Flottiglia Forever
Partita per Gaza, finita a fare scalo tra Portopalo, benzinaio e officina.
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Salpano come crociati in infradito, portano in mare promesse, striscioni, e qualche tanica di benzina che evapora già al primo sole.
“Verso Gaza!”, gridano, ma la bussola indica Catania e la nave ammiraglia, la “Alma”, ha più perdite d’olio di una Vespa anni ’80.
Il mare applaude, ma a tratti: un incendio qua, un cavo che salta là, ogni sosta sembra più un raduno scout che un assalto al blocco navale.
La flottiglia cresce nei racconti, ma in banchina pare una gita di classe quarta B, con i professori stanchi e gli alunni in sciopero della merenda.
Greta entra in scena, eroina verde, bandiera al vento.
Poi scende: “troppi riflettori, troppo rumore, poca Gaza”.
Tradotto: il copione era sbagliato, meglio cambiare set prima che il film diventi parodia.
Intanto le vele, più che sventolare, si stiracchiano pigre: la burocrazia fa più paura delle onde, le autorizzazioni sembrano mine galleggianti, e i pescatori siciliani ridono: “questi vogliono sfidare Israele, ma non riescono nemmeno a battere i moduli del porto”.
Così la flottiglia naviga, a modo suo: un passo avanti, tre indietro, scivolando tra mito e barzelletta.
È protesta, sì, ma anche sagra del rimorchio, teatro itinerante con più meccanici che marinai.
Eppure, nonostante le falle, i ritardi, e le ironie a bordo costa, resiste un senso ostinato: quello di voler partire comunque, anche se sembra un reality a basso budget.
Alla fine, la flottiglia resta lì, in bilico tra epopea e cabaret.
Non libera Gaza, non piega i blocchi, ma ci regala l’immagine immortale di un Mediterraneo che, almeno, non smette mai di ridere.
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