La prova di forza di Putin
L’incursione dei jet russi nei cieli estoni non è solo una violazione territoriale, ma il segnale di una strategia che punta a logorare la Nato dall’interno.
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Basta giochini politici per il consenso, sul si o no alle armi. Tutti vogliamo la pace, ma una difesa anche in funzione di deterrenza dobbiamo averla. Per noi, per l’Italia. Devono parlarne di più. Non ci sono i “guerrafondai” esiste un problema serio, è reale.
Putin è la spina nel fianco della Nato i Jet russi🇷🇺 nello spazio Estone fungono da avvertimenti sta facendo il coatto di periferia.
Uno sconfinamento avvenuto anche ieri rintuzzao da aerei tedeschi.
È lapalissiano che Putin sta testando paese x paese la Nato. Probabilmente toccherà anche a noi.
Il tempo di un sorvolo può sembrare poca cosa. Dodici minuti nello spazio aereo estone non equivalgono a un bombardamento né a un attacco missilistico. Eppure, in quelle dodici unità di tempo si è concentrato un messaggio preciso, che da Mosca è partito per raggiungere tutte le cancellerie occidentali: la Russia continuerà a sfidare i confini della Nato, testandone la tenuta, cercando la crepa che può trasformarsi in frattura.
In Italia, Conte, Fratoianni e Bonelli, Salvini, Schlein formerebbero domani un accordo così fra qualche anno la Russia si prenderebbe un altro stato, e noi ad abbandonarlo, e così via.
I dittatori capiscono solo i rapporti di forza. Ce lo insegna la storia, ma viviamo in un’epoca con tante info accessibili e poca voglia di leggerle.
Dobbiamo sostenere l’Ucraina.
Tajani e soprattutto Crosetto mi fanno ben sperare.
Se Meloni ci tiene, pur con tutte le incertezze, dalla parte giusta della storia, avrà un grosso merito storico.
La cronaca dei fatti è già nota. Tre MiG-31 con transponder spenti hanno oltrepassato la linea di sicurezza e si sono addentrati in territorio estone, venendo intercettati da F-35 italiani in missione di polizia aerea. Nessun colpo sparato, nessun contatto ravvicinato, ma la sostanza non cambia: è stata violata la sovranità di un Paese membro dell’Alleanza. Tallinn ha chiesto l’attivazione dell’Articolo 4, il meccanismo che obbliga i partner a consultarsi in caso di minaccia. Non è l’Articolo 5, quello che prevede la difesa collettiva, ma è un passo formale e politicamente significativo.
Chi liquida l’episodio come “routine” ignora il contesto. Non si tratta solo di una provocazione isolata, ma di una tessera nel mosaico di pressioni che il Cremlino esercita sul fronte orientale: i droni abbattuti in Polonia e Romania, i cyberattacchi contro infrastrutture baltiche, la propaganda che alimenta i partiti filorussi in Europa. È un ventaglio di strumenti che non mira tanto allo scontro frontale quanto a una guerra di logoramento.
La Nato ha reagito in modo rapido, grazie al pronto intervento degli F-35 italiani decollati dalla base di Ämari. Una risposta militare tempestiva, certo, ma anche un segnale politico: l’Alleanza è vigile, le sue regole di ingaggio funzionano, la sua catena di comando è solida. È questo il messaggio che Mark Rutte, nuovo segretario generale, ha voluto sottolineare: non un’escalation, bensì un richiamo all’unità.
Ed è proprio qui che si gioca la vera partita. Vladimir Putin sa bene di non poter affrontare direttamente l’intera Nato. Il suo obiettivo non è la vittoria sul campo, ma la corrosione dall’interno. Ogni violazione, ogni sconfinamento, ogni incursione serve a generare incertezza, a spingere le opinioni pubbliche occidentali a chiedersi: vale davvero la pena rischiare un conflitto globale per difendere dodici minuti di spazio aereo sopra l’Estonia? È un calcolo cinico, ma efficace.
La tentazione di archiviare l’episodio come un fastidio minore sarebbe pericolosa. Perché significherebbe cadere nella trappola del Cremlino: normalizzare l’anomalia, abituarsi all’illegalità, rendere tollerabile ciò che non dovrebbe mai esserlo. Ogni frontiera violata, ogni sovranità calpestata, è un colpo inferto al principio su cui l’Alleanza si regge: “uno per tutti, tutti per uno”.
Naturalmente la prudenza è d’obbligo. Nessuno auspica un’escalation militare. L’Articolo 4, con la sua funzione consultiva, è lo strumento adeguato: serve a discutere, a coordinarsi, a ribadire la deterrenza senza precipitarsi nello scontro. Ma le parole da sole non bastano. Servono rafforzamenti concreti, sia in termini di presenza militare che di coesione politica.
L’Italia, in questo senso, ha fatto la sua parte. La guida della missione di air policing nei Baltici non è soltanto un impegno operativo, ma una responsabilità simbolica. I nostri F-35 hanno dimostrato professionalità e prontezza. È il segnale che Roma può e deve essere protagonista di una Nato che non è un concetto astratto, ma una garanzia concreta di sicurezza.
La guerra in Ucraina ha già insegnato che la deterrenza non si misura solo con i carri armati, ma con la credibilità delle istituzioni e la determinazione delle società democratiche. La sfida lanciata da Mosca nei cieli di Tallinn è la stessa che attraversa l’Europa intera: resistere alla stanchezza, mantenere la compattezza, non cedere alla provocazione.
La prova di forza non è stata quella dei jet russi, ma quella della risposta atlantica. Perché in politica internazionale, come nella vita, la forza non si misura nel gesto aggressivo, ma nella capacità di tenere la rotta.
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