Anno: XXVI - Numero 189    
Giovedì 2 Ottobre 2025 ore 13:40
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Per Gaza il campo largo si fa in quattro

Altro che testo unitario, come proposto da Meloni a Schlein. Tra lo stato di Palestina, il ruolo di Hamas e il piano Trump, l'opposizione sulla guerra a Gaza ha quattro idee diverse: quella del Pd schleiniano, quella di M5s e di Avs, e poi quella dei riformisti dem. E giovedì in Parlamento si votano le mozioni.

Per Gaza il campo largo si fa in quattro

“Ma quello di Trump non è nemmeno un piano, non so come chiamarlo… Come si fa a prenderlo in considerazione?”. A Montecitorio, la portavoce della Flotilla Maria Elena Delia è appena scesa dal banco della conferenza stampa alla Camera, in cui ha annunciato l’adesione allo sciopero generale, nel caso in cui Israele attaccasse la Flotilla. Al suo fianco ci sono i sindacati: da Maurizio Landini, ai sindacati di base, Usb, Cobas e Cub. Delia la fa facile: il piano Trump è da respingere senza troppe incertezze. Non sa la portavoce della Flotilla quanto il tema laceri i partiti del centrosinistra.

I quali, non a caso, se ne stanno in platea e non prendono la parola, anche se la sala è convocata per interessamento di Elisabetta Piccolotti, di Avs. Seduti ad ascoltare ci sono Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni e poi Stefano Patuanelli e Alessandra Maiorino dei M5s, per il Pd c’è Marco Furfaro, membro della segreteria di Elly Schlein. Nessuno prende la parola. “Ma come Marco non è con gli altri sul tavolo?”, si lamenta Laura Boldrini, che preferirebbe un maggiore protagonismo del suo partito. Riccardo Magi passa per uno sguardo a volo d’angelo. Italia Viva e Azione neppure ci sono. Se la Flotilla ha le idee chiare – gli attivisti andranno fino in fondo se glielo faranno fare, “ormai quasi ci siamo, domani sbarchiamo”, dice Delia – i partiti del centrosinistra sono arenati.

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Giovedì si votano le risoluzioni su Gaza, e quello che poteva essere un terreno di gioco ideale per le opposizioni, rischia di trasformarsi nell’ennesimo passo falso. Martedì, incontrando Schlein, Bonelli e Fratoianni, Giorgia Meloni li ha invitati a votare insieme. “Sarebbe una bella prova di unità”. Ma la convergenza, già difficile da recepire quando in ballo c’era solo il riconoscimento condizionato della Palestina (Meloni la subordina alla liberazione degli ostaggi e all’estromissione di Hamas), è ancora più ardua visto che la maggioranza vuole inserire nella mozione anche il piano Trump. L’effetto è quello di un sasso nello stagno del centrosinistra.

Sul tema, mentre sono in corso riunioni su riunioni, si registrano le seguenti posizioni. Una parte del Pd, quella riformista, voterebbe il piano Trump perché lo considera comunque un passaggio che porta al cessate il fuoco. “Come fai a dire di no alla fine della violenza? E poi quel piano assomiglia a quello di Biden”, spiegano dall’area. Tra i più convinti c’è il senatore Filippo Sensi: “Dal papa a Sanchez, sono tutti per il piano di pace. Non capisco come possa dividersi il Parlamento italiano”. Nella stessa area c’è anche chi concorda con il riconoscimento condizionato: “Se ci fosse un paragrafo che dicesse fuori Hamas e riconosciamo la Palestina, perché non dovrei votarlo?”, dice Graziano Delrio al Foglio, che ricorda come il piano Trump abbia anche il sostegno di Von Der Leyen. “La vera urgenza è la pace subito. Ogni giorno perso è una nuova sofferenza”.

Tutta un’altra parte del Pd, invece, ne farebbe volentieri a meno. E il motivo principale, è quello che spiegano dalla segreteria di Elly Schlein. E cioè che il piano Trump e il riconoscimento della Palestina si elidono. Anche politicamente, visto che la Lega è d’accordo con Trump ma non col riconoscere la Palestina. “Il principale motivo per cui quel piano è invotabile, è che nega il riconoscimento della Palestina”, tagliano corto dal Nazareno.

I Cinque Stelle ce ne aggiungono altri due di eccezioni al progetto di Trump. “Oltre al mancato riconoscimento, il piano affida all’Idf la gestione di Gaza. Infine non dice una parola sulla Cisgiordania, che è il perno di ogni sviluppo futuro”. I Cinque Stelle, che su questo sono allineati con Avs, riconoscono che con il resto della coalizione ci sono divergenze. “Stiamo lavorando”, è il mantra, mentre cresce l’attesa di sapere cosa succederà alla Flotilla e quindi di tarare una presa di posizione che metta d’accordo almeno Pd-M5s e Avs. Il capogruppo pentastellato al Senato Stefano Patuanelli, raggiunto dall’Huffpost, propone: “Potremo tenere fuori dal testo il piano Trump, e ovviamente non votare neppure la loro”.

Discorso a parte meritano i centristi. Italia viva sta preparando un proprio testo e si propone di votare la mozione di maggioranza. “Da Trump e Blair arriva un aiuto vero a Gaza, la diplomazia non si fa in barca a vela”, dice Matteo Renzi in un’intervista a La Stampa. E per una volta trova d’accordo Carlo Calenda che invita i partiti a convergere, “a superare lo spirito di fazione almeno su un argomento così tragico”.

Mentre si lavora per una mozione unitaria, al momento nel Campo largo si registrano quattro posizioni: quella del Pd schleiniano, quella di M5s e di Avs, e poi quella dei riformisti dem. Infine quella di Italia viva. Se pure riusciranno a ridurre al minimo i propri documenti, sarà difficile contenere il voto dei propri parlamentari verso il testo della maggioranza, che partirà dal piano Trump e avrà il riconoscimento condizionato della Palestina in secondo piano (per non dispiacere a Salvini). 

di  Alfonso Raimo su Huffpost

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