Anno: XXVI - Numero 177    
Martedì 16 Settembre 2025 ore 13:50
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Sanità, Italia ultima tra i Paesi ricchi Spesa pubblica ferma al 6,3% del Pil. Gap di 43 miliardi con l’Europa.

Gimbe “Rifinanziare il SSN o il prezzo lo pagheranno i cittadini”.

Sanità, Italia ultima tra i Paesi ricchi Spesa pubblica ferma al 6,3% del Pil. Gap di 43 miliardi con l’Europa.

La fotografia scattata dalla Fondazione Gimbe sulla spesa sanitaria pubblica in Italia nel 2024 è impietosa: il nostro Paese si colloca al 14° posto tra i 27 Stati europei dell’area OCSE, ma soprattutto scivola all’ultima posizione tra i membri del G7, con un divario che anno dopo anno diventa più ampio e più difficile da colmare.

La spesa sanitaria pubblica italiana si attesta al 6,3% del PIL, un valore ben al di sotto sia della media OCSE (7,1%), sia della media europea (6,9%). Anche sul piano pro-capite i numeri non lasciano spazio a interpretazioni: ogni cittadino italiano beneficia in media di 3.835 dollari di spesa pubblica per la sanità, contro i 4.625 dollari della media OCSE e i 4.689 dollari della media europea. Tradotto in euro, significa un gap pro-capite di 729 euro, che moltiplicato per l’intera popolazione residente porta a un divario complessivo di 43 miliardi.

Secondo Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, “il sottofinanziamento pubblico della sanità italiana è ormai una questione strutturale che, oltre a generare tensioni crescenti in Parlamento, sta mettendo in grandi difficoltà tutte le Regioni, sempre più in affanno nel garantire i livelli essenziali di assistenza mantenendo in ordine i bilanci. Ma oggi il conto più salato lo pagano i cittadini: liste d’attesa fuori controllo, pronto soccorso al collasso, carenza di medici di famiglia, disuguaglianze territoriali sempre più marcate e, soprattutto, la necessità di pagare di tasca propria visite e prestazioni, fino a

La spesa sanitaria pubblica in Italia, fino al 2011, era allineata alla media europea. Poi sono arrivati i tagli lineari e i definanziamenti, che hanno progressivamente ampliato il divario. Nel 2019 la differenza pro-capite rispetto all’Europa era di 430 dollari. Durante la pandemia, mentre molti Paesi hanno rafforzato i loro sistemi sanitari con investimenti straordinari, l’Italia ha scelto di mantenere un profilo prudente, ampliando ulteriormente la distanza. Il trend non si è invertito negli anni successivi: nel 2023 la spesa è rimasta sostanzialmente stabile, mentre nel 2024 l’incremento registrato è stato comunque inferiore rispetto a quello degli altri Paesi europei.

Il risultato è che oggi l’Italia, per spesa pro-capite, è la prima tra i Paesi poveri: davanti a sé non ha soltanto Germania, Francia o Paesi Bassi, ma anche Repubblica Ceca, Slovenia e persino la Spagna, che con 3.893 dollari per abitante ha superato il nostro Paese di 58 dollari.

Il paragone con le grandi potenze industriali è ancora più drammatico. Dal 2008 al 2024 l’Italia è sempre rimasta ultima nel G7 per spesa sanitaria pubblica pro-capite. Se all’inizio il divario era contenuto, oggi è diventato abissale: la Germania, per esempio, ha più che doppiato l’Italia, arrivando a 8.080 dollari per cittadino. Particolarmente significativo è anche il caso del Regno Unito, che condivide con noi un modello universalistico di servizio sanitario: se fino al 2019 Londra ha speso relativamente poco, la pandemia ha segnato una svolta, portando a una crescita consistente degli investimenti. In soli cinque anni, il Regno Unito ha superato Canada e Giappone, avvicinandosi alla Francia, mentre l’Italia è rimasta ferma.

I numeri raccontano una storia chiara: il Servizio Sanitario Nazionale, nato nel 1978 come pilastro di equità e universalità, oggi arranca. Le Regioni faticano a garantire i livelli essenziali di assistenza senza compromettere i bilanci, gli ospedali affrontano quotidianamente sovraffollamenti e carenze di personale, le famiglie si trovano costrette a sostenere spese sempre più alte per cure e visite. Chi non può permetterselo rinuncia: lo hanno fatto nel 2024 quasi sei milioni di italiani.

Secondo la Fondazione Gimbe, si tratta di un’erosione progressiva e strutturale di risorse che mina non solo la sostenibilità del sistema sanitario, ma anche la coesione sociale del Paese.

Per Cartabellotta, il dibattito sul finanziamento della sanità non può più ridursi a una trattativa annuale tra Ministero della Salute e Ministero dell’Economia per “strappare” qualche miliardo in più. “Serve un patto tra tutte le forze politiche – afferma – che prescinda dagli avvicendamenti di Governo e sancisca un impegno non negoziabile per rifinanziare progressivamente la sanità pubblica. Un impegno strategico, da accompagnare a riforme strutturali del SSN, sostenute con continuità e convinzione politica”.

La Fondazione sottolinea che la salute non è soltanto un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione, ma anche una leva di sviluppo economico e uno strumento essenziale di tenuta sociale. Un Paese che non investe sulla salute, infatti, paga un prezzo altissimo in termini di malattia, disuguaglianze, impoverimento e perdita di futuro.

L’avvio dei lavori sulla Legge di Bilancio 2026, la sfida è chiara: non si tratta di scalare classifiche internazionali, ma di restituire forza e dignità al Servizio Sanitario Nazionale. Ripartire dal confronto con gli altri Paesi, osservare la distanza accumulata e colmare il gap non è solo un dovere politico, ma una necessità per garantire a tutti, ovunque vivano e indipendentemente dal reddito, il diritto alla tutela della salute.

“Se non investiamo oggi sulla salute – conclude Cartabellotta – domani pagheremo tutto con gli interessi”.

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