Destra e sinistra si mettono insieme e danno un’altra botta alla Costituzione
La legge contro la violenza sessuale finisce per ribaltare l’onere della prova (e la dottrina costituzionale): sarà il presunto stupratore a dover dimostrare la sua innocenza.
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Come, con le migliori intenzioni, si possono provocare i danni peggiori.
In attesa di organizzare, come è stato proposto, una concorrenza alla destra in tema di sicurezza – ovvero di alzare l’allarme criminalità nel paese meno criminale d’Europa, per poi affrontarla con più manette vs manette – la sinistra ha trovato un buon terreno d’allenamento: la collaborazione securitaria col governo (un giorno c’è l’allarme fascismo, il giorno dopo le larghe intese dei ceppi: mondo strano).
Come si sa, destra e sinistra hanno approvato in armonica collaborazione una nuova legge in contrasto agli stupri la quale prevede, essenzialmente, due punti. Primo: perché un rapporto sessuale non sia violenza sessuale, condizione necessaria è il consenso libero e – novità – attuale, cioè continuamente confermato. Uso le parole spese in un’intervista del 14 novembre a Repubblica da Paola Di Nicola Travaglini, consigliera di Cassazione: “Il consenso esiste se l’altra persona ha detto sì a quell’atto in modo chiaro deciso e reiterato”. Reiterato, cioè sempre attuale. In qualsiasi momento, il consenso può essere negato dopo essere stato concesso, e dunque bisogna fermarsi immediatamente, sennò è violenza. Credo sia tutto giusto, sebbene la questione possa talvolta farsi ambigua, ma lasciamo perdere la complicazione dei dettagli.
L’altro elemento è la vittimizzazione secondaria, ovvero la violenza ulteriore a cui la donna stuprata è sottoposta nel corso del processo, quando i difensori dell’imputato, nel tentativo di guadagnare un’assoluzione o una pena meno severa, cercano di ricostruire i fatti con domande che spesso posso sembrare insinuanti o aggressive, comunque dolorose per chi deve rispondere. Non è una quisquilia. Ma la soluzione è brutale: quelle domande gli avvocati non potranno porle più. Non si chiede una continenza verbale, confini più ristretti, una tutela più presente da parte del giudice. No, vietato indugiare su qualsiasi dettaglio. In estrema sintesi: non si può parlare di quello che è successo. E come si fa a tenere un dibattimento se non si può parlare di quello che è successo?
Lo spiega ancora, nella medesima intervista, Paola Di Nicola Travaglini: “Con la nuova legge, ecco il cambiamento, sarà chiaro che saranno i denunciati a dover dare prova, come si dice volgarmente, che lei ci stava”. (E, aggiungo, che ci stava prima non basta. Che ci stava anche il minuto dopo e quello dopo ancora, in un consenso libero e sempre attuale). Traduzione facile facile: saranno gli imputati a dover dimostrare la loro innocenza, anziché gli inquirenti a dover dimostrare la loro colpevolezza. È il ribaltamento dell’onere della prova o, per essere più chiari, il ribaltamento della dottrina costituzionale secondo cui siamo tutti innocenti fino a prova contraria: ce ne saranno alcuni che, fino a prova contraria, saranno considerati colpevoli. Ancora da Paola Di Nicola Travaglini: “Sono un ragazzo, ho una moto e qualcuno me la ruba. Denuncio. Non dovrò mica dimostrare il mio dissenso: è evidente visto che ho subito un furto”. Esempio perfetto: non bisogna più che gli inquirenti dimostrino se il furto c’è stato o no. Il furto c’è, il ladro pure, se è in grado di scagionarsi bene altrimenti fatti suoi.
Terrificante. E l’aspetto più incredibile è come, in nome dei diritti, si cede sul diritto, e cioè si demolisce tutta una straordinaria civiltà giuridica faticosamente approdata nella Costituzione, quella antifascista, la più bella del mondo. La più schifata.
di Mattia Feltri su Huffpost
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