Confindustria boccia la Manovra: “Casa, lavoro e imprese, non è adeguata al rilancio”
È a saldo zero, impatto nullo sul Pil. E criticità inattese, non ci sono misure per l'emergenza abitativa, per l'industria. Serve una rimodulazione del Pnr.
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“La manovra mobilita risorse pari a 21,3 miliardi nel 2026, 18,8 nel 2027 e 16,4 nel 2028, a fronte di coperture pari a 20,4 miliardi nel 2026 (inclusi i 5,1 miliardi da rimodulazione PNRR), 13,0 nel 2027 e 9,6 nel 2028. Il risultato è una manovra sostanzialmente ‘a saldo zero’, senza impatto significativo sul Pil. Confindustria riconosce la disponibilità al dialogo del Governo che si è tradotta nella condivisione di scelte importanti, in primis quelle su iperammortamento e Zes Unica. Riconosce quella disponibilità specie alla luce dei ristretti margini di intervento, indicati nel Documento programmatico di finanza pubblica, che rendono nullo l’impatto della manovra sul Pil del prossimo anno”. Lo ha detto il direttore generale di Confindustria, Maurizio Tarquini, in audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato sulla manovra.
Tuttavia, ha sottolineato Tarquini, “il ddl Bilancio non ha la dimensione adeguata a rilanciare la competitività delle imprese, pur centrando alcuni obiettivi rilevanti. Proprio per questo, già dalla nostra assemblea pubblica di maggio, abbiamo prospettato la necessità di dotare l’Italia di un Piano industriale straordinario, che andasse oltre i limiti delle singole leggi di bilancio, suggerendo tre direttrici di intervento: investimenti, competitività e contesto attrattivo”.
“La manovra – e non è una novità di quest’anno – presenta anche alcune criticità inattese. Si tratta di interventi che minano l’affidamento dei contribuenti, la certezza del diritto e l’impatto positivo delle misure a sostegno degli investimenti. Tra le critiche relative alle nuove misure fiscali, l’inasprimento della tassazione dei dividendi infragruppo (l’introduzione di una tassazione piena al 24%, in presenza di partecipazioni inferiori al 10%, invece dell’1,2% effettivo attuale). Una disciplina dirompente anche rispetto a quello che accade oltre confine, dove si adottano analoghi sistemi di esenzione, e che cambierà radicalmente l’assetto proprietario dei gruppi italiani, penalizzando la nostra capacità di mantenere e attrarre capitali”.
E ancora, tra le criticità, “il divieto, dal 1° luglio 2026, di utilizzare crediti d’imposta agevolativi sul modello F24 per compensare i debiti per contributi previdenziali Inps e per premi assicurativi Inail. Una misura molto impattante, soprattutto per imprese con un elevato numero di dipendenti, che effettuano molti versamenti contributivi, e con un livello di redditività basso, per effetto di importanti investimenti o di perdite”. Per Tarquini “il rischio è che il blocco delle compensazioni congeli risorse liquide e riduca la capacità operativa delle imprese. Il nuovo divieto limiterà, di fatto, la possibilità di utilizzare strumenti ormai centrali nelle politiche di investimento delle imprese, come i crediti di imposta Zes, 4.0. 5.0, R&S. Si tratta, peraltro, di un intervento con effetti retroattivi. Chiediamo, quindi, una complessiva rivalutazione dell’intervento”.
“Nella manovra mancano misure specifiche per affrontare l’emergenza abitativa che, tra gli altri effetti, ha quello di ostacolare la mobilità territoriale dei lavoratori e spiazzare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Il ddl consente di utilizzare una quota del Fondo sociale europeo per il clima anche per le iniziative del Piano casa Italia previsto dalla legge di bilancio 2025, ma non prevede, come sollecitato da Confindustria, misure finanziarie e fiscali, ferma la necessità anche di semplificazioni urbanistiche per favorire la realizzazione di alloggi per lavoratori a basso reddito, studenti, anziani”.
“Si segnala, inoltre- ha proseguito Tarquini- l’assenza di misure per la ricerca industriale e per la logistica intermodale (ferrobonus, sea modal shift). Strumenti utili a potenziare la connettività e la logistica all’interno del nostro Paese e con l’estero; da segnalare, inoltre, la mancanza di risorse per la copertura dei costi del nuovo contratto collettivo per il trasporto pubblico locale, che il settore non è in grado di assorbire”.
Infine, ha aggiunto il direttore generale di Confindustria, “si esprime l’auspicio di rivedere il nuovo sistema di finanziamento dell’Agcom, che sposta integralmente a carico dell’industria regolata il funzionamento dell’Autorità, includendo una platea molto ampia di operatori interessati”.
“Oggi, leggiamo il ddl Bilancio come la prima tappa di un percorso e ne indichiamo almeno altre due, che consideriamo prioritarie per garantire dimensione finanziaria e focus adeguati ai bisogni delle imprese: la rimodulazione del Pnrr e il contenimento del costo dell’energia”.
Quanto al Pnrr, ha spiegato Tarquini, “riteniamo che ne vada rafforzata la vocazione di sostegno agli investimenti produttivi e, per questa via, alla coesione sociale del Paese. A partire dalle risorse non spese per Transizione 5.0, chiediamo che la rimodulazione sia l’occasione per assicurare quel sostegno alle imprese di almeno 8 miliardi l’anno, per un triennio, che abbiamo indicato come obiettivo minimo, guardando anche a ciò che stanno realizzando Francia e Germania. In questa rimodulazione, auspichiamo trovi spazio anche un rafforzamento del credito R&S che, dal prossimo anno, sarà ridotto nella sua portata, con una aliquota agevolativa del 10%”. Sull’energia, ha sottolineato il dg di Confindustria, “nei primi dieci mesi del 2025 il prezzo medio in Italia è stato pari a 116 Ç/MWh; contro gli 87 in Germania, i 65 in Spagna e i 61 in Francia. Rispetto a USA e Cina, da noi l’energia costa dalle tre alle cinque volte di più. L’alto costo dell’energia erode i margini delle imprese e la loro capacità di autofinanziarsi e patrimonializzarsi. Ne risentono la propensione agli investimenti e la competitività dei prezzi di prodotti finali e servizi”.
L’associazione, quindi, “sollecita misure immediate che non incidano sui saldi di bilancio: un provvedimento che metta in pista nuovi strumenti basati su contratti a lungo termine per energia rinnovabile; disaccoppiamento dei prezzi dell’elettricità da quelli del gas; eliminazione dello spread TTF/PSV che pesa per due miliardi l’anno sulle bollette di famiglie e imprese; riduzione degli oneri generali di sistema attraverso meccanismi di cartolarizzazione, dato che pesano per un 40% sul costo delle bollette elettriche a carico di famiglie e imprese, pari a 10 miliardi l’anno”.
Per Tarquini “il problema non è più rinviabile, se vogliamo creare le condizioni per tornare a crescere e innovare in modo strutturale. L’urgenza delle misure sui costi dell’energia è data anche dal fatto che non impattano sui saldi di bilancio e richiedono unicamente la volontà di agire”.
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