Magistrati in barricata.
Per il Csm, solo per il Csm, per nient’altro che per il Csm Il no alla separazione delle carriere è evocativo: nessuno teme per l’indipendenza dei pm. Quello che non si manda giù è che i membri togati dei due Consigli siano estratti a sorte, togliendo potere alle correnti (ma il sorteggio non è poi così male)
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Il referendum sulla separazione delle carriere dei magistrati è ancora lontano ma i sostenitori del no, e tra questi la magistratura associata nell’Anm (Associazione nazionale magistrati), sono già arrivati al nocciolo della loro opposizione, quello che proprio non possono mandare giù. Fino a poche settimane fa la tesi ufficiale era chiara: la riforma mette a rischio l’indipendenza della magistratura e mira a sottomettere il pubblico ministero all’esecutivo.
Un allarme potente, evocativo, perfetto per un titolo. Ma c’è un dettaglio: non è vero.
La riforma dell’art.104 della Costituzione conserva, parola per parola, la definizione della magistratura come “ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. E infatti la comunicazione delle ragioni del no si è già spostata su un’altra formula, del tutto ipotetica: oggi l’indipendenza della magistratura non viene toccata ma domani, con qualche legge ordinaria, chissà.
Peccato si taccia una cosa da addetti ai lavori e, cioè, che qualunque legge ordinaria non può andare contro una norma costituzionale perché altrimenti è incostituzionale, tautologicamente parlando. E così è venuto fuori il vero nodo della questione: non è l’indipendenza della magistratura, è il sorteggio dei membri togati per la composizione dei due Csm (Consiglio superiore della magistratura), quello dei pm e quello dei giudici.
È emerso chiaramente in un recentissimo convegno organizzato dalla Camera penale di Torino (ascoltabile su Radio Radicale) a cui ha partecipato il presidente del comitato per il no dell’Anm, Enrico Grosso: è stato chiaramente spiegato che i magistrati non sono preoccupati dal rischio di sottomissione del Pm all’esecutivo, che non ritengono concretamente realizzabile al momento, quanto piuttosto Dall’indebolimento del Csm determinato più che dal suo sdoppiamento, dalla modalità di composizione della parte togata (cioè dei 2/3 di magistrati), affidata all’estrazione a sorte.
Che il sorteggio fosse la vera ragione del contrasto della magistratura a questa legge, l’hanno pensato da subito tutti gli osservatori attenti del muro contro muro alzato fin dall’inizio dall’Anm e, in particolare, i penalisti dell’Unione delle Camere penali: se nella legge non ci fosse stato il sorteggio dei membri togati, probabilmente la posizione dei magistrati sarebbe stata più morbida e non si sarebbe nemmeno creato il comitato per il no, come ha detto, nello stesso convegno, il penalista Oliviero Mazza.
Per dirla senza giri di parole: la riforma non preoccupa perché minaccia l’autonomia dei magistrati, ma perché minaccia il potere delle correnti nel Csm, dal momento che se i membri togati non vengono più eletti, si spezza la logica elettorale che per decenni ha permesso alle correnti di controllare carriere, assegnare incarichi, e determinare l’orientamento dell’istituzione nei suoi interventi sulla formazione delle leggi: non a caso il Csm è stato definito usualmente “la terza camera del Parlamento”.
Le correnti, infatti, non sono più soltanto, come erano all’inizio, semplici aggregazioni di diverse sensibilità culturali che arricchivano, qualcuna in particolare, l’evoluzione del diritto nel nostro Paese: alcune non hanno perso la prima connotazione, per fortuna, ma tutte sono diventate anche soggetti distinti da orientamenti politici la cui forza elettorale determina le decisioni della parte togata del Csm, cioè della maggioranza dei 2/3 dell’istituzione.
Il sorteggio, eliminando la competizione elettorale, azzererebbe la garanzia che la corrente più forte continui a dominare la parte togata o che si formino alleanze diverse per l’una o l’altra occorrenza: insomma, che si eserciti il potere come Luca Palamara ha disvelato dal 2019. Questo è il punto, tant’è che gli argomenti tecnici portati contro l’estrazione a sorte dei magistrati sono estremamente deboli.
Certo, il sorteggio come metodo di nomina in una istituzione di rango costituzionale non è una gran bella cosa, anche sul piano dell’immagine: tant’è che nella proposta d’iniziativa popolare presentata dall’Unione delle Camere penali nel 2017 non era previsto. Ma anche il sistema con cui ha operato il Csm negli anni, messo in luce, appunto, da Palamara, non è una gran cosa, anzi è del tutto inaccettabile sul piano della integrità istituzionale e va superato: a mali estremi il rimedio non può essere meno forte. Infatti anche tra i magistrati, prima che si accendesse il conflitto sulla separazione delle carriere proposta da questo governo, la soluzione del sorteggio non era così sgradita come pare oggi: nel referendum consultivo indetto dall’Anm a gennaio del 2022, su 4.275 votanti (il 54% degli aventi diritto), 1.787, cioè quasi il 42%, hanno votato a favore.
Adesso, però, la dirigenza dell’Anm e il suo Comitato referendario sostengono che il sorteggio penalizza la forza dei due Csm previsti dalla riforma perché non assicura, come invece le elezioni, che a svolgere gli alti compiti di questa istituzione vadano i migliori, i più capaci, i più competenti.
Uno non vale uno, nemmeno tra i magistrati, dicono. Ma davvero?
Davvero dobbiamo credere che un magistrato ammesso a decidere della vita e dei beni delle persone, di mandare in carcere un cittadino o privarlo delle sue proprietà, di affidare o meno un bambino a una coppia e di togliere o meno un figlio ai genitori naturali, non sia capace di svolgere le funzioni organizzative cui è chiamato il Csm o di formulare pareri giuridici sulle leggi in approvazione? No, non possiamo crederlo, sia per l’affidamento che dobbiamo avere nella competenza e nelle capacità di chi decide delle nostre vite, sia perché le valutazioni di professionalità compilate annualmente dal Csm premiano il 99% di tutti i magistrati con i voti più alti.
Sono tutti bravissimi, insomma, senza differenze di ordine e grado: e allora, qual è il problema di estrarre a sorte in questo bacino di eccellenti coloro che andranno a portare le loro capacità in compiti meno delicati e cruciali del determinare l’esistenza dei comuni cittadini? C’è poi, però, un’altra verità taciuta: non ci sarà nessun sorteggio casuale, in realtà, tra tutti i 9 mila e più magistrati.
La norma costituzionale, infatti, rimanda alla legge ordinaria la determinazione delle procedure per la composizione dei due Csm e sarà questa a determinare quanti e quali magistrati potranno essere sorteggiati: è da credere che gli anni di anzianità e l’esperienza maturata in ruoli direttivi, magari in tempi non ravvicinati alla possibile nomina, saranno i criteri fondamentali. E così, il bacino dei migliori tra gli ottimi si restringerà in modo da assicurare che i due Csm siano composti da magistrati competenti e autorevoli, a prescindere dall’appartenenza all’una o all’altra delle correnti.
Il fatto che questa preselezione dei sorteggiabili non sia scritta nella norma costituzionale, a differenza di quello che è previsto per i membri laici sorteggiati dal Parlamento, ha una ragione evidente che i sostenitori del no lasciano in sordina parlando, anzi, di disparità di trattamento tra laici e magistrati: la Costituzione deve prevedere per forza le categorie dei cittadini sorteggiabili per la nomina al Csm, altrimenti il sorteggio dovrebbe avvenire tra circa 60 milioni di persone, senza distinzione di competenze e titoli di studio.
E, quindi, mentre i magistrati sono una categoria già definita, per i comuni cittadini si prevede che il sorteggio avvenga su un elenco, votato dal Parlamento in seduta comune, di “professori ordinari di università in materie giuridiche e di avvocati con almeno quindici anni di esercizio”: il numero dei sorteggiabili e le procedure del voto sull’elenco e del sorteggio saranno determinati da una legge ordinaria esattamente come per i magistrati.
È qui, su queste leggi ordinarie che andranno concretamente a definire come si arriva alla composizione dei due Csm, che si giocherà la partita della tutela dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura: meglio non disperdere energie a prendersela con una riforma che riporta il sistema della giustizia al rispetto dei principi del giusto processo, per cui il giudice dev’essere equidistante da chi accusa e da chi difende, e concentrarsi sulle leggi che verranno dopo.
I magistrati che si oppongono alla riforma dovrebbero sapere e tenere a mente che in quel momento avranno negli avvocati gli alleati più inflessibili, come è sempre stato, anche di questi tempi, tutte le volte in cui il potere governativo o parlamentare ne ha aggredito l’indipendenza e l’autonomia: che si sia trattato dei provvedimenti della sezione immigrazione di Roma contro i trattenimenti in Albania, della sentenza di condanna di un sottosegretario alla Giustizia o di quella di assoluzione di un uomo dal reato di maltrattamenti in famiglia.
Perché per un avvocato la libertà del giudice che si trova di fronte è condizione indispensabile per svolgere il proprio mestiere pensando che abbia senso e utilità ed è l’unica vera ed essenziale ragione del sì alla separazione delle carriere tra chi accusa e chi giudica: non ci saranno cambi di rotta o di strategia comunicativa in corso d’opera, ci si può scommettere.
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