L’idea di Meloni per un’Europa piccola piccola
Con una sola frase (sì alla Nato, no alla difesa europea) cancella l’impegno italiano per l’integrazione politica e militare.
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Si può ribaltare con una sola frase uno dei due orientamenti principali della politica estera italiana dal secondo dopoguerra a oggi? Certo che si può, e Giorgia Meloni lo ha fatto. Parlando in Senato per presentare la posizione del governo in vista del prossimo Consiglio europeo, la premier ha affermato che una difesa europea parallela alla Nato sarebbe un errore (“voglio una colonna europea della Nato, ma penso che sarebbe un errore una difesa europea parallela alla Nato, sarebbe una inutile duplicazione”) archiviando così, in una battuta, una parte importante dell’impegno italiano per l’approfondimento dell’integrazione politica e militare.
Poiché Meloni non è Madeleine Albright rediviva – l’indimenticata segretaria di stato Usa che sulle questioni della difesa tra Nato e Ue propose nel 1998 le celebri “tre D” come linea guida: evitare il disaccoppiamento (“decoupling”), la duplicazione (“duplication”), la discriminazione (“discrimination”) – non si capisce perché abbia detto questa frase così supinamente atlantista e così poco europea.
Se l’ha fatto per compiacere Donald Trump siamo fuori tempo massimo, perché Trump della Nato e, in genere, dei suoi alleati di riferimento, ha già dimostrato di avere poca considerazione; se l’ha detto per sminuire le ambizioni di sovranazionalità nel campo della difesa europea, velleità nutrite in parallelo da Francia e Germania, forse doveva dirlo prima, diciamo almeno dieci anni prima. Forse si tratta di una stilettata per essere stata esclusa dal giro dei “Grandi europei” nelle recenti discussioni su come affrontare crisi e instabilità? (se non l’hanno coinvolta un motivo c’è…).
Oppure vuole accreditarsi come la Polonia del Mediterraneo, tutta fedeltà atlantica e nessuna obbligazione europea? O infine vuole solo mostrare una sua versione di “ritorno al futuro”? La Nato “come eravamo…”.
Abbiamo una politica estera che con queste uscite, sconfessanti la linea tradizionale e consolidata dell’Italia, si presenta sgangherata: il nostro orizzonte di riferimento più stabile è da decenni quello europeo, forse conviene “contare di più in Europa”, come affermava Meloni mesi fa (indicando una priorità fondata sulle buone intenzioni), che non appoggiarsi a un atlantismo in stile vetero-democristiano.
Con i venti di guerra che soffiano impetuosi a tutte le latitudini è meglio scendere dalla carrozzella atlantica che al momento è senza cocchiere, farsi due passi a piedi e provare a trovare strade nuove per gli europei, insieme agli europei.
È sicuramente difficile, certo, ma si chiama politica, e una leader sovranista senza ubbìe nostalgiche dovrebbe avere capito che oggi, nell’Europa del 2025, l’unico modo per essere coerentemente sovranisti è essere a favore di una sovranità europea, nei campi fondamentali e cruciali nei quali i singoli stati poco possono: economia politica e monetaria, commercio, politica estera e difesa. Solo l’Unione nel suo insieme può affrontare queste sfide senza sbrindellarsi in nazionalismi tanto declamanti quanto impotenti.
Ma invece di perseguire questi obiettivi “federali” (politica estera, difesa, moneta, politica economica e commerciale) – difficili, non c’è dubbio, ma in parte già realizzati, in parte del tutto nuovi – si propone il vecchio e stantìo copione atlantico, con l’Italia più atlantista del re di Atlantide che, come nella favola, non ha tutte le rotelle al posto giusto.
Tutti quelli che sperano in una maggiore integrazione europea come unico antidoto alla follia dell’unilateralismo senza regole di Trump, non possono non considerare la dichiarazione di Meloni in Senato come un passo indietro deciso. Abbiamo in mente un’Europa diversa e, va detto, anche un’Italia diversa.
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