Anno: XXVI - Numero 161    
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BASTA POLITICA SOTTO RICATTO GIUDIZIARIO

Il governo non può vivere nell’attesa di un avviso di garanzia: la magistratura faccia il suo mestiere, la politica torni a fare il proprio.

BASTA POLITICA SOTTO RICATTO GIUDIZIARIO

Chissà come si sentirebbe, il procuratore Marcello Viola, se si trovasse improvvisamente nel ruolo di primo cittadino, al posto di Beppe Sala. E chissà quali sentimenti avrebbe provato, ai tempi, Saverio Borrelli seduto sulla poltrona di Gabriele Albertini. L’ ipotesi non è così peregrina nei giorni in cui, sfogliando ogni giorno i petali della margherita dell’inchiesta giudiziaria sull’urbanistica milanese, con le sue ipotesi di reato, i suoi indagati e le manette che vanno e vengono, in molti si chiedono se non sarebbe utile, a questo punto, lasciare governare la città direttamente ai procuratori.

Ha colpito la lettura delle chat ( ah, la bramosia del sapere che cosa si sussurravano in segreto il sindaco e il suo assessore…) che l’indagato Giancarlo Tancredi inviava a Beppe Sala. Soprattutto nella parte in cui, circa sei mesi prima di essere spedito agli arresti domiciliari, riferiva di aver incontrato il procuratore Marcello Viola e l’aggiunta giudiziaria Tiziana Siciliano. Quest’ultima perplessa sull’interpretazione di alcune norme che a lui invece paiono chiarissime, riferisce l’assessore, nel concludere però che il clima era stato molto cordiale. E chissà mai, vien da dire, perché non avrebbe dovuto esserlo. Il procuratore Viola è persona molto garbata, come del resto lo era Borrelli, e la dottoressa Siciliano i suoi spunti polemici li riservava solo a Silvio Berlusconi nel processo Ruby- ter.

Ma la domanda ora è un’altra. Per quale motivo un assessore all’urbanistica, che oltre a tutto non è un politico ma un tecnico, quindi nel settore sicuramente più esperto di chi ha vinto un concorso in magistratura, sente il bisogno di andare a conferire in procura? Altro che difendersi “dal” o “nel” processo. Qui siamo sulla soglia di una politica che pare non volersi neppure più difendere. Che si presenta con il cappello in mano, quasi a chiedere un’approvazione preventiva di tipo psicologico. Fino a rallegrarsi di non esser stata presa a pesci in faccia. Come se fossero saltate le stesse regole del processo e dei suoi componenti, l’accusa, la difesa e il giudice.

Viene alla memoria quel che lui stesso ha rivendicato, anche di recente e in molte interviste, cioè l’ex sindaco Gabriele Albertini. Parliamo di colui che ha portato a Milano 30 miliardi di investimenti e che ha riqualificato 11 milioni di metri quadri di territorio milanese, senza un’informazione di garanzia. Come è stato possibile? Attraverso un rapporto organico con la magistratura requirente e un gruppo di lavoro comune. Lo sviluppo di Milano negli anni a cavallo tra la fine dei novanta e i duemila e la sua “rigenerazione urbana” sono nati così. Da un governo della città vissuto in simbiosi, tra sindaco e procuratore. In favore di quel fine raggiunto con mezzi discutibili possiamo citare a giustificazione solo il fatto storico. Cioè solo le date, e il brusco risveglio del dopo- tangentopoli, con i suoi omicidi politici e i 41 suicidi.

Gli anni che avevano invertito l’onere della prova, perché ogni politico era brutto sporco e cattivo. E sicuramente ladro. Quindi spettava a lui dimostrare la propria innocenza. È stato allora che, sul piano nazionale come in quello delle amministrazioni locali, e quella di Milano in primis, è cessato il diritto di difesa. E, senza mancare di rispetto a un sindaco rimpianto da tutti come Albertini, una constatazione va fatta. Il suo comportamento fu dettato dalla debolezza politica di un sindaco “tecnico”.

È sufficiente guardarsi intorno e constatare la difficoltà in cui si trova oggi un medico stimatissimo, oggi ministro della Salute, come Orazio Schillaci. E poi, scendendo per i rami, arrivare alle ambasce di Beppe Sala, un manager che svolge il ruolo di sindaco come già il suo predecessore, l’imprenditore Gabriele Albertini.

Non è difficile riflettere sul fatto che forse l’intuizione di Silvio Berlusconi nel 1994, quando proprio dopo il crollo politico- giudiziario dei partiti della prima Repubblica, volle portare in Parlamento e al governo la classe dirigente della società civile, oggi andrebbe superata. Perché, se la politica vuole ritrovare la dignità, ma anche e soprattutto la forza del proprio ruolo, anche rispetto alla magistratura, deve tornare a essere politica. Non è detto che un ottimo urbanista sia anche un assessore capace e che un eccellente medico sia la migliore scelta per governare la sanità. E forse, ci perdoni Carlo Nordio, è giunto il momento che alla Giustizia non ci siano più avvocati né magistrati. Non solo per i palesi conflitti di interessi “professionali”. Ma per un fatto culturale. In molti, anche non del mondo socialista, ritengono per esempio che Claudio Martelli sia stato un eccellente guardasigilli. Se non ricordiamo male è uno che ha studiato filosofia, ottimo punto di partenza per avere a cuore lo Stato di diritto.

Così, per tornare alla triste storia recente di Milano e della sua “rigenerazione”, sarà bene che per le prossime elezioni, che saranno quando saranno, ma comunque entro il 2027, vincano i migliori. Che saranno coloro che sapranno esibire con orgoglio le proprie decisioni politiche, supportate, ovviamente, dall’aiuto di formidabili squadre di tecnici. Ma che saranno anche così solide sul piano culturale, da non aver paura di nessuno. Men che meno della magistratura, che avrà imparato a rispettarle. Procuratori cui comunque nessuno chiederà il permesso o l’autorizzazione al proprio agire. Un sogno? Sì, politico.

Di Tiziana Maiolo su Il Dubbio

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