Anno: XXVI - Numero 222    
Martedì 18 Novembre 2025 ore 13:30
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Il pasticcio del Ponte.

Un'eterna storia di stop, ripartenze, penali e contenziosi.

Il pasticcio del Ponte.

L’intera vicenda del Ponte, anche al di là di quello che leggeremo entro un mese nella sentenza della Corte dei conti, rischia di generare, come è già accaduto nel passato, robusti contenziosi tra lo Stato e i costruttori, senza mettere a terra neanche una pietra. O forse solo quella per inaugurare l’avvio dei lavori. Tutta questa vicenda evidenzia un punto dirimente. Nascondere la polvere sotto il tappeto è solo controproducente

Non è un fatto nuovo che il progetto per la costruzione del Ponte sullo Stretto abbia registrato nel tempo ostacoli tali da bloccare o rallentare questo investimento. Forse la conoscenza della storia potrebbe aiutare a non replicare gli stessi errori commessi nel tempo.

Secondo alcune fonti, già gli ingegneri romani avevano immaginato la possibilità di creare un collegamento stabile tra Reggio Calabria e Messina. Ovviamente le soluzioni tecniche non consentivano di ipotizzare un percorso affidabile e sicuro di esecuzione. Solo nell’Ottocento, con l’avvento della rivoluzione industriale e delle grandi opere infrastrutturali, l’idea cominciò ad assumere una forma concreta.

Nel 1876 il deputato Giuseppe Zanardelli, futuro primo ministro, propose per la prima volta al Parlamento italiano la costruzione di un ponte o di un tunnel sottomarino. Da allora, l’ipotesi del collegamento stabile sullo Stretto divenne un tema ricorrente nel dibattito politico e tecnico.

Nel corso del Novecento si susseguirono numerose proposte. Negli anni Trenta, in pieno regime fascista, si discusse di un ponte sospeso o di un tunnel ferroviario, ma il contesto politico e le priorità belliche ne impedirono la realizzazione.

Fu solo negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo passato, con il boom economico e la costruzione della rete autostradale, che il progetto tornò a essere considerato strategico per l’integrazione infrastrutturale nazionale. Nel 1969 il Ministero dei Lavori Pubblici promosse il primo studio di fattibilità tecnico-economico, affidato al Consorzio per lo Studio del Ponte sullo Stretto. Nel 1981, con la legge n. 1158, fu istituita la Società Stretto di Messina S.p.A., partecipata da IRI, Ferrovie dello Stato, ANAS e dalle Regioni Sicilia e Calabria, con il compito di progettare, realizzare e gestire il collegamento stabile.

Gli anni Ottanta furono quelli della maturazione tecnica del progetto: furono condotti studi geologici, sismici e aerodinamici di grande complessità, data la natura instabile e altamente sismica dell’area. Nel 1992 il progetto definitivo, firmato da un gruppo internazionale di ingegneri coordinati da Marcello Arici e Fabrizio Ventre, propose un ponte a campata unica sospesa di 3.300 metri, destinato a diventare il più lungo del mondo.

Dopo la presentazione del progetto, la realizzazione fu più volte annunciata e rinviata. Nel 2002, durante il governo Berlusconi, il Ponte tornò al centro dell’agenda politica nazionale e furono avviate le procedure di gara internazionale. Nel 2005 il consorzio Eurolink, guidato da Impregilo (oggi Webuild), vinse l’appalto per la progettazione esecutiva e la costruzione.

Nel 2006 il governo Prodi sospese il progetto, ritenendolo economicamente insostenibile. Fu riattivato nel 2009 dal secondo governo Berlusconi, ma nuovamente bloccato nel 2013 dal governo Monti, che dispose la liquidazione della Società Stretto di Messina e il congelamento del contratto con Eurolink. Gli stop and go nella volontà politica sono stati tra le cause che hanno determinato ritardi e incertezze. Lo stesso Ministro Matteo Salvini era contrario alla realizzazione del Ponte e ora si è convertito sulla via di Reggio Calabria.

Nel decennio successivo, il dibattito non si è mai sopito. Le esigenze di sostenibilità ambientale, il potenziamento dei corridoi TEN-T europei e la necessità di integrare la Sicilia nel sistema logistico del Mediterraneo hanno riacceso l’interesse.

Nel 2023 il governo Meloni ha approvato il Decreto Ponte, che ha disposto la ricostituzione della Società Stretto di Messina S.p.A. e la ripresa del progetto sulla base degli elaborati prodotti da Eurolink, successivamente aggiornati.

In buona sostanza, l’architettura progettuale odierna è maturata nel decennio tra il 1981 ed il 1992. Poi si è proceduto ad aggiornamenti che non hanno modificato sostanzialmente il profilo del progetto.

Anche dal punto di vista contrattuale la gara è stata aggiudicata nel 2005, e dopo venti anni è rimasta la stessa struttura negoziale, nonostante che i costi siano più che raddoppiati. Questo elemento, per le regole europee, impone l’effettuazione di una nuova gara. È uno dei rilievi che è stato fatto osservare dalla Corte dei conti. Mettere la testa sotto la sabbia per tentare scorciatoie improbabili determina inevitabilmente una maggiore perdita di tempo, come sta accadendo di nuovo oggi.

L’attuale fase è costellata di tentativi finalizzati ad aggirare gli ostacoli con furbizie di corto raggio. Per cercare semplificazioni ambientali e minore onere per la finanza pubblica, il 9 aprile scorso il Consiglio dei ministri ha approvato la cosiddetta relazione IROPI (Imperative Reasons of Overriding Public Interest), dichiarando il ponte un’infrastruttura di interesse militare.

La procedura seguita dal governo è stata contestata da associazioni ambientaliste e comitati, che hanno presentato ricorsi all’Unione Europea. A settembre scorso la Commissione UE aveva scritto al governo italiano per manifestare le sue perplessità sulla realizzazione del Ponte sullo Stretto.

L’Europa ha chiesto all’Italia nuovi approfondimenti sull’impatto ambientale del Ponte. A Bruxelles hanno “individuato aree su cui sono necessari chiarimenti, nonché ulteriori misure che dovrebbero aiutare le autorità italiane” a colmare eventuali “carenze” prima di concedere l’autorizzazione allo sviluppo o di avviare i lavori. Questo è quanto si legge nella lettera recapitata al ministero dell’Ambiente.

Una bocciatura è stata registrata anche sulla ipotesi di contabilizzare i costi dell’investimento per il Ponte dentro l’impegno di raggiungere il tetto del 5% del Pil per le spese militari.

Si trattava di una furbata piuttosto goffa, sulla quale però il governo italiano si è esercitato con ostinato, quanto inutile, impegno. L’esecutivo ha reiteratamente espresso questa intenzione, sostenendo che la rilevanza strategica militare di questo progetto è comprovata da indicazioni dell’UE e della NATO.

Ciò implicava però, secondo la Commissione UE, che l’infrastruttura avesse uno “scopo principale militare [piuttosto che] civile”. L’opzione “militare” del Ponte, emersa con forza nel dibattito tecnico-politico solo nella fase più recente, è infondata, potenzialmente falsa, e in prospettiva dannosa sotto il profilo sia erariale che della credibilità internazionale del Paese.

Insomma, diverse ragioni di natura tecnica, non affrontate mediante un adeguamento tecnico del progetto, stanno presentando il conto e richiederebbero una revisione delle ipotesi progettuali originarie. Però, è bene sottolinearlo, l’investimento sul Ponte non si blocca nemmeno per effetto della decisione della Corte dei conti. Tecnicamente, anche con il parere negativo della Corte dei conti il governo può comunque decidere di andare avanti con il progetto.

Infatti, nel caso in cui il controllo riguardi un atto governativo, secondo la legge, l’amministrazione interessata in caso di rifiuto di registrazione può chiedere un’apposita deliberazione da parte del Consiglio dei ministri. Il Consiglio, a propria volta, può ritenere che l’atto risponda ad interessi pubblici superiori e debba avere comunque corso.

Sulla questione dell’interesse pubblico sarebbe il caso di stabilire un principio di trasparenza che viene sistematicamente negato, in particolare sui contenuti del contratto tra lo Stato ed Eurolink, il soggetto realizzatore guidato da WeBuild. Il contratto è stato stipulato immediatamente a valle della decisione del Cipess, senza nemmeno aspettare il parere della Corte dei conti, seguendo la logica primaria che è stata seguita in questa vicenda: quello dei fatti compiuti per generare una situazione di non ritorno.

Il contratto per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, firmato tra la società Stretto di Messina e il consorzio Eurolink (guidato da Webuild), prevede delle clausole penali significative in caso di inadempimento o recesso, che variano a seconda di chi sia responsabile dell’interruzione.

In caso di recesso o blocco dei lavori per responsabilità della Società Stretto di Messina (o dello Stato), le penali a favore del consorzio Eurolink (Webuild) sono stimate attorno al 5% del valore totale dei lavori non eseguiti, potendo arrivare a un massimo dei quattro quinti del valore del contratto. Questa cifra è stata oggetto di stime variabili, con alcune fonti che indicano un valore potenziale fino a 1,5 miliardi di euro.

In caso di inadempimento o ritardo da parte del consorzio Eurolink (Webuild): il contratto prevede penali anche a carico del contraente privato. Alcune fonti riportano che il consorzio rischierebbe una penale di 1 milione di euro per ogni giorno di ritardo nell’avvio o nell’esecuzione dei lavori, oltre ad altre possibili sanzioni. La questione delle penali è complessa e ha generato diverse discussioni legali e politiche, con contenziosi ancora aperti in merito alla validità di alcune clausole e alla gestione del progetto originale.

L’intera vicenda del Ponte, anche al di là di quello che leggeremo entro un mese nella sentenza della Corte dei conti, rischia di generare, come è già accaduto nel passato, robusti contenziosi tra lo Stato e i costruttori, senza mettere a terra neanche una pietra. O forse solo quella per inaugurare l’avvio dei lavori.Tutta questa vicenda evidenzia un punto dirimente. Nascondere la polvere sotto il tappeto è solo controproducente.

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