Franceschini e il sogno (opaco) di una nuova Dc nel Pd
Dario Franceschini sta lavorando, con la consueta discrezione da regista, alla costruzione di una sorta di nuova Democrazia Cristiana di sinistra all’interno del Partito Democratico.
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Non è la prima volta che qualcuno tenta di ricucire i frammenti di culture politiche diverse sotto un’unica sigla: il Pd stesso nasceva con questa ambizione. Ma, a distanza di anni, resta più simile a un’amalgama mal riuscita che a un partito realmente coeso.
Franceschini, da abile navigatore dei corridoi del potere, non espone mai direttamente sé stesso. Manda avanti altri, suggerisce direzioni, plasma alleanze. E nel frattempo mantiene la sua posizione, protetta, intoccabile, come se fosse un diritto acquisito per anzianità o per investitura divina. È un politico che fiuta il vento, si muove poco, ma sempre nel verso giusto. Non sbaglia mai il lato della nave su cui salire.
Ma gli elettori capiscono questo disegno? E, soprattutto, lo approvano? È difficile pensare che operazioni del genere possano convincere chi oggi è disilluso, chi si astiene, chi ha perso fiducia nella politica. Franceschini non è la risposta a questa crisi di rappresentanza: ne è semmai una delle cause.
Nel frattempo, si cerca di costruire un campo largo, un’alleanza di sinistra che metta insieme mondi molto distanti. Tarquinio e Proietti, con posizioni marcatamente anti-Nato in politica estera, si trovano ora nello stesso perimetro di Renzi. Ma che ci fa Renzi con loro? Un conto sono le elezioni regionali o comunali, dove i temi sono locali e le alleanze più fluide; un altro è il governo del Paese, dove valori e visioni internazionali contano eccome.
Renzi sembra aver ottenuto il rientro nel gioco, ma al prezzo di rinunciare a molte delle sue idee fondanti. Il riformismo, quello vero, autonomo, pragmatico, pare oggi senza casa. Eppure, servirebbe proprio un partito riformista di sinistra autentico, capace di bilanciare le derive massimaliste di Conte e Fratoianni, e di parlare a quella parte di elettorato che oggi si sente orfana.
In sintesi, Franceschini continua a muovere i fili, ma senza offrire una vera prospettiva. Il Pd resta impantanato nella sua eterna ricerca di sintesi tra mondi inconciliabili. E la sinistra, nel suo insieme, sembra ancora incapace di indicare un modello vincente e duraturo.
Finché si continuerà a pensare che “basta unirsi” per vincere, senza un’idea forte dietro, Meloni potrà dormire sonni tranquilli. E forse — come già nel 2022 — vincerà pure con più voti.
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