MELONI RIVEDE LE PENSIONI
Retromarcia sull’emendamento che allunga l’età pensionabile: salva il riscatto della laurea. Iil nodo delle finestre di uscita, scatena la rivolta dei professionisti traditi dopo anni di contributi e promesse. I sindacati promettono guerra.
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Nel Palazzo che misura il tempo con il calendario delle scadenze europee e con il pallottoliere dei saldi di finanza pubblica, la giornata sulle pensioni si è trasformata in un caso politico destinato a lasciare segni profondi. Un emendamento del governo alla manovra, tecnicamente blindato dal bollino della Ragioneria generale dello Stato, ha fatto esplodere una protesta immediata e trasversale, perché a essere colpiti non sono categorie astratte ma migliaia di professionisti, lavoratori qualificati e autonomi che hanno costruito la propria vita contributiva su regole che ora rischiano di essere cambiate in corsa.
L’intervento, presentato come un aggiustamento tecnico, è apparso fin da subito per quello che è: una stretta previdenziale mascherata, che scarica il peso del risanamento dei conti su chi ha studiato, investito nella propria formazione e versato contributi elevati confidando in un quadro normativo stabile. Non a caso la reazione più dura è arrivata proprio dai settori che rappresentano il lavoro qualificato e professionale, tradizionalmente sensibili al tema del riscatto della laurea e dell’accesso alla pensione anticipata.
È in questo clima che Giorgia Meloni è intervenuta in Aula al Senato, costretta a riconoscere l’errore politico prima ancora che tecnico. «L’emendamento deve essere corretto», ha detto, assicurando che «nessuno che ha riscattato la laurea vedrà cambiata l’attuale situazione». Una frenata che ha il sapore della retromarcia obbligata, arrivata solo dopo che la misura aveva già prodotto un effetto detonante dentro la maggioranza e fuori, tra ordini professionali e contribuenti.
Il punto, infatti, non è soltanto evitare la retroattività. Il nodo politico resta intatto: è accettabile chiedere ancora sacrifici a chi già sostiene una pressione fiscale e contributiva tra le più alte d’Europa? Per professionisti e autonomi il messaggio è apparso chiarissimo: quando servono risorse, si va a colpire chi non può difendersi con scioperi o piazze, ma solo con il voto e con il dissenso.
Nel merito, la stretta si articola su due fronti. Il primo è l’allungamento delle cosiddette finestre di uscita dalla pensione anticipata. Oggi, raggiunti i 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne), l’assegno decorre dopo tre mesi. Con l’emendamento, l’attesa si allunga progressivamente fino a sei mesi nel 2035. Un rinvio che, per un professionista con carriere lunghe e contributi elevati, equivale a lavorare di più per ottenere lo stesso diritto.
Il secondo fronte è ancora più sensibile: il depotenziamento del riscatto della laurea ai fini dell’accesso alla pensione anticipata. Chi ha investito decine di migliaia di euro per riscattare gli anni di studio si vede dire che quegli anni conteranno meno. Non vengono cancellati, ma non valgono più integralmente per anticipare l’uscita dal lavoro. È una scelta che mina la fiducia nel sistema previdenziale e che colpisce in modo diretto proprio i laureati e i professionisti, ossia una delle colonne portanti del gettito contributivo.
La promessa della presidente del Consiglio di salvaguardare chi ha già riscattato la laurea è un primo passo, ma non basta a rassicurare chi oggi deve decidere se farlo o meno. Il rischio è evidente: trasformare il riscatto in un investimento a perdere, scoraggiando la previdenza responsabile e alimentando l’idea che le regole possano cambiare in qualsiasi momento.
La rivolta politica non è rimasta confinata all’opposizione. All’interno della maggioranza, la Lega è entrata in evidente difficoltà. Un partito che ha costruito intere campagne contro la legge Fornero si ritrova ora a spiegare perché un governo che esprime il ministro dell’Economia propone una misura che, nei fatti, irrigidisce ulteriormente l’uscita dal lavoro. Il subemendamento presentato dal relatore leghista Claudio Borghi, che cancella la stretta sulle pensioni e individua coperture alternative, è il segnale più chiaro di un disagio che non può essere liquidato come incidente di percorso.
Le opposizioni, dal canto loro, hanno colto l’occasione per affondare il colpo, parlando di tradimento degli elettori e di maggioranza allo sbando. Ma al di là della polemica politica, resta una questione di fondo che riguarda la credibilità dello Stato verso i contribuenti più fedeli: professionisti, autonomi, lavoratori qualificati che pagano tutto e chiedono in cambio certezze.
Lo stesso emendamento contiene misure favorevoli alle imprese e alla previdenza complementare, ma il messaggio che è passato è un altro: per far quadrare i conti si interviene ancora una volta sulle pensioni. Una scelta che, come dimostra la reazione di queste ore, non è mai neutra. Toccare le pensioni significa toccare un patto sociale implicito. E quando quel patto viene percepito come violato, la reazione non è una semplice protesta: è una rivolta politica.
Il governo ha ancora margini per correggere il tiro. Ma una lezione è già evidente: colpire i professionisti e i contribuenti più esposti non è una scorciatoia sostenibile. Le pensioni non sono una variabile tecnica. Sono una linea rossa. Superarla significa aprire una frattura profonda tra chi governa e chi regge, ogni giorno, il peso del sistema.
Anaao Assomed e Cimo-Fesmed chiedono con forza che il Presidente del Consiglio e il Governo facciano dietrofront sulle pensioni anticipate e sul riscatto della laurea. In sostanza chiedono che venga cancellata la norma contenuta nel maxiemendamento governativo alla manovra 2026 che ridimensionerebbe il riscatto di laurea ai fini del diritto a pensione anticipata (cosiddetta “Fornero”).
Riteniamo profondamente ingiusto e forse anche anticostituzionale – dichiarano Pierino Di Silverio, Segretario Anaao Assomed, e Guido Quici, Presidente Cimo-Fesmed – penalizzare i lavoratori che maturano i requisiti per la pensione a partire dal 1° gennaio 2031 e che si vedranno ridotto il conteggio degli anni riscattati ai fini dei requisiti per il pensionamento. Inoltre il maxi-emendamento conterrebbe un ritocco delle finestre “mobili” di decorrenza dei trattamenti pensionistici, a due anni di distanza dalle sciagurate modifiche contenute nella Manovra 2024.
Il riscatto di laurea – proseguono – è, di fatto, l’unico sistema (senza penalizzazioni) che permette l’anticipo del pensionamento per chi ha dedicato allo studio universitario la prima parte della vita adulta. Colpire i lavoratori laureati è un orribile segnale da parte del Governo, che vorrebbe penalizzare la parte più istruita della popolazione, come se aver dedicato anni di vita agli studi universitari costituisse una colpa.
Chi ha già riscattato o sta riscattando con le vecchie regole, si vedrebbe privato di una buona parte di anni figurativi, rendendo spesso vana la convenienza del riscatto stesso. Anche limitare le nuove regole ai riscatti futuri sarebbe una catastrofe: INPS dovrebbe rispondere alla domanda di riscatto entro 85 giorni, mentre in realtà ci impiega anni, se non decenni. Tutto questo porterebbe a una valanga di ricorsi per il probabile profilo anticostituzionale della proposta.
Gli ipotetici risparmi di spesa dovuti al posticipo del pensionamento, soprattutto nel contributivo, verrebbero annacquati dai mancati introiti dei riscatti fatti magari decenni prima, oltre a un aumento inevitabile dei tassi di malattia/infortunio dovuti ai posticipi di uscita dal lavoro: chi è più vecchio, si ammala di più.
La finestra mobile è un trucco formidabile per ritoccare la Fornero senza ritoccare la Fornero. Infatti i requisiti per la pensione anticipata rimangono invariati, mentre viene modificata la data di percepimento del primo assegno previdenziale: in soldoni, si posticipa comunque l’uscita dal lavoro perché il lavoratore è costretto ad aspettare il tempo della finestra per non avere una discontinuità economica tra la fine del lavoro e l’inizio della pensione. Così, chi gridava: “Aboliremo la Fornero”, in realtà la peggiora, allungando l’uscita anticipata da un minimo di 3 mesi per la totalità dei lavoratori fino un massimo di 2 anni e 9 mesi per i laureati che hanno riscattato.
Il Ministero dell’Economia – denunciano i sindacati – sceglie dunque di penalizzare chi ha lavorato una vita intera, ma permette ancora di ricevere una pensione di vecchiaia contributiva a 71 anni con solo 5 anni di contributi (magari, a pensare male, dopo una vita di lavoro da evasore fiscale), con buona pace di coloro che invece hanno versato centinaia di migliaia di euro in contributi pensionistici ad Inps.
Il cambio delle regole previdenziali a partita in corso sta diventando un déjà-vu, come nel 2023 uno sgradito regalo di Natale di questo Governo, con buona pace della fiducia dei lavoratori italiani. Forse farebbe meglio a concentrarsi su temi più importanti e cari al Paese, piuttosto che lanciarsi in questi suicidi politici che tanto male fanno alla forza lavoro del Paese, una risorsa da tutelare e non da bastonare con queste nefandezze. Ma state tranquilli, ce ne ricorderemo al momento di porre la croce sulla scheda: il 2027 non è lontano.
Ci appelliamo – concludono Di Silverio e Quici – alla volontà dichiarata ufficialmente dal Presidente del Consiglio di voler rivedere questa norma”.
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