Lo Stato, inflessibile con i contribuenti
Ma condona i responsabili di danno erariale.
Erano da poco passate le 14 del 27 dicembre, quando il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha dato l’annuncio dell’approvazione, in via definitiva, con 93 voti favorevoli, 51 contrari e 5 astensioni, del disegno di legge n. 1457 recante “Modifiche alla legge 14 gennaio 1994, n. 20, e altre disposizioni nonché delega al Governo in materia di funzioni della Corte dei conti e di responsabilità amministrativa e per danno erariale”. In pratica chi, amministratore o pubblico dipendente, con azione od omissione, provocherà un danno ad un bilancio pubblico non sarà chiamato a risarcire o risarcirà una somma poco più che figurativa.
Ma vediamo nel dettaglio.
L’iniziativa (pdl n. 1621) è dell’on. Tommaso Foti, all’epoca Presidente del Gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia alla Camera, oggi Ministro per gli affari regionali. E questo ne fa una proposta governativa, anzi dell’intera maggioranza, essendo stata sottoscritta anche dal deputato Paolo Barelli, Presidente del Gruppo parlamentare di Forza Italia, ed abbinata alla pdl n. 340 del deputato Stefano Candiani, della Lega.
La legge, che sarà promulgata ad horas, modifica le norme sull’ordinamento e le attribuzioni della Corte dei conti, magistratura prevista in Costituzione agli artt. 100, comma 2, quanto al controllo, e 103, comma 2, quanto alla giurisdizione contabile. L’Istituto è, pertanto, di “rilevanza costituzionale”.
Il Parlamento decide che va perdonato chi causa un “danno erariale”, cioè chi con “colpa grave” causa un pregiudizio finanziario o patrimoniale non solamente allo Stato ma anche ad un ente pubblico, locale o istituzionale. Lo ha voluto l’attuale maggioranza parlamentare, come si è detto. Sarebbe, tuttavia, ingiusto ritenere che l’iniziativa sia tutta di Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega. Infatti, a decidere che lo Stato non dovesse essere risarcito dal pubblico dipendente responsabile di danno erariale è stato, nel 2020, il governo Conte1 con il decreto-legge n. 76 del 16 luglio che all’art. 21 (Responsabilità erariale) ha stabilito (al comma 2) che “Limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto… , la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente”. Al comma 1 la norma è previsto che “La prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”. Così optando per la configurazione penale della “volontà colpevole”. In sostanza è esclusa la colpa grave se non nei casi di omissione o inerzia. In barba alla regola secondo la quale, fin dal diritto romano, “culpa lata” (cioè la colpa grave) “dolo aequiparatur”. Perché, scrive Ulpiano, è “non intelligere quod omnes intelligunt”. Non c’è bisogno di conoscere il latino. La colpa grave è equiparata al dolo perché perché costituita da gravissima negligenza, imprudenza o imperizia (art. 43 c. p.).
La norma nasce come temporanea in tempi di pandemia, come a voler evitare che la possibilità della condanna costituisca una remora “al fare” (poi si parlerà di “timore della firma”). Norma ritenuta funzionale all’urgenza di disporre acquisti per far fronte all’epidemia da Covid-19. Poi si saprà che giustificherà l’acquisto di mascherine farlocche, banchi a rotelle e di altri beni e servizi di dubbia utilità od a prezzi più che sospetti. Come avrebbero accertato i giudici penali in giro per l’Italia ancora nei giorni scorsi.
Poi sembrò opportuno prolungare l’efficacia della normativa con nuovi provvedimenti d’urgenza, da parte del Governo Conte2 e del Draghi1, ciò che ha stupito molti in quanto questo Presidente del Consiglio, all’atto del suo insediamento, aveva evocato Camillo di Cavour, il grande amministratore del governo convinto della necessità di una spesa pubblica rigorosa presidiata da controlli di legittimità e dalla sanzione del risarcimento dell’eventuale danno. Il termine è stato successivamente prorogato fino al 31 dicembre 2025 con il decreto-legge 12 maggio 2025, n. 68 (Governo Meloni).
Nel frattempo, la politica ha cercato di giustificare le ragioni della normativa straordinaria. Per cui, finita la pandemia si è evocato il “timore della firma”. Gli amministratori ed i dirigenti pubblici sarebbero indotti a non assumersi responsabilità “nel timore” di essere chiamati a rispondere di eventuali danni erariali cioè di pregiudizi arrecati allo Stato o agli enti pubblici per aver agito quanto meno con colpa grave che, come si è visto, è costituita da una gravissima negligenza, imperizia o imprudenza.
Il dato psicologico non è stato approfondito. Ma chi lo ha studiato si è fatto un’idea precisa. Il livello professionale della classe politica e amministrativa è enormemente calato. Lo dimostra anche la selezione nei concorsi di accesso alle pubbliche amministrazioni che ha dovuto tener conto della minore preparazione professionale dei candidati, dalle elementari all’università. In un recente concorso in magistratura sono stati rilevati perfino errori di grammatica! Del resto qualche anno fa ben trecento professori universitari avevano segnalato al Ministro dell’istruzione che nelle tesi di laurea si riscontravano errori di grammatica non ammissibili neppure in terza elementare.
In questo contesto i concorsi pubblici prevedono una selezione sempre meno rigorosa!
Inevitabile, dunque, il timore della firma che ricorre nei discorsi dei nostri politici.
Vediamo, dunque, i tratti rilevanti del testo approvato ieri dal Senato.
In primo luogo, “Costituisce colpa grave la violazione manifesta delle norme di diritto applicabili, il travisamento del fatto, l’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento. Ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta delle norme di diritto applicabili si tiene conto, in particolare, del grado di chiarezza e precisione delle norme violate nonché dell’inescusabilità e della gravità dell’inosservanza. Non costituisce colpa grave la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti”. Quest’ultima precisazione è da tempo nel patrimonio della giurisprudenza della Corte dei conti. Ugualmente escludono la colpa grave, in caso di esito positivo del controllo, gli elementi desumibili “dagli atti richiamati e allegati che costituiscono il presupposto logico e giuridico dell’atto sottoposto a controllo”.
Nel caso di dolo “la responsabilità è limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo nei seguenti casi:
- a) conclusione di accordi di conciliazione nel procedimento di mediazione o in sede giudiziale da parte dei rappresentanti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;
- b) conclusione di procedimenti di accertamento con adesione, di accordi di mediazione, di conciliazioni giudiziali e di transazioni fiscali in materia tributaria”.
La Corte nell’accertare un comportamento causativo di danno dispone del cosiddetto “potere riduttivo” nel senso che valuta le circostanze della condotta. D’ora in poi “fermi restando il potere di riduzione e l’obbligo di esercizio del potere riduttivo nei casi previsti dal comma 1-octies del presente articolo, nella quantificazione del danno deve tenersi conto dell’eventuale concorso dell’amministrazione danneggiata nella produzione del danno medesimo”. Anche questa norma tiene conto dell’orientamento della giurisprudenza contabile.
È stato previsto che “la buona fede dei titolari degli organi politici si presume, fino a prova contraria, fatti salvi i casi di dolo, quando gli atti adottati dai medesimi titolari, nell’esercizio delle proprie competenze, sono proposti, vistati o sottoscritti dai responsabili degli uffici tecnici o amministrativi, in assenza di pareri formali, interni o esterni, di contrario avviso”. Anche questo profilo è presente nella giurisprudenza della Corte.
È precisato che “Salvi i casi di danno cagionato con dolo o di illecito arricchimento, la Corte dei conti esercita il potere di riduzione ponendo a carico del responsabile, in quanto conseguenza immediata e diretta della sua condotta, il danno o il valore perduto per un importo non superiore al 30 per cento del pregiudizio accertato e, comunque, non superiore al doppio della retribuzione lorda conseguita nell’anno di inizio della condotta lesiva causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo, ovvero non superiore al doppio del corrispettivo o dell’indennità percepiti per il servizio reso all’amministrazione o per la funzione o l’ufficio svolti, che hanno causato il pregiudizio”.
È la norma più controversa. In base a quale logica e a quale diritto lo Stato rinuncia al 70% del danno? Soprattutto avendo previsto che è “chiunque assuma un incarico che comporti la gestione di risorse pubbliche dalla quale discenda la sua sottoposizione alla giurisdizione della Corte dei conti è tenuto a stipulare, prima dell’assunzione dell’incarico, una polizza assicurativa a copertura dei danni patrimoniali cagionati dallo stesso all’amministrazione per colpa grave”? Contestualmente rafforzando la difesa del convenuto in giudizio, avendo previsto che “nei procedimenti per i danni patrimoniali, l’impresa di assicurazione è litisconsorte necessario”.
L’intervento dell’assicurazione dovrebbe logicamente escludere la riduzione della condanna ad un risarcimento intero, preoccupazione della incapienza del patrimonio del condannato.
E qui emerge un altro aspetto dello scarso approfondimento di cui hanno dato dimostrazione alcuni dei parlamentari intervenuti nel dibattito. Non solamente ieri. La Corte, o meglio l’Amministrazione, riscuote meno di quanto i giudici hanno condannato. Elementare. Accade anche in sede civile se il debitore non dispone delle risorse necessarie è evidente che il creditore rimane insoddisfatto. Possibile che uomini di mondo come i parlamentari non comprendano questa elementare realtà?
Non poteva mancare una norma sulla prescrizione. Infatti, è stato previsto che essa decorre “,indipendentemente dal momento in cui l’amministrazione o la Corte dei conti sono venuti a conoscenza del danno” con la precisazione che l’“occultamento doloso del danno” deve essere “, realizzato con una condotta attiva o in violazione di obblighi di comunicazione”.
Le norme che riguardano il controllo prevedono che “per i contratti pubblici connessi all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC), il controllo preventivo di legittimità di cui al comma 1, lettera g), è svolto sui provvedimenti di aggiudicazione, anche provvisori, e sui provvedimenti conclusivi delle procedure di affidamento che non prevedono l’aggiudicazione formale. I termini di cui al comma 2 hanno carattere perentorio; qualora alla scadenza non sia intervenuta la deliberazione, l’atto si intende registrato anche ai fini dell’esclusione di responsabilità… . Il visto può essere ricusato soltanto con deliberazione motivata. (“già oggi la deliberazione della Sezione del controllo è motivata”, n.,d.a.)
1–quater. Le regioni, le province autonome e gli enti locali, con norma di legge o di statuto adottata previo parere delle sezioni riunite della Corte dei conti, possono sottoporre al controllo preventivo di legittimità della Corte medesima i provvedimenti di aggiudicazione, anche provvisori, ovvero i provvedimenti conclusivi delle procedure di affidamento che non prevedono l’aggiudicazione formale, relativi ai contratti di appalto di lavori, servizi o forniture, attivi o passivi, ovvero ai contratti di concessione, finalizzati all’attuazione del PNRR e del PNC, di importo superiore alle soglie previste dall’articolo 14 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36”.
L’art. 2 riguarda l’attività consultiva della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica, funzione già introdotta dalla legge La Loggia. E prevede che “La sezione centrale della Corte dei conti per il controllo di legittimità sugli atti, su richiesta delle amministrazioni centrali e degli altri organismi nazionali di diritto pubblico, rende pareri in materia di contabilità pubblica, anche su questioni giuridiche applicabili a fattispecie concrete connesse all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC), di valore complessivo non inferiore a un milione di euro, purché estranee ad atti soggetti al controllo preventivo di legittimità ovvero a fatti per i quali la competente procura contabile abbia notificato un invito a dedurre. Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti rendono i pareri di cui al primo periodo su richiesta dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni. È esclusa, in ogni caso, la gravità della colpa per gli atti adottati in conformità ai pareri resi. Le sezioni riunite della Corte dei conti assicurano la funzione nomofilattica sull’attività consultiva esercitata dalla sezione centrale e dalle sezioni regionali”.
I pareri di cui al comma 1 sono resi “entro il termine perentorio di trenta giorni dalla richiesta. In caso di mancata espressione del parere nel termine di cui al primo periodo, lo stesso si intende reso in senso conforme a quanto prospettato dall’amministrazione richiedente, ai fini dell’esclusione della gravità della colpa… ovvero in senso negativo qualora l’amministrazione richiedente non abbia prospettato alcuna soluzione”.
Il termine di trenta giorni in mancanza di adeguamento delle strutture della Corte rischia di essere inadeguato. Insomma, l’Amministrazione procede a predisporre un atto anche attraverso un procedimento che può durare mesi e pretende che i magistrati provvedano in pochi giorni. È facile immaginare che gli uffici della Corte sia ingolfati con l’effetto di far scattare il “silenzio assenso”.
Insomma, la pur rapida ricognizione della nuova normativa dimostra senza grandi sforzi di fantasia che si poteva fare meglio e che qualche giusto adeguamento, soprattutto di quelli già delineati dalla giurisprudenza, potevano essere delineati con maggiore precisione.
Ma questa è la classe politica di cui disponiamo, che non ha voluto interloquire con chi fa il lavoro sul quale si è voluto intervenire. Molto probabilmente perché alcune norme sono state “imbeccate” dall’esterno dei palazzi della politica. Ne avremo conferma quando si farà luogo alle norme delegate sul riordinamento degli uffici e sul ruolo che sarà delineato per i titolari degli stessi.
Altre Notizie della sezione
La persona al centro: la professione di CdL
24 Dicembre 2025Sul Sole 24 Ore la riflessione del Presidente De Luca alla luce dell’udienza con il Santo Padre.
Manovra, lo scontro sui decreti
23 Dicembre 2025Durante la sessione di bilancio riaffiora il tema di un decreto-legge di accompagnamento. Tra vincoli costituzionali, prassi consolidate e margini di discrezionalità del Quirinale.
Basta toghe sacre
22 Dicembre 2025La giustizia non è supereroi.
