Casse e rischio: la deriva degli investimenti alternativi
Casse e rischio: la deriva degli investimenti alternativie Casse di previdenza inseguono rendimenti da fondi speculativi, ma gestiscono contributi obbligatori. Senza regole certe, il rischio dei mercati ricade interamente sugli iscritti.
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Rispetto alle attività finanziarie di tipo convenzionale, i fondi alternativi di investimento sono generalmente riservati ad investitori di nicchia che puntano ad asset esclusivi. La ragione è dovuta anche alla maggiore complessità di gestione che caratterizza questo tipo di attività.
La fame di rendimento spinge agli asset alternativi e le Casse di previdenza hanno fame di rendimento perché sono consapevoli che, tra non molti anni, avranno un saldo previdenziale negativo nel senso che i contributi incassati non saranno più sufficienti per pagare le pensioni in atto.
Dopo Markowitz che teorizzò il portafoglio ideale in 60 (azioni) e 40 (obbligazioni), oggi si è imposto il portafoglio 40 (azioni) 30 (obbligazioni) e 30 (alternativi)
“L’obiettivo della ricerca è analizzare il mercato della finanza ‘alternativa’ (o sotto alcuni punti di vista ‘complementare’) al credito bancario per le PMI. Dopo la crisi finanziaria iniziata nel 2008, in Italia si sono susseguiti numerosi provvedimenti legislativi per offrire nuovi canali di finanziamento alternativi e potenziare quelli esistenti, con l’obiettivo di incrementare la competitività dell’ecosistema delle PMI. Più di recente, si è aggiunta una certa attenzione sul tema dell’economia ‘reale’, con ciò riferendosi al mondo imprenditoriale del ‘private capital’, ovvero delle imprese non quotate. Le PMI sono definite dalla Raccomandazione 2003/361/CE della Commissione Europea come imprese autonome il cui organico risulta inferiore a 250 persone (requisito necessario) e il cui fatturato non superi € 50 milioni o il cui totale di bilancio annuale non sia superiore a € 43 milioni (basta uno dei due requisiti). Chiaramente non è facile discriminare le fonti di finanziamento delle PMI da quelle di altre imprese, perché molte di esse sono comuni anche alle grandi imprese. Come avvenuto negli anni precedenti, in questa ricerca quindi abbiamo individuato alcuni ambiti specifici, per i quali cercheremo di discriminare il contributo che hanno dato alla raccolta di risorse finanziarie per le PMI italiane negli ultimi anni, laddove i dati sono pubblicamente rintracciabili:
1) i minibond, ovvero il ricorso al mercato mobiliare per il collocamento di titoli di debito come obbligazioni e cambiali finanziarie per importi fino a € 50 milioni;
2) il crowdfunding, ovvero l’opportunità di raccogliere capitale su portali Internet da soggetti retail, nelle varie forme ammesse (reward, lending, equity);
3) l’invoice trading, ovvero lo smobilizzo di fatture commerciali acquisite da soggetti non bancari attraverso piattaforme web;
4) il direct lending, il credito erogato da soggetti non bancari attraverso prestiti diretti;
5) il collocamento di token digitali e in generale di crypto-asset su Internet grazie alla tecnologia emergente della blockchain;
6) il private equity e venture capital, ovvero il finanziamento con capitale di rischio fornito da investitori professionali come fondi e business angel;
7) la quotazione in Borsa su listini specifici per le PMI (SME Growth Market) come Euronext Growth Milan.” (Fonte: La finanza alternativa per le PMI in Italia)
Il Mefop nel quarto e quinto osservatorio sugli investimenti alternativi delle Casse di previdenza, offre una disamina molto interessante.
I dati del quinto osservatorio Mefop “evidenziano che gli enti di previdenza dei liberi professionisti rappresentano il principale detentore di asset non tradizionali, con un patrimonio investito in tali strumenti pari a circa il 30% delle attività finanziarie complessivamente detenute”.
Quindi le Casse di previdenza si sono allineate al trend attuale nella costruzione del portafoglio senza tener conto della natura previdenziale della provvista.
Questo perché, dicono le Casse, la copertura della passività pensionistica che, per definizione, è un’obbligazione di lungo periodo, ben si concilia con il ricorso agli investimenti alternativi.
Le Casse di previdenza, inoltre, non dispongono di una disciplina settoriale sui limiti agli investimenti, né di regole relative ai modelli di investimento; ciò ha comportato una maggiore libertà di manovra nella definizione delle strategie finanziarie.
Ad oggi, come dovrebbe essere ormai noto a tutti, non è ancora stato emanato il decreto ministeriale recante norme di indirizzo in materia di investimento delle risorse finanziarie delle Casse di previdenza, così come previsto sin dal lontano 2011 e, più recentemente novellato dall’art. 1, comma 311 della legge n. 197 del 29.12.2022.
Quanto alle modalità di investimento, l’acquisto di quote di fondi alternativi risulta essere la regola al 100% nelle Casse di previdenza, risultando residuale sia l’investimento diretto, sia il mandato di gestione.
In linea generale, le Casse di previdenza preferiscono gestire autonomamente gli investimenti; le motivazioni di tale scelta riguardano la maggiore indipendenza, la dimensione adeguata del patrimonio, la struttura organizzativa e di controllo e la buona conoscenza del mercato.
Ma non è tutto oro ciò che luccica perché gli investimenti alternativi, che consentono sì la diversificazione e alti rendimenti, nel caso degli asset più rischiosi, hanno anche degli svantaggi, per esempio nei pochi indicatori di performance, nella complessità degli strumenti e nelle alte commissioni di gestione.
Gli asset alternativi, poi, tendono a far ricorso alla leva finanziaria, che può da sola amplificare le perdite potenziali. Inoltre possono esporre a maggiori rischi di controparte, volatilità e illiquidità.
Oggi l’industria finanziaria spinge molto sullo strumento finanziario del direct lending che è una forma di finanziamento delle PMI al di fuori del tradizionale sistema bancario, in cui i finanziatori erogano e negoziano prestiti privati direttamente con i debitori e tali prestiti non vengono negoziati sui mercati pubblici.
L’esposizione degli investitori al private credit è aumentata in modo significativo negli ultimi anni: dice Morgan Stanley nel suo “L’evoluzione del direct lending” del 2025 che “il valore totale del mercato ha raggiunto circa 1.800 miliardi di dollari alla fine del 2024 e dovrebbe arrivare ad 2.300 miliardi di dollari entro il 2028”.
HSBC-Asset management cosi descrive i rischi del DL:
“Considerazioni sul rischio.
Non vi è garanzia che un portafoglio raggiunga il suo obiettivo di investimento o sia efficace in tutte le condizioni di mercato. Il valore degli investimenti può variare al rialzo come al ribasso e gli investitori potrebbero non recuperare l’importo originariamente investito. I portafogli possono essere esposti ad alcuni rischi aggiuntivi, che dovrebbero essere esaminati attentamente, insieme agli obiettivi di investimento e alle commissioni.
Illiquidità: Un investimento nel Fondo è un investimento illiquido a lungo termine. Per loro natura, gli investimenti del Fondo non saranno generalmente negoziati in borsa. Tali investimenti saranno illiquidi.
Orizzonte temporale di lungo termine: Gli investitori dovrebbero prevedere che il loro capitale sarà bloccato fino alla scadenza dell’investimento.
Condizioni economiche: Il ciclo economico e i tassi di interesse attuali incideranno sull’attrattiva degli investimenti sottostanti. L’attività economica e il sentiment influenzano a loro volta la performance delle società sottostanti e hanno un effetto diretto sulla capacità delle società di continuare a corrispondere gli interessi e a rimborsare la somma capitale.
Prestiti a società private: Il Fondo investirà in prestiti concessi a società private di medie dimensioni. I prestiti a tali società comportano specifici rischi, tra cui l’eventualità che dispongano di risorse finanziarie limitate, con scarso accesso al capitale e costi di finanziamento più elevati. Potrebbero inoltre essere maggiormente esposte ai rischi di mercato, “key man” e di altro tipo e il loro conti generalmente non vengono pubblicati.
Valutazione: Questi investimenti possono avere un mercato illiquido o scarsamente liquido e altri investimenti, compresi quelli relativi a prestiti e titoli di società private, possono essere basati su stime che non possono essere valutate ai prezzi correnti del mercato fino al momento della vendita. La valutazione degli investimenti sottostanti è quindi intrinsecamente opaca.
Rischi del Fondo: Gli investimenti in questo Fondo possono essere penalizzati, tra altri rischi, da riforme o sviluppi normativi sfavorevoli, dal rischio di credito e dal rischio di controparte. Il mercato del credito comporta rischi idiosincratici quali frode o fallimento del debitore, il rischio di rimborso anticipato, il rischio di esigibilità della garanzia, il rischio di subordinazione e il rischio di responsabilità del finanziatore.
Capitale a rischio dell’investitore: Gli investitori potrebbero perdere la totalità del capitale investito.”
Ora io ritorno alla conclusione che faccio sempre e cioè che le Casse di previdenza dei professionisti maneggiano una provvista costituita da contributi previdenziali obbligatori, che hanno come unica mission quella di garantire la corresponsione di pensioni e come tale non può essere esposta alla volatilità dei mercati finanziari perché significherebbe liquidare pensioni volatili, senza alcuna garanzia, avendo le Casse rinunciato volontariamente alla presenza dello Stato stante il divieto di «finanziamenti pubblici diretti o indiretti» – con l’eccezione degli «sgravi e (del)la fiscalizzazione degli oneri sociali» –, unica regola cui, tra l’altro, fa esplicito riferimento l’art. 6, comma 7, d.lgs. n. 103/1996, nell’ambito del più generale rinvio che opera alle disposizioni del d.lgs. n. 509/1994, ove non diversamente stabilito.
La cosa singolare è che, per contro, la previdenza complementare che è volontaria, dispone da tempo di una puntuale regolamentazione.
I fondi pensione hanno una gestione estremamente regolamentata e controllata, basandosi su alcuni principi che mirano a garantire un’amministrazione delle risorse sana e prudente. Le indicazioni, i limiti e le possibilità d’investimento a cui devono attenersi i fondi pensione sono elencati e approfonditi nel decreto n. 166 del 2 settembre 2014, che il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha emesso come Regolamento di attuazione dell’articolo 6, comma 5-bis del d.lgs. 252/2005.
Il mio vorrebbe essere un invito ad una riflessione seria da parte di tutti i protagonisti sul fatto che la previdenza dei professionisti sta scivolando verso la forma di finanziamento a capitalizzazione scaricando sull’iscritto, obbligato ad esserlo, tutti i rischi dei mercati finanziari, senza alcuna garanzia.
Dico questo perché sia il DDL concorrenza che il decreto omnibus vanno in direzione opposta spingendo le Casse verso investimenti più rischiosi senza alcuna garanzia.
Infatti con il correttivo inserito nel decreto-legge Economia (art. 18 D.L. 30 giugno 2025 n. 95), vengono previste disposizioni volte a favorire e semplificare ulteriormente gli investimenti da parte dei fondi pensione e delle casse previdenziali nei venture capital. Le nuove previsioni ritoccano le misure minime di investimento in senso più graduale: la percentuale da destinare dal 1° gennaio 2025 è del 3%, per salire al 5% dal 2026 sino al 10% dal 2027. Ai fini del rispetto delle suddette percentuali vengono considerati investimenti qualificati anche gli impegni irrevocabili e vincolanti di investire in fondi di venture capital (c.d. committment), con la precisazione che i vincoli di investimento devono essere raggiunti entro la data stabilita nel regolamento del fondo per il venture capital. Assumono inoltre rilevanza gli investimenti indiretti effettuati mediante veicoli societari o fondi di fondi, ampliandosi così il novero delle possibilità per i soggetti investitori. Le modifiche hanno variato l’art. 33 della L. n. 193/2024.
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