Carenza di medici: più posti a Medicina non bastano
Senza borse di specializzazione, assunzioni e condizioni di lavoro dignitose, l’aumento degli accessi universitari rischia di produrre solo precariato e fuga all’estero.

Con la riforma della facoltà di Medicina, si registra un aumento record di posti: per la ministra Bernini è un passo avanti, per il sindacato Anaao Assomed un boomerang. Senza un incremento mirato delle borse di specializzazione, il sistema rischia di sfornare migliaia di medici destinati all’inattività, alimentando il precariato e la fuga all’estero.
Tremila due posti in più rispetto all’anno accademico 2024/2025. Gli studenti chiedono, l’università – e le istituzioni – rispondono. Quello che sta avvenendo con la riforma dell’accesso alla facoltà di Medicina sembrerebbe un dato positivo, eppure per Anaao Assomed, il sindacato di medici e dirigenti sanitari italiani, rischia di trasformarsi in un boomerang. E anche piuttosto pesante per un sistema che, riprendendo le parole del segretario nazionale Pierino Di Silverio, “è già in crisi”.
Facciamo un passo indietro. A marzo, la Camera ha approvato una riforma che prometteva di “mettere fine” al test d’ingresso ai corsi di Medicina, Odontoiatria e Veterinaria. Un test da anni croce e delizia per migliaia di studenti, costretti a concentrarsi sul “concorsone” proprio nei mesi caldi della maturità. Sessanta domande a risposta multipla, spesso contestate per la loro genericità e per la distanza con le reali competenze richieste a un futuro medico.
Di fatto, con la riforma, il “numero chiuso” non è stato abolito: è stato semplicemente posticipato. È stato introdotto un semestre aperto: accesso libero a tutti, valutazione del profitto nei mesi successivi e selezione in itinere. Per la ministra dell’Università Anna Maria Bernini, si tratta di “una scelta di visione che rafforza l’università pubblica e contribuisce a potenziare il Servizio sanitario nazionale, formando più medici e meglio preparati”. Ma per chi vive la sanità dall’interno, lo scenario è diverso.
Secondo Di Silverio, tanto per cominciare, chiamare “abolizione” questa misura è fuorviante: “Il numero programmato resta, semplicemente si sposta in avanti il test, che continuerà a essere a crocette, con la differenza che i ragazzi dovranno prepararsi in soli tre mesi su materie fondamentali, spesso online e senza quell’obbligo di frequenza che è la spina dorsale della formazione medica”. Non solo: così si rischia di alimentare un “imbuto formativo” già noto in passato, con migliaia di laureati senza possibilità di entrare in ospedale perché privi di specializzazione.
I numeri parlano chiaro: nel 2025/2026 saranno 24.026 i posti disponibili per Medicina e Chirurgia. Ma oggi le borse di specializzazione sono 14.700, quelle di medicina generale appena 2.000. Il risultato, secondo i calcoli di Anaao, è inevitabile: “Tra sei anni avremo almeno 10mila neolaureati senza specializzazione e quindi senza lavoro, perché in Italia non si accede al sistema senza quel titolo. E nel 2035, con questo trend, il surplus potrebbe arrivare a 30mila medici”.
Il nodo non è tanto la quantità di camici bianchi, quanto la qualità e la distribuzione delle competenze. Alcune discipline – come dermatologia, chirurgia plastica o cardiologia -continuano ad attrarre, mentre altre, più impegnative e meno redditizie, come anestesia, chirurgia generale, patologia clinica o radioterapia, vedono concorsi andare deserti. “Il problema non è che mancano medici ovunque: è che mancano in alcune branche, e in quelle giuste. Aumentare i posti a Medicina senza aumentare proporzionalmente quelli di specializzazione significa gonfiare la base dell’imbuto senza allargare l’uscita”, osserva Di Silverio.
E anche laddove i posti ci sono, il sistema rischia di scoraggiare. “Immagini un giovane medico di Caltanissetta che vince una scuola di specializzazione a Milano: con 1.500 euro al mese, in una città con costi così alti, fa letteralmente la fame”. Non sorprende, allora, che molti preferiscano cercare opportunità all’estero.
A questo si aggiunge la gestione del semestre aperto: circa 54mila iscritti previsti, ma solo la metà otterrà un posto stabile. Gli altri, dopo mesi di corsi online e lezioni di massa, passeranno “dal sogno all’incubo”, con un ritardo di almeno un anno rispetto a chi tenterà direttamente il test in un altro ateneo. “Così – avverte Di Silverio – si foraggia un sistema in cui la media aritmetica e la discrezionalità dei docenti rischiano di contare più del merito, con un abbassamento della qualità formativa e nuove fughe di cervelli, come negli anni ’80-’90”.
Soluzioni? Il segretario Anaao guarda all’Europa. Spagna e Germania, ad esempio, hanno trasformato le borse in veri e propri contratti di formazione: questo garantisce uno stipendio dignitoso, elimina concorsi iperburocratizzati e accelera l’inserimento nel sistema. In Italia, un’estensione del “Decreto Calabria” permetterebbe di assumere direttamente lo specializzando, evitando attese di anni per un concorso.
Se potesse riscrivere la riforma, Di Silverio interverrebbe su tre punti: anticipare (e non posticipare!) il test per non far perdere tempo prezioso; eliminare il peso eccessivo della media aritmetica, riducendo il potere discrezionale dei docenti; e, soprattutto, aumentare i posti di specializzazione in modo mirato, per colmare le reali lacune del sistema. “Fino a quando non capiremo che senza professionisti non ci sono cure – conclude – continueremo a curare la malattia sbagliata”. Anzi. Il rischio, per dirla con una metafora medica, è che la cura finisca per aggravare il male.
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