L'alleato immaginario.
L'Europa si è umiliata abbastanza, sedurre Trump non può bastare Forse è tempo, di accettare l’idea di smettere di spendere tutte le energie su un arto fantasma che prude e duole, ma non c’è più.
D’altro canto, Putin continua a non vincere, Trump può anche perdere, e l’Ue non ha ancora giocato le sue carte migliori
In uno dei suoi recenti incontri con la stampa – o forse era una delle sue innumerevoli interviste – poco dopo il vertice a Washington con i leader europei, Trump si è rallegrato al pensiero che molti ormai lo considerino “il presidente dell’Europa”. “È un onore – ha detto – amo l’Europa, sono tutte brave persone e ottimi leader”. Per poi segnalare che mai prima, alla Casa Bianca erano arrivati, tutti assieme, i rappresentanti di “35, 38 paesi”. Nessuno ha saputo fare il conto.
PUBBLICITÀÈ comunque un bel passo avanti se pensiamo che fino a pochi mesi fa Trump considerava gli europei un branco di “patetici scrocconi” e l’Unione Europea come nata per fregare gli Stati Uniti.
Non c’è dubbio che in questi mesi i governanti europei abbiano dato fondo alle loro capacità di soft power. Hanno circonfuso Trump di continue lusinghe e ringraziamenti; lo hanno fatto divertire – Giorgia Meloni da ottima battutista qual è, si è distinta in questo; gli hanno fatto regali – Zelensky, una mazza da golf ricevuta da un soldato ucraino ferito; lo hanno accompagnato con mille facezie, mentre lui gli mostrava la sua collezione di cappellini da baseball, compreso quello che dice: TRUMP AVEVA RAGIONE SU TUTTO e l’altro, un vero pezzo da collezione, che inneggia al suo terzo mandato. Insomma, come direbbe Paolo Conte, “uno spettacolo di arte varia” da non perdere per niente al mondo.
Non se lo sono persi al Cremlino, dove hanno subito trasformato lo sforzo europeo di seduzione in una umiliazione planetaria. Tesi immediatamente rilanciata in Italia e in Europa da torme di volenterosi putinisti. Si potrebbe dire che gli europei non sono stati umiliati ma si sono prodotti in una auto-umiliazione calibrata che, per ora, mostra di aver dato qualche risultato. Anche Putin usa lusinghe iperboliche per sedurre Trump. Gli ripete in ogni momento quello che lui vuol sentirsi dire, che la guerra in Ucraina non sarebbe mai scoppiata con lui presidente, che lui è l’unico al mondo che può porvi fine, e perfino che sarebbe lui, Trump, il vero vincitore delle elezioni del 2020, non fosse per il voto postale, con il quale, dice Putin, nessuna democrazia può sopravvivere.
Nella stanza dei giochi dell’uomo più potente del mondo, Putin si sente perfettamente a suo agio, lo capisce e si sente capito. Parlano la stessa lingua: potere, sopraffazione, affari, dispotismo. Trump vorrebbe avere gli stessi giochi di Putin, tutti soldatini sull’attenti e senza un fiato. Gli europei dal canto loro sono goffi e imbarazzati, un po’ come quando arrivi a casa di amici e invece di goderti uno spritz in salotto, il figlio iperattivo ti trascina nella sua stanza, ti infila nel tipì e ti bersaglia con freccette di gomma, e tu devi fingerti morto.
Il problema è che ogni bel gioco dura poco. E Trump è uno che si stanca facilmente. Queste montagne russe emotive tra Usa e Ue vanno avanti da inizio mandato e ormai mostrano la corda. Soprattutto, rispetto a Putin, gli europei portano a casa risultati fragili, spesso solo simbolici o di facciata. Mentre sulle cose che contano la pressione resta forte: dai dazi alle legislazioni europee su ambiente e digitale, messe sotto ricatto. La Russia invece ha finora ottenuto tutto quello che voleva: nessuna nuova sanzione, niente cessate il fuoco con l’Ucraina, divieti sui missili a lungo raggio, rinvio sine die dell’incontro con Zelensky (Trump ha detto che capisce Putin, non piace ad entrambi), e una sostanziale e visibile riapertura di canali di business.
Mentre gli europei giocano con i cappellini e stramazzano sotto dazi e ricatti, Putin bombarda allegramente l’Ucraina senza pagare pegno. Ad aprile, ricevuta alla Casa Bianca, Giorgia Meloni se ne uscì con una formula efficace per tenere insieme l’intenibile: Make West Great Again. Assecondava l’idea che senza gli Usa, l’Occidente e l’Europa (Ucraina compresa) sono perduti, e anche un po’ l’ideologia secondo cui senza Trump la virata sovranista europea avrebbe subito una retromarcia. Ma il tempo ha dimostrato che Trump non indosserà mai un cappello MWGA, che l’Occidente è per lui concetto senza fondamento e che l’Europa al massimo è una specie di Disneyland da cui incassare i biglietti. Quanto alla guerra in Ucraina, Trump l’ha detto più volte, sono quei due, Putin e Zelensky, a doverla risolvere tra loro.
È forse ora, per l’Europa, di fare i conti senza l’oste. Non è impossibile se si comincia con l’accettarne l’idea e a ricalibrare ciò che si può e non si può fare, smettendo di spendere tutte le energie su un alleato immaginario, un arto fantasma che prude e duole ma non c’è più. La realtà va guardata senza illusioni ma anche senza nostalgie. Putin continua a non vincere e anzi la strategia ucraina di colpire le raffinerie di petrolio ottiene risultati molto visibili che alla lunga possono essere decisivi.
Trump può perdere. Può perdere alle elezioni di midterm: il suo consenso è in calo costante (il più basso da decenni rispetto ai suoi predecessori nello stesso periodo del mandato, fatta eccezione per lui stesso nel 2017). Dazi, immigrazione, sicurezza, economia, devono ancora parlare chiaro nei sondaggi e nei dati ufficiali, ma i rischi sono grandi e Trump non potrà licenziare ogni singolo funzionario che gli porta statistiche sgradite. L’Europa ha fatto molti errori, ma non ha ancora giocato le sue carte migliori, forse è arrivato il momento.
di Giancarlo Loquenzi su HuffPost
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