizione dei fatti.
Segnaliamo la sentenza del Consiglio Nazionale Forense numero 415/2024 che ha affermato, in tema di libertà di manifestare la propria opinione critica sulle Istituzioni Forensi, che la critica trova un limite invalicabile nei doveri di lealtà, correttezza e rispetto nei confronti dell’Ordine Forense e dell’Avvocatura in generale.
Integra, pertanto, grave violazione deontologica la diffusione sui social networks di un pensiero critico che si manifesti con espressioni deplorevoli e accostamenti ad organizzazioni criminali che disonorano l’Avvocatura e le Istituzioni Forensi in generale.
Nella sentenza si legge:
“Dagli atti del procedimento disciplinare risulta come il ricorrente abbia realizzato una ampia, prolungata ed insistita campagna critica nei confronti della Cassa Forense, dei suoi vertici istituzionali e, in particolare, dell’allora suo Presidente avv. [AAA]. Non è naturalmente in discussione il diritto di ogni avvocato, e dell’avv. [RICORRENTE] nella fattispecie, di rivolgere critiche alle istituzioni forensi, in specie alla Cassa Forense ed al suo Presidente pro tempore.
L’azione critica può anche essere aspra ed insistita, come certamente è stato nella circostanza, né rileva sul piano deontologico il fatto che, per esprimerla, l’incolpato abbia fatto ricorso a plurimi mezzi di comunicazione, con l’intento di raggiungere la più ampia platea di destinatari delle proprie opinioni dissenzienti e fortemente critiche rispetto alle iniziative ovvero alle ritenute negligenze e manchevolezze nella gestione dell’ente previdenziale forense.
Qualsiasi espressione critica – come ogni avvocato meglio di chiunque altro sa, essendo principio che sovente si incontra nell’esercizio della professione – nel suo legittimo esercizio incontra tuttavia il limite della continenza e della correttezza formale e sostanziale dell’esposizione dei fatti, “che non devono assumere carattere di lesività del decoro e dell’immagine del soggetto cui si fa riferimento” (Cass. Civ., ord. n. 2357/2018, fra le tante).
Trattasi di limite che è imposto anche al diritto, costituzionalmente garantito, di difesa, che viene richiamato impropriamente dalla difesa dell’incolpato evocando le previsioni dell’art. 1 co. 1 e 2 del codice deontologico forense: le espressioni in contestazione non sono infatti state utilizzate nell’ambito di un giudizio, nell’esercizio del ministero di difensore, ma in un’attività privata, di ampia rilevanza pubblica, posta in essere al di fuori di un contesto processuale.
Cionondimeno, anche le espressioni critiche utilizzate al di fuori di un giudizio soggiacciono ai medesimi limiti posti a tutela della dignità ed onorabilità del soggetto che della critica – ancorché legittima – viene fatto destinatario.
Orbene, tale limite appare oggettivamente essere stato oltrepassato, con una insistenza ed una reiterazione che di per sé consente di attribuire all’incolpato la piena consapevolezza della propria condotta, da alcune delle espressioni riportate nel capo d’incolpazione, e segnatamente quelle che si riferiscono all’avv. [AAA], nella sua qualità di Presidente pro tempore della Cassa Forense, quale appartenente ad una “banda di criminali” e ad un “sistema delinquenziale … fatto di clientelismo, voto di scambio, finanziamenti pilotati, corruzione” espressamente qualificato di tipo mafioso, tanto che l’incolpato ha direttamente e formalmente richiesto, con l’invio delle proprie segnalazioni e denunce, l’intervento della Direzione Distrettuale Antimafia.
Si tratta di vere e proprie accuse – più che di critiche – di fatti di grave rilevanza penale (ove provati) ma che, semplicemente adombrati e fatti oggetto di valutazioni personali ampiamente diffuse, rimangono esclusivamente suscettibili di ingenerare una altrettanto grave violazione dell’onore del soggetto destinatario di così gravi accuse.
Risulta quindi corretto e fondato il richiamo alla violazione, da parte dell’incolpato, dei doveri deontologici previsti sia all’art. 9 co. 2 c.d.f., il quale prevede che “l’avvocato, anche al di fuori dell’attività professionale, deve osservare i doveri di probità, dignità e decoro, nella salvaguardia della propria reputazione e della immagine della professione forense”, sia all’art. 19 c.d.f., il quale prevede che “l’avvocato deve mantenere nei confronti dei colleghi e delle istituzioni forensi un comportamento ispirato a correttezza e lealtà”.
Con riferimento specifico al legittimo esercizio di un’opinione critica nei confronti delle istituzioni forensi, si può fare condivisibile richiamo a quanto stabilito da questo Consiglio con la sentenza n. 57/2023: “la libertà di manifestare la propria opinione critica sulle istituzioni forensi trova un limite invalicabile nei doveri di lealtà, correttezza e rispetto nei confronti dell’Ordine Forense e dell’avvocatura in generale. Integra, pertanto, grave violazione deontologica la diffusione sui social networks di un pensiero critico che si manifesti con espressioni deplorevoli e accostamenti ad organizzazioni criminali che disonorano l’avvocatura e le istituzioni Forensi in generale”.
A temperare la rilevanza deontologica della condotta dell’incolpato non soccorrono gli esiti dei procedimenti penali attivati nei suoi confronti dall’avv. [AAA]: la difesa dell’incolpato non ha documentato l’esito del procedimento penale innanzi al Tribunale di Pesaro, nel quale è stata documentata la emissione del decreto di citazione a giudizio dell’avv. [RICORRENTE] per rispondere del reato di diffamazione continuata e aggravata; ed anzi all’udienza di discussione in questa sede la difesa dell’incolpato ha documentato di avere impugnato la decisione emessa in un diverso procedimento penale, innanzi al Tribunale di Roma, nel quale l’avv. [RICORRENTE] è stato condannato.
In forza di quanto sopra e della gravità delle accuse ovvero espressioni critiche utilizzate dall’incolpato nei riguardi dell’avv. [AAA], il ricorso non può trovare accoglimento, ritenendosi adeguata la sanzione inflitta e pertanto meritevole di conferma la decisione adottata dal Consiglio di Disciplina”.
Nota:
In senso conforme, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Corona, rel. Pizzuto), sentenza n. 57 del 27 marzo 2023.
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