Anno: XXVI - Numero 189    
Giovedì 2 Ottobre 2025 ore 13:40
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I mali della democrazia

L’astensionismo e l’opposizione solo ideologica.

I mali della democrazia

Ancora astensioni vistose nelle elezioni regionali, in Valle d’Aosta dove ha votato il 62,98%, rispetto al 70,5% del 2020, e, soprattutto, nelle Marche dove ha votato praticamente un elettore su due, il 50,01% a fronte del 59,7% del 2020. Qui nelle ultime politiche aveva votato il 62% degli aventi diritto, alle europee il 50%.

È il grande male della democrazia. Il diritto al voto è stata una grande conquista dei nostri nonni e dei nostri bisnonni, non solamente in Italia. Ovunque la lotta per il voto ha contraddistinto periodi importanti dello sviluppo democratico dei popoli. Prima il suffragio è stato esteso agli uomini, poi alle donne alle quali, in Italia, il diritto è stato riconosciuto con provvedimento di Umberto di Savoia nelle elezioni locali, alla vigilia del referendum del 2 giugno 1946, quando si votò anche per l’Assemblea costituente. Allora votò il 91% degli elettori. 

Da quel risultato si è costantemente scesi. Ed “è sbagliatissimo non votare – ha detto il Prof. Alfonso Celotto, costituzionalista, intervenendo nei giorni scorsi su Tik Tok – perché non votare significa chiamarsi fuori dalla democrazia, significa far decidere gli altri”. Per poi lamentarsi. Quante volte abbiamo sentito dire “non voto perché tanto è inutile” oppure “sono tutti uguali”. Espressioni di massima sfiducia dovute proprio al non voto, mentre, considerati i numeri dell’assenteismo, se votassero più elettori certamente si rafforzerebbero i partiti, di maggioranza e di opposizione, i quali si sentirebbero più responsabili di fronte all’elettorato. Il quale, per parte sua, lamenta di trovarsi di fronte ad una offerta politica spesso modesta, come sappiamo da tempo della classe dirigente italiana che fino a qualche decennio fa era formata dai partiti in scuole nelle quali s’imparava a diventare consigliere comunale o sindaco, deputato, senatore o componente del Governo. E c’era una selezione dovuta alla vita nei partiti in, sezioni o circoli, nei quali si dibatteva facendo emergere le nuove leve della politica.

Soprattutto, in quella stagione, gli italiani erano chiamati a scegliere da una lista i candidati che avevano assunto iniziative gradite all’elettorato quanto ai profili professionali ed alle esigenze del territorio che i parlamentari curavano, al ritorno nei collegi nel fine settimana, ascoltando gli elettori. Poi la scelta si è trasformata in un voto per il partito per cui è eletto chi si trova nella lista in posizione corrispondente ai seggi attribuiti. E il candidato gradito alle segreterie dei partiti è stato “spedito” ovunque avesse la possibilità di essere eletto, anche mille miglia distante dal luogo di residenza o nel quale aveva svolto attività politica. Pochi riferimenti alla realtà per segnalare che non c’è dialogo tra classe politica e cittadini con l’effetto di scoraggiare chi non sia un fedele seguace di un partito, quello che si chiama “zoccolo duro”, l’elettorato che difficilmente viene meno, che mette la sua scheda nelle urne quasi per abitudine. Ma anche questo tipo di elettore da tempo comincia ad avere incertezze e ha acquisito un minimo di mobilità, anche che prevalentemente nell’ambito della stessa parte, scegliendo uno dei partiti di quella che si presenta come una coalizione o un “campo”, come oggi si dice, più o meno “largo”.

È per queste difficoltà della legge elettorale che se ne propone la modifica reintroducendo il voto di preferenza e qui, ne parleremo ancora, si scontrano fautori del proporzionale e del maggioritario, spesso in forma di voto “all’inglese” con collegi uninominali che favoriscono il rapporto tra eletto ed elettore.

Intanto il voto più significativo, sul piano politico, è quello della Regione Marche, dove sembra applicarsi la regola elementare secondo la quale si perde o si vince per come governi. “Se governi bene ti premiano se governi male ti mandano a casa” ha detto Claudio Velardi, Direttore de Il Riformista. Ed ha aggiunto: “evidentemente per i marchigiani Acquaroli ha governato bene”. Ma ha fatto un’altra osservazione che merita di essere segnalata e annotata. “Nella campagna elettorale il Pd voleva sostituire Acquaroli ma senza parlare delle Marche, perché non ha parlato dei problemi delle soluzioni della vita concreta delle persone ha fatto propaganda con le bandiere palestinesi in piazza. Ma che cosa c’entra Gaza con le Marche indipendentemente da quello che ognuno di noi pensa della guerra in corso. Niente, dunque il Pd ha strumentalizzato il voto. Ha detto agli elettori noi vi prendiamo per il c. e voi ci cascherà rete. Ma gli elettori non sono fessi. E poi, a pensarci. Ma se tu strumentalizzi una guerra significa che di quei morti per cui tanto fai finta di batterti non ti interessa niente di niente. Ti interessa solo il potere da raggiungere ad ogni costo. E allora per questo la sconfitta della sinistra nelle Marche non è una sconfitta elettorale. È una sconfitta politica e morale è la sconfitta della spregiudicatezza, dell’insensibilità, del cinismo. E purtroppo così oggi sembra ridotto il PD. E questa non è una cosa buona per la democrazia italiana”.

Si tratta di un’analisi correttissima che dimostra come la sinistra in generale sia dominata dall’ideologia. Alla quale subordina tutta la sua azione, con la conseguenza di essere sempre più lontana da gran parte dell’opinione pubblica. È un’osservazione che oggi fa anche Matteo Renzi che accusa i partiti che con lui hanno concorso alla campagna elettorale di aver parlato di tutto tranne che dei problemi delle Marche.

È un male, come dice Velardi, per la democrazia e per la vita politica perché il cittadino si allontana dai partiti che fanno soltanto ideologia e direi anche demagogia i quali poi non concorrono concretamente a costruire l’alternativa di governo che è espressione normale delle democrazie liberali. Cioè, la gente si sente sempre più lontana da questo partito e i dagli altri movimenti che insieme ad esso si propongono come alternativa e questo rafforza Giorgia Meloni, Antonio Tajani, e Matteo Salvini i quali in altro contesto potrebbero essere preoccupati di una opposizione combattiva e concreta. 

Ecco, non è concreto il PD, non sono concrete le proposte che formula rispetto alle esigenze degli italiani, che pure richiamano continuamente, come il salario minimo, la pressione fiscale, la sanità negata a molti, temi sui quali si tengono sempre lontani da proposte concrete, così assicurando lunga vita all’attuale maggioranza.

 

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